saphir
Curatore
Italy
180 Inseriti
100 Gold
96 Punti Rep. |
Inserito - ott 07 2002 : 19:54:34
La mattina seguente alle 9 ero in clinica dal mio amico. Ricordo ancora cosa indossavo: una gonna corta marrone gessata e una giacca rosa pallido, di panno, che mi stava particolarmente bene. Ma allora ero ancora carina. Sapete qual’è il mio colore preferito in assoluto? Il nero. Più del 50% dei miei vestiti, delle camicette e dei golf sono, e sono sempre stati, neri. Poi il rosso. Ed infine, a pari merito, il rosa e l’azzurro. Ma non avevo indossato nulla di nero, non quel mattino. Il rosso era un colore troppo solare, troppo allegro...non riuscivo a metterlo. Era rimasto il rosa. Un tenue rosa polvere. Mi aspettava nell’atrio, ma l’ho visto io per prima...così come ho visto cambiare il suo sguardo appena si è accorto di me..un fuggevole lampo di paura, di dubbio e quasi di repulsione. Nanosecondi, però visibile. Poi il sorriso che si allarga sul viso e la calma che scende negli occhi a celare quello che, comunque, avevo già visto.Vi porto ora in un teatro...nel teatro della medicina dove i pazienti sono gli attori e i medici sono i registi e gli sceneggiatori. E’ uno spettacolo che non vi farà mai vedere nessuno, perché i medici stessi non ne sono pienamente consapevoli, o meglio è frutto di anni e anni di allenamento inconscio…si impara durante il corso di laurea, si perfeziona quando si comincia a frequentare il policlinico come studenti, si affina dopo la laurea e si diventa “specialisti” ogni giorno di più negli anni a seguire, man mano che ”scopriamo” quanto terribili siano i casi umani. Sembra un paradosso...più sono terribili e più dovremmo essere partecipi ed in effetti, dentro di noi o di molti di noi, lo siamo davvero, ma a volte quella che può essere scambiata per indifferenza è, invece, concentrazione: nella nostra mente si formano le immagini che riceviamo dalla vista del Paziente, dalla sua voce che racconta, dalle nostre mani che lo esplorano...si susseguono le informazioni e si “formano” le pagine dei libri studiati, dei casi clinici simili già visti in passato..il nostro cervello elabora i dati proprio come un calcolatore e con la stessa freddezza e lucidità della macchina. Più sono terribili e più hanno bisogno di una soluzione, una soluzione spesso molto complessa e difficile..e a volte la soluzione non c’è o è solo palliativa, momentanea, ma è nostro dovere cercarla e applicarla lo stesso al meglio. Una routine che nessuno ammetterà mai di fare consapevolmente, anche perché è vero che la sua applicazione è inconsapevole...fino a che qualcosa increspa quella superficie che prima era piatta come quella del mare in una giornata di bonaccia. Nessuno lo ammetterà. Io sì. Solo perