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Vittorio Sereni. Per non dimenticare la memoria

Stampato da : Concerto di Sogni
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Stampato il: 22/12/2024

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Autore Tema: Paolo Talanca
Oggetto: Vittorio Sereni. Per non dimenticare la memoria
Inserito il: 28/01/2004 20:52:17
Messaggio:

Ieri 27 gennaio è stato il giorno della memoria. Con un giorno di ritardo vorrei riportare su concerto una poesia di Vittorio Sereni, uno dei più grandi poeti italiani del secolo scorso. Quando lessi per la prima volta questa poesia rimasi disarmato dalle capacità di questo grande autore e dall’immediatezza che i versi di questo componimento sanno regalare.
Sereni è poeta non semplicissimo da analizzare. Un momento cruciale della sua vita personale è rappresentato proprio dal periodo della seconda guerra mondiale e dall’esperienza post bellica. Durante la guerra viene chiamato alle armi e nel 1943, all’età di trent’anni, viene catturato dagli Alleati e portato come prigioniero prima in Algeria poi in Marocco. Dopo la guerra pubblica due raccolte di poesie a distanza di diciotto anni l’una dall’altra: nel 1947 pubblica Diario d’Algeria e nel 1965 Gli strumenti umani. La poesia che vorrei citare e analizzare brevemente si intitola “Nel vero anno zero” ed è contenuta nella raccolta del 1965:

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NEL VERO ANNO ZERO
Vittorio Sereni

Meno male lui disse, il più festante: che meno male c’erano tutti
Tutti alle Case dei Sassoni – rifacendo la conta.
Mai stato in Sachsenhausen? Mai stato.
A mangiare ginocchio di porco? Mai stato.
Ma certo, alle case dei Sassoni.
Alle Case dei Sassoni, in Sachsenhausen, cosa c’è di strano?
Ma quante Sachsenhausen in Germania, quante case.
Dei Sassoni, dice rassicurante
caso mai svincolasse tra le nebbie
un’ombra di recluso nel suo gabbano.
No non c’ero mai stato in Sachsenhausen.

E gli altri allora – mi legge nel pensiero –
quegli altri carponi fuori da Stalingrado
mummie di già soldati
dentro quel sole di sciagura fermo
sui loro anni aquilonari… dopo tanti anni
non è la stessa cosa?

Tutto ingoiano le nuove belve, tutto –
si mangiano cuore e memoria queste belve onnivore.
A balzi nel chiaro di luna s’infilano in un night.

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Più in alto ho parlato di “immediatezza che i versi di questo componimento sanno regalare” ed è chiaro che c’è bisogno della chiave di lettura per interpretare questa poesia. Dal 1958 Sereni diventa dirigente di collana presso la Mondadori, dopo essersi occupato, dal ’52 al ’58, di pubblicità all’interno della Pirelli. In occasione di un viaggio di lavoro nel 1964, il poeta si reca per lavoro a Francoforte dove si teneva (e si tiene tuttora) la più importante mostra del libro d’Europa. Questa poesia è da ricollegare ad un testo in prosa dal titolo “Il sabato tedesco”, che si basa su un equivoco aneddotico accaduto a Sereni durante questo viaggio. A Francoforte c’è un quartiere chiamato Sachsenhausen, dove il poeta si reca insieme ad altre persone un sabato sera, per via di un rinomato ristorante “La Casa dei Sassoni”, dove pare che servissero un ottimo zampone. Sachsenhausen, però, è anche il nome di una località a venti chilometri da Berlino nella quale, già nel ’33, fu allestito il primo campo di concentramento nazista. La poesia nasce proprio dall’equivoco di questa omonimia.

Un elemento fondamentale nella poetica di Sereni e ne Gli strumenti umani in particolare è la denuncia del tradimento della memoria. Molto spesso nelle poesie sereniane ricorre uno sguardo al passato, dei momenti quasi onirici che però hanno uno scopo ben preciso e che mi sembra sia alla base anche dell’importanza di ricorrenze come il 27 gennaio. La memoria in Sereni non è elegia, non è lamentazione per qualcosa che non è più, felicità per brutture passate o, comunque, ricordo lontano ed inattivo (almeno per quanto riguarda la raccolta Gli strumenti umani, dove il poeta rompe con l’elegia nei primi testi). La memoria è continuo confronto col presente, strumento di verifica da salvaguardare ed al quale ricorrere per non sbagliare ancora. E’ chiaro che Sereni scrive questi testi nel periodo del boom economico, un periodo che tende a tagliare i ponti con la memoria; per questo in lui l’urgenza di memoria è così forte. Pressappoco è un sentimento uguale a quello che porta Montale, in Satura e nella poesia “La storia”, a dire che purtroppo “la storia non è magistra di nulla che ci riguardi” per via della condannabile mancanza di memoria del suo tempo, in cui questo strumento indispensabile è sostituito dalla casualità.

Nella poesia “Nel vero anno zero” è come se l’io poetico si chiedesse in continuazione “quale Sachsenhausen?” e la risposta dell’alterità è solo il depistaggio, il non volerne parlare quasi indice di incoscienza o frivolezza, di sicuro spia di una storia che non vuole essere ricordata, che dunque non può attivare il suo ruolo di “magistra” (Montale). Da qui il rammarico dell’io poetico per la mancanza di memoria.
Quando il poeta è quasi frastornato dal sentire il nome del posto e le case dei Sassoni (che per lui sono scritte in minuscolo per ricordare la realtà della sciagura), l’interlocutore risponde con la tranquillizzante sigla del nome del ristorante e con la lettera maiuscola le “Case dei Sassoni”:

“Dei Sassoni, dice rassicurante”

quasi a voler sottolineare l’esoticità del posto, del luogo che non rimandi a concetti reali, a tragedie storiche, esorcizzando il passato che invece dovrebbe essere conosciuto, per non essere ripetuto.

Sereni ricorda la battaglia di Stalingrado, forse emblema della sconfitta nazista per opera dei russi e, sicuramente, epilogo di una tragedia mondiale che conta cinquantaquattro milioni di morti in tutto il mondo.

Non è da trascurare il fatto che Sereni impieghi diciotto anni per pubblicare la raccolta poetica Gli strumenti umani. In questo tempo si riflette sulla fatica di un uomo che torna dalla prigionia e si sente in ritardo con la storia e che, quando comincia ad entrare nella realtà, comprende che la nuova società non ha basi, rifiuta il confronto con la memoria, rifiuta di riflettere su una follia omicida che ha trucidato sei milioni di vite in pochissimi anni.
Proprio per questo è importante la memoria e giorni come il ventisette gennaio. Proprio per questo è importante ricordare quello che è stato, anche grazie a poesie come questa di Sereni.

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So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che non c'è se mai nessuno l'ha veduto


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