L'avevo messo sul .it...
Non ci sto capendo nulla con questi .com e .it IL PESCATORE
Fabrizio De André
All'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Venne alla spiaggia un assassino
due occhi grandi da bambino
due occhi enormi di paura
eran gli specchi di un'avventura.
E chiese al vecchio dammi il pane
ho poco tempo e troppa fame
e chiese al vecchio dammi il vino
ho sete e sono un assassino.
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma versò il vino e spezzò il pane
per chi diceva ho sete e ho fame.
E fu il calore di un momento
poi via di nuovo verso il vento
davanti agli occhi ancora il sole
dietro alle spalle un pescatore.
Dietro alle spalle un pescatore
e la memoria è già dolore
è già il rimpianto di un aprile
giocato all'ombra di un cortile.
Vennero in sella due gendarmi
vennero in sella con le armi
chiesero al vecchio se lì vicino
fosse passato un assassino.
Ma all'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Personalmente amo molte canzoni di Fabrizio De André.
Parto dalle più conosciute come “Bocca di rosa”, “La canzone di Marinella”, “La guerra di Piero” o “Don Raffaè” per arrivare ad “Andrea”, “Amore che vieni, amore che vai” o la bellissima, struggente e sensibilissima “Amico fragile”, per me un grande capolavoro.
Ho deciso però di commentare “Il pescatore” perché per me rappresenta un grande, grandissimo esempio di come tradurre la poesia e la sintesi poetica in un testo di canzone.
De André era un grande, questo non lo scopro certo io, ma troppo spesso si dice che era un grande, troppe volte non si sa perché, a volte lo si conosce solo per alcune canzoni orecchiabili (come “Bocca di rosa”) e ci si interroga poco sul significato nascosto delle parole. Si canticchia felicemente la storia di una donna dai facili costumi e si deride anche l’immagine di questa signora: “Bocca di rosa” va oltre tutto questo e mi piacerebbe commentare questa canzone sul forum, presto lo farò e dirò tutte le impressioni che mi suscita. Molte canzoni di De André sono spesso viste sotto questo unico punto di vista (per fortuna non tutte) e “Il Pescatore” è una di queste. De Andrè era un grande perché riusciva ad esprimere con piccole storie di tutti i giorni la grandezza di sentimenti assolutamente eterni, perché faceva entrare la vita nella poesia inserendo la poesia nella realtà, univa sogno e realtà, realtà e sogno, umano e divino, collegando il divino con il terrestre ponendo i suoi versi in quella posizione di “Intelligenza” innata (dal termine proprio del latino: intelligenza che indica specificamente leggere tra umano e divino) e facendo capire all’ascoltatore, senza una parola di più, anzi con molte in meno, che la poesia può essere ricercata nella vita quotidiana e nei comportamenti istintivi di persone dal cuore nobile.
La canzone inizia con una musica coinvolgente, molto vivace, quasi a sottolineare il contrasto con la scena introduttiva del testo: il pescatore che è assopito al sole del tramonto(“ultimo sole”), come a non voler perdere nemmeno una stilla di quello che la bella giornata appena passata gli ha regalato e perché sicuramente affaticato dopo la levataccia della mattina e la sua lunga vita (il pescatore infatti è vecchio e lo si capirà dalla strofa successiva).
La partenza con una musica così vispa vuole forse evidenziare la scena inusuale che sta per avvenire o forse è la colonna sonora dell’assassino che sta scappando dai gendarmi. Non è difficile, infatti, rivedere nell’andamento frenetico della breve introduzione musicale la fuga scomposta del delinquente.
Tornando al pescatore, questi è assopito con “un solco lungo il viso come una specie di sorriso”: descrizione di una grandezza assoluta. Se ha un solco vuol dire che quella smorfia appartiene al suo modo di essere; ma solco può apparirci come un qualcosa di negativo, di involontario, un qualcosa che non abita nelle stanze della volontà di un uomo, come una cicatrice. Questo solco però assomiglia ad una specie di sorriso ed ecco che nella nostra mente, dopo la breve, brevissima frase di De André si forma l’immagine del volto di questo pescatore. Inutile negarlo: ce lo immaginiamo tutti allo stesso modo. Una spiegazione che può sembrare ambigua in realtà forma nella nostra testa un volto che sorge nella zona più remota del nostro essere ed esce prepotentemente allo scoperto donando al protagonista della canzone un’espressione visiva ben precisa: pensando ad un pescatore, infatti, immaginiamo un uomo rude ma dal cuore tenero, che sta zitto ma ha delle storie incredibili da raccontare, che sembra non interessarsi alle “cose dell’animo” ma che in realtà sappiamo essere un libero pensatore che riflette e riempie i suoi ampi pensieri con meditazioni stimolate dalla grandezza del mare, immaginiamo sempre che lui sappia quale sia la cosa migliore da fare, sempre senza ragionare più di tanto, sicuro. Tutto questo, e probabilmente molto di più, è rinchiuso nell’espressione “aveva un solco lungo il viso come una specie di sorriso”.
