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saphir
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Italy
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Inserito - lug 07 2002 : 23:28:45
Ero a casa, quel mattino di un torrido agosto. Non ricordo, che strano, se era un sabato o una domenica...ma il resto non posso scordarlo. La mia casa era a due passi dalla stazione, mia madre e mio figlio, di appena due anni, dovevano partire per il mare proprio quel mattino e proprio in treno, ma lui aveva la febbre ed eravamo in attesa della sua pediatra. Un boato fortissimo...i vetri delle finestre che tintinnano come sul punto di spezzarsi...sento il pavimento vibrare sotto i miei piedi... poi un silenzio opprimente. Pochi secondi dopo l'urlo lacerante delle sirene delle ambulanze spezza l'aria e sembra non interrompersi mai. Accendo la radio, ma ancora prima di potere udire la voce del giornalista, che interrompe il programma in corso per annunciare lo scoppio della bomba, comincio a vestirmi e preparare tutto quello che mi serve. Mia madre stralunata mi chiede dove vado. "In ospedale", le rispondo. "Ma non sei di turno! Ci saranno pure altri medici che lavorano oggi...tuo figlio ha la febbre e la pediatra sta arrivando". Non le rispondo nemmeno...lo stetoscopio è sempre nella mia borsetta dal giorno in cui ho fatto l'esame di abilitazione... deformazione professionale? Forse, ma per me è un compagno, un amico fidato a cui affido la vita degli altri e la mia tranquillità... quando cambio la borsa è la prima cosa che vi metto dentro, insieme a un bisturi e un laccio emostatico. Ma lui, soprattutto lui, non manca mai. Mi accompagna anche nelle passeggiate in montagna, celato e protetto dentro lo zaino che ho sulle spalle. Quel giorno... Scendo in cortile per prendere la macchina. Gente che corre per la strada...urla in lontananza ma, sopra a tutto questo, un incessante e straziante urlo delle sirene che sembra non avere mai fine. In meno di dieci minuti entro nell'atrio del mio istituto...il mio ambulatorio è nel sotterraneo e i reparti chirurgici occupano tre dei cinque piani. Sul momento sembra che l'atrio sia deserto..automaticamente lancio un'occhiata al banco dei portieri...sono tre, mentre nei giorni festivi ce n'è sempre solo uno. Due di loro sono al telefono e uno scrive incessantemente. Una mano alzata mi fa capire che mi hanno notato...scendo a cambiarmi...una corsa giù per le scale, più veloce, più sicuro. Infilo una tuta verde da sala operatoria, più pratica, più fresca, più ordinata. Quanto sarò stata via? Cinque minuti al massimo. E' già tutto cambiato nell'atrio...colleghi in abbondanza, tutti venuti dalle loro case in cui si godevano un meritato riposo...non c'è tempo per scambiarsi saluti e cerimonie e nemmeno per togliersi i vestiti... la maggioranza sale così com'è negli ascensori e si dirige ai propri reparti. Io non ho un reparto, ma sono anche il consulente cardiologo dei reparti chirurgici. Scendo al primo di questi reparti che comprende Chirurgia Toracica, Chirurgia Generale e Chirurgia Vascolare...ogniuna col suo Direttore, ma non in agosto...in quel mese ci sono solo assistenti, a volte nemmeno un aiuto. Quel giorno ci sono i visi noti di amici più che colleghi...con cui normalmente si scherza o si discute dei casi che dovranno essere sottoposti a intervento...ma nessuno di noi si rivolge la parola... non occorre, sappiamo tutti perchè siamo lì e che il tempo è il nemico comune. Quante persone lungo i corridoi e davanti alle guardiole della caposala e degli infermieri! Abiti stracciati e sporchi, sangue dappertutto, non si riesce a capire se proviene dalle loro ferite o da... Meglio non pensarci, questo è solo il tempo dei vivi...di chi ancora respira. Ma soprattutto ciò che colpisce è lo sguardo. Stralunato, spaurito, vacuo. La prima persona che incontro è un giovane uomo...