saphir
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Inserito - mag 13 2002 : 17:10:47
Pomeriggio...un ragazzo di 31 anni, sua moglie all'ottavo mese di gestazione...il loro primo figlio, i suoi genitori. Un tumore all'intestino...inoperabile. Ma lui non lo sapeva...i suoi genitori non avevano voluto dirglielo. Il suo ultimo giorno...il primo che l'ho visto. Mi aveva chiamata per il dolore insopportabile che lo opprimeva. Nonostante l'analgesia peridurale mi chiamava ogni due ore. Purtroppo alla fine il dolore ti dà poca tregua. Ogni volta si scusava e ogni volta gli ripetevo che non doveva farlo. Ogni ritaglio di tempo libero andavo da lui.. avevo capito che era il suo ultimo giorno e sarebbe potuto accadere qualcosa di drammatico in qualsiasi momento..volevo essere preparata. Ci sono cose che sai appena posi gli occhi su qualcuno, e questa era una di quelle. Chiacchieravamo tutti insieme...progetti...il nome del nascituro.. lui che voleva assistere al parto della moglie...come si sarebbe sentito a prendere in braccio quel "cucciolo"..sogni..speranze... quel "cucciolo" Alle 20 ha mandato a casa la moglie, non voleva che si stancasse: "Ci vediamo domattina, amore" Mentre la accompagnavo verso l'uscita lei si è fermata e mi ha detto che avrebbe voluto restare quella notte...ma lui era preoccupato per il bambino e i suoi genitori non volevano che un comportamento anomalo gli facesse sospettare che stava morendo. Lei mi guardava come un cucciolo disperato che non sa se verrà sgridato. Mi fece promettere di chiamarla subito se... Se ne andò piangendo. Due ore dopo lui andò in stato di shoch. Nei suoi occhi lessi la paura e l'angoscia. Un sorriso per tranquillizzarlo..la calma che scende dentro di me per arrivare fino a lui... e iniziai una terapia per contrastare lo shoch. Non volevo che morisse...non quella notte...non con me. Non lo volevo per lui, per sua moglie, per quel bambino non ancora nato che avrebbe potuto sentire la mano di suo padre che cercava di "afferrare" i suoi piedini per l'ultima volta, conoscere la dolcezza di una carezza piena di amore ancor prima di capire che cos'è una carezza e che cos'è l'amore...ma soprattutto per lui che non lo avrebbe potuto vederlo nascere, ma che avrebbe potuto ascoltare i battiti del suo cuore attraverso il mio stetoscopio posato sull'addome della madre e che, stupidamente, io non avevo pensato a fare prima, nella tensione che si accompagna a una guardia...e....per me.. che non sono mai riuscita ad accettare l'ingiustizia di queste malattie e l'impotenza della medicina di fonte ad esse. No, non solo per questo...ma per il fatto che, secondo me, non si trattava di "accanimento terapeutico", parola che oggi ha tanti significati spesso non corretti. Forse ho sbagliato e me lo sono chiesta tante volte. Forse non dovevo prolungare il suo dolore, sapendo che, nonostante le dosi massicce e sempre più frequenti di analgesici, c'erano momenti in cui il dolore ricompariva. Dentro di me, ricordo che pensai: "Se se ne deve andare se ne andrà lo stesso perchè i farmaci per sedare il dolore sono di per sè potenzialmente pericolosi...e non intendo lesinarglieli..ma almeno ci avrò provato e lui se ne andrà nel sonno" E' stato giusto? Non so. Quello che so è che io ho ricevuto molto da lui e il mattino successivo mi ha fatto un bellissimo regalo: uno splendido e sereno sorriso. Volevo dargli un'opportunità, non lasciare che avesse qualcosa in sospeso.. qualcosa d'incompiuto e che se ne rendesse conto in quell'ultimo istante di vita. Lo lasciai un attimo per parlare coi genitori che erano fuori della stanza...li portai lontano e dissi loro che avrei chiamato la moglie, ma loro si arrabbiarono e non vollero sentir ragioni. Mi scostai dal suo letto solo per le urgenze. Gli dicevo " non preoccuparti, va tutto bene...tornerò subito dopo essermi occupata di questo paziente". " Ti porto con me fino alla luce del giorno" pensavo..."devi poter vedere tua moglie, sentire il cuore di tuo figlio che batte per te..loro devono poterti salutare per racchiuderti per sempre nel cuore e poterti ricordare senza che al dolore si aggiunga anche lo strazio del rimpianto per le cose non dette..per non essere stati presenti ai tuoi ultimi istanti di vita" I genitori erano una presenza silenziosa nella stanza. Lui, quando il dolore si acquietava, mi raccontava la sua vita. Nei suoi occhi erano altre le cose che leggevo..paure inconfessate, domande