Adesso entra in scena la significativa figura dell’assassino. Questi ha “…due occhi grandi da bambino, due occhi enormi di paura eran gli specchi di un’avventura…” . Particolarità di un assassino: De Gregori scriverà più tardi due canzoni che qui mi piacerebbe citare: “Fine di un killer” e “Tutti hanno un cuore”. La prima evidenzia il fatto che la vita di un killer si svolge su un filo sottilissimo tra assennatezza e follia, con la catarsi o per meglio dire la presa di coscienza del protagonista (non è però facile da spiegare in poche parole). La seconda canzone sostiene l’ineluttabile asserzione che tutti hanno un cuore, tutti hanno sentimenti, passioni e non bisogna giudicare una persona punendo il suo essere ma solo i gesti da lui commessi.
Queste due considerazioni, aspetti di vedere la figura di una persona “particolare” come un assassino posso aiutarci per capire meglio il significato della figura di questo criminale deandreiano.
Alla vista del pescatore, che non si sbaglia mai, questo assassino ha degli occhi da bambino, ha paura e nel suo sguardo possono scorgersi mirabolanti avventure. Il pescatore non lo giudica perché non sa cosa abbia commesso, non è al corrente del terribile crimine del quale si è macchiato, non giudica il suo modo di essere. Forse giudicherebbe il suo gesto ma non lo conosce. In verità infatti il pescatore scorge lo sguardo di un bambino, vede un uomo che ha paura, che magari si è già pentito del suo gesto altrimenti non avrebbe quegli occhi pieni di paura, questo vede il pescatore e non può sapere dell’assasinio.
L’assassino “…chiese…” al vecchio pane e vino. Se fosse un assassino capace di uccidere ancora non chiederebbe, pretenderebbe e forse otterrebbe con la forza in caso di una negazione. Il criminale invece chiede il pane ed il vino. Fa presente la sua situazione al pescatore, dice di avere poco tempo e troppa fame, fa capire di essere inseguito e poi, quasi per un infantile voglia di convincere facendo paura all’impassibile pescatore, svela di essere un assassino.
Il pescatore non si scompone, a lui non importa cosa avesse commesso, spezza pane e versa il vino per un uomo che ne ha bisogno. Nel mondo di oggi forse è una utopia.
Tutti gli assertori della pena di morte qui dovrebbero chiudersi un attimo in meditazione.
La spiegazione e la reazione dell’assassino infatti è nella strofa successiva: “…fu il calore di un momento, poi via di nuovo verso il vento…”. Quel momento è il ritornare nello stato assennato da parte dell’assassino (collegamento con “Fine di un killer”) dettato dal comportamento conciliatore del pescatore.
Come sarebbe diverso il mondo se ad un gesto violento si rispondesse sempre con una carezza e con la voglia di capire cosa abbia spinto a quella violenza!
So che non sempre è facile, troppo spesso si tende a condannare, in molte parti del mondo si uccide senza pietà.
Vediamo il pescatore, un uomo magari senza una istruzione, senza avere un comportamento che segua il bon-ton, segue solo la forza vitale che gli viene da dentro e che lo spinge a dare da mangiare ad una persona affamata.
Il comportamento del vecchio smuove nell’animo dell’assassino il dolore per il ricordo di quando era bambino, di quando era giovane (aprile) e innocente. Un gesto di amore dopo il suo odio lo spinge a pentirsi inevitabilmente. Io sono convinto che è così che possa funzionare sempre. L’assassino rimpiange l’epoca innocente della sua giovinezza; mai e poi mai compirebbe nuovamente un gesto così deplorevole ed animalesco come un assassinio (o forse non lo farebbe solo per quel momento ma è fondamentale la sua catarsi, anche se solo per un istante, vuol dire che è così che funziona il suo animo).
Splendida l’immagine finale dei gendarmi che vanno dal pescatore chiedendo se avesse visto l’assassino.
Il vecchio mantiene quella ambigua espressione iniziale. Forse aveva capito del (seppur momentaneo) pentimento del delittuoso figuro, forse è un codardo omertoso. Quella sua espressione ci mette di nuovo in crisi e ci lascia una sola certezza: quest’uomo sa sempre quale sia la cosa migliore da fare.
"...e che questa vecchia ribelle speranza non sia più l'assurda distanza tra gli occhi e le stelle..."