è letteralmente coperto di sangue, una macchia rossa che sembra espandersi sugli abiti e sulla pelle del volto, delle braccia, delle gambe. Fermo come una statua in mezzo al corridoio...silenzioso...gli occhi abbassati come per guardarsi i piedi. I miei colleghi si sono già diretti in reparto, afferrando a caso i camici che si trovano nelle guardiole. Gli metto una mano sulla spalla...lieve per non spaventarlo. Alza gli occhi...occhi cupi, ma allo stesso tempo così lontani: "La prego", mi dice, "mi aiuti a cercare la testa della mia ragazza..è rotolata via, la devo ritrovare" La voce non ha alcuna intonazione...lui è sempre immobile e dopo questa frase riabbassa lo sguardo. E' come se un brivido mi avesse attraversato tutto il corpo...ho la pelle d'oca... peggio, è come una scarica di corrente elettrica. Gli prendo la mano e lui docile mi segue. Lo trascino nella stanza di medicazione.. confusione dappertutto...se ci si soffermasse a pensare ci si sentirebbe "piccoli", impotenti, disperati...ma è un lusso che nessuno di noi può permettersi. Le infermiere sono prese d'assalto dai parenti che cercano i loro cari e che non sanno dove siano stati portati...nessuno di noi può chiedere l'aiuto di un infermiere, siamo soli e nello stesso tempo siamo insieme...se proprio non possiamo arrangiarci basta uno sguardo e chi può si precipita ad aiutare l'altro. Sembra di essere in guerra, allora l'avevo solo vista nei films e sentita raccontare da mio padre, ma è così che me la raffiguro. Il giovane uomo è in piedi in mezzo alla stanza di medicazione... l'unico lettino è già occupato e così pure tutte le sedie che siamo riusciti a recuperare. Si lascia esaminare senza fiatare e senza alzare mai lo sguardo...per fortuna che ho fatto un anno di pratica in chirurgia appena laureata. Ma non trovo ferite...neppure un graffio! Tutto quel sangue.... Prendo dall'armadietto dei medicinali un tranquillante, riempio un bicchiere usa e getta e gli porgo la mano...sul palmo una compressa rosa. Non so cosa sia stato, ma all'improvviso lacrime silenziose scendono copiose a rigargli le guance...solchi bianchi che scolorano il rosso che ricopre il suo viso. "La mia ragazza era sul marciapiede di fianco a me...la sua testa è rotolata sotto al treno, in mezzo ai binari e lei si è accasciata a terra". La voce è sempre monocorde...nessuna emozione in apparenza sembra trasparire. Non c'è tempo per la compassione...in meno di un quarto d'ora ci sono centinaia di feriti che occupano tutto lo spazio disponibile e le sale operatorie lavorano già a ritmo frenetico. Il cercapersone che ho nella tasca della casacca verde squilla di continuo...Lui ha inghiottito la compressa che gli ho dato e io me lo trascino dietro, tenendogli sempre la mano, mentre cerco il telefono per rispondere alla chiamata...ma il più delle volte sono solo consigli che chiedono. "Grazie per essere qui...non occorre che vieni in sala, al momento..." Mentre passo si allungano mani che afferrano lembi del tessuto della divisa, voci che chiedono... sempre quel tono: piatto, uniforme.... eppure sembra un coltello che lacera la mia carne. Dov'è il tal reparto? Dov'è l'ospedale Bellaria? Sa qualcosa di mia moglie, si chiama... Tengo sempre la mano di quel giovane uomo di cui mi sono persino scordata di chiedere il nome, e lui mi segue come un cagnolino il padrone. Poi mi sembra di non riuscire più a respirare...c'è troppa gente, troppi feriti ed ora anche troppe barelle e troppo silenzio!Nemmeno un bambino, ma è normale che non siano lì. Lo porto nella sala d'aspetto...ci sono molte persone, in attesa di notizie dei loro cari che ora sono in sala operatoria. "Si sieda qui, per favore" e agli altri "Per favore non lasciatelo andare via e se avete bisogno suonate quel campanello, qualcuno arriverà di sicuro". Pare strano ma so che è così. Ormai sono passate ore, credo, e sono arrivati anche colleghi che hanno interrotto le loro vacanze e si sono messi in macchina per tornare dove c'è bisogno di loro. Non servono parole, bastano sguardi. Ho visto di tutto e di più. Il buio ormai impregna ogni cosa eppure non siamo nemmeno un po' stanchi...nessuno ha mangiato, ma lo scopriamo solo il giorno successivo...nessuno ha dormito e tutti abbiamo fatto di tutto, chirurghi che facevano i medici, gli ortopedici, i ferristi e gli infermieri, i barellieri ed anche i preti se serviva...medici che facevano i chirurghi, gli psicologi, e tutto ciò che occorreva al momento...ciascuno di noi sapeva che in caso di necessità si sarebbe trovato al fianco chi poteva risolvere una situazione difficile, ma finchè non lo era si arrangiava per non distrarre l'attenzione da chi ne aveva più urgenza e bisogno. E poi...vennero i racconti. Vennero all'alba...mentre un raggio di sole rompeva le tenebre... cominciarono a fluire le parole, i pianti e i lamenti...si stava tornando nel mondo reale...prima era solo un incubo che ciascuno viveva da solo...ora ci si stringeva l'un l'altro e le lacrime univano tutti, i feriti e dispersi, i morti e noi che avevamo partecipato anche solo con la nostra presenza. Avevo scordato mio figlio...me lo ricordò un'infermiera al mattino, mentre stavo andando in Urologia a vedere un paziente appena uscito dalla sala operatoria. "Dottoressa, ha telefonato sua madre più volte ieri, ma non abbiamo avuto il tempo di avvertirla"... "Avete fatto benissimo" Se fosse stato importante sapevo che la pediatra sarebbe venuta a cercarmi...era la moglie del mio direttore. Non avevo pensato a mio figlio, è vero, ma sapevo d'istinto che era al sicuro...lui era protetto. Lui era stato fortunato quel giorno ed io con lui.
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pollyanna
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Inserito - lug 08 2002 : 01:49:33
Sì ricordo anche io quel maledetto 2 agosto,sabato, era il giorno del mio anniversario: abitavo all'epoca a Castelfranco Emilia, e io e la mia figliastra Tiziana dovevamo prendere il treno per andare a Bologna da mia suocera...mio marito aveva un appuntamento con un cliente, e ci avrebbe raggiunto + tardi. Io e Tiziana eravamo pronte ad avviarci in Stazione, quando arrivò mio marito, il cliente aveva disdetto l'appuntamento.... Così arrivammo a Bologna proprio un poco dopo il momento del fatidico scoppio, ricordo che arrivando sui viali dalla via emilia, era il caos + completo, e noi nn si capiva cosa era successo. Quando finalmente riuscimmo a passare, alla gente che faceva cappannello lungo le strade chiedemmo cosa fosse successo: è stata una bomba in stazione!!! io e mio marito ci guardammo attoniti: Tiziana sonnecchiava sul sedile di dietro... la guardai e poi scoppiai a piangere. Sì debbo dire che in quel momento nn pensai alle centinaia di persone che potevano essere morte o ferite, ma solo al miracolo di Tiziana e della sottoscritta ancora vive. Non ricordo il nome del cliente che rimandò l'appuntamento, ma nn anche così nn lo dimenticherò, perchè grazie a lui io e mia figlia siamo ancora vive. Non so se cè un disegno in tutto questo, ma mi aiuta ad andare avanti il solo fatto di pensarlo,anche se avolte devi ingoiare sofferenze come fossero caramelle. GRAZIE Saphir, per avercelo fatto ricordare. |
Ohara
Curatore
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Inserito - lug 15 2002 : 21:48:21
Saphir...mi hai fatto accapponare la pelle nel ricordo..non riesco a dire nient altro....solo che devi aver passato dei momenti terribili....non ci sarei riuscita...grazie per esserci e grazie alle persone come teMi scuso solo per non aver letto il tuo messaggio prima Ti abbraccio forte forte ScarlettOharacherabbrividisce Scarlett Ohara |
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