inespresse... Ogni volta che gli misuravo la pressione o gli auscultavo il cuore, ogni volta che sostituivo la flebo o aggiustavo i farmaci i suoi occhi mi "seguivano", o meglio sembrava che mi volessero attraversare per leggere, nei miei gesti, nei miei pensieri, sul mio viso, una condanna. Ma c'era una tale speranza in me, una tale certezza a non lasciarlo andare via quella notte che solo questo ha percepito..e dopo un po' parlavamo di tutto: di musica, di film, di ricette di cucina, di amore, della primavera, delle vacanze, dei libri letti, di progetti e di speranze. Cose futili e cose importanti. Mi raccontava il suo amore per la sua compagna e per quel figlio non ancora nato...e mentre il viso si contraeva in smorfie di dolore, riusciva anche a far spuntare il sorriso. "Dimmelo quando hai male" ...ma lui rispondeva " Non voglio dormire, voglio parlare" Ogni tanto mi diceva di tenergli la mano...la notte lo spaventava. Voleva che gli raccontassi tutto del mio bambino, come ci si sente ad essere genitori...E poi quello sguardo, a volte limpido e sereno e a volte angosciato. Quello sguardo che ho imparato a riconoscere così bene. Ancora una volta la differenza di età fra noi era così piccola che mi sembrava naturale che ci parlassimo dandoci del tu come vecchi amici ...naturale accarezzagli la fronte sudata...cercando col calore della mia mano di sconfiggere il freddo dello shoch e della paura. Finalmente l'alba...la luce che entra nella stanza poco a poco...lui che mi dice "fra poco arrivano mia moglie e mio figlio"..e sorride.. io che gli rispondo: "ti piacerebbe sentire il suo cuore che batte?" I suoi occhi che risplendono... "riuscirò a sentirlo?"..."certamente, te lo insegno io". Vado incontro alla moglie...il suo viso è distrutto...non è riuscita a dormire...ha paura a chiedermi se è ancora vivo. Le spiego cosa vorrei fare per lui e vedo un tenue sorriso spuntare sulle sue labbra. Ci fermiamo alla guardiola delle infermiere e mi faccio imprestare un po' di trucco da una di loro. "Si metta un po' di fondotinta, cerchi di mascherare al meglio il suo stato se no lui capirà" La guardia finiva alle 8, ventiquattro ore che non dormivo, 24 ore di problemi e di stress, ma sono rimasta con lui fino alle 9, ora in cui sarebbe iniziata la visita ed io ero già in ritardo di un'ora per il mio lavoro. Rimasi fino a quell'ora perchè lui non si stancava mai di sentire il battito del cuore di suo figlio...quando ho dovuto lasciarlo sapevo che non l'avrei più rivisto, ma per tutta la mattina mi sono informata sulle sue condizioni dal collega che aveva preso il mio posto, lui era stupito che avesse potuto resistere tante ore e non aveva voluto cambiare o sospendere la mia terapia...cominciava a credere in un miracolo..ma i miracoli non accadono più, per sfortuna. Se ne andò nel tardo pomeriggio con tutti i suoi cari accanto a lui e con la mano di sua moglie che teneva stretta la sua. Me lo disse il collega quando lo chiamai all'ospedale quella sera. Maurizio (questo era il suo nome) so che hai visto nascere tuo figlio, anche se non hai potuto stringerlo tra le braccia...lui ora sarà certamente orgoglioso di suo padre...un uomo sensibile e coraggioso...lui si sarà ricordato in modo confuso e non cosciente le tue carezze di quel giorno, di certo gliene hanno parlato e ti avrà sentito più vicino. Che cosa mi hai insegnato? Da te ho imparato anche la pazienza, la sopportazione e quanto sia importante soffermarsi a "leggere" nel cuore, negli occhi e sul viso delle persone per poterli aiutare meglio...mi hai insegnato quanto sia bello donare qualsiasi cosa, anche la più piccola: come tenerti la mano quando avevi paura o quel battito del cuore che ti ha rallegrato tanto. Mi hai insegnato ad essere prima di tutto un essere umano...a scegliere le priorità secondo la mia coscienza. Mi hai insegnato a pensare sempre a tutto, così da non dover più mantenere in vita una persona perchè mi era sfuggito un particolare importante. Mi hai insegnato a vincere la mia paura di essere troppo coinvolta o di perdere la lucidità a fare delle scelte perchè solo così potevo aiutarti. Mi hai insegnato ad essere serena. Mi hai insegnato a rassicurare le persone in momenti difficili e non lasciarli soli, non solo i pazienti, ma tutte le persone. Mi hai insegnato a non lasciare nulla in sospeso e a dare valore a ogni cosa. Se ne andò piangendo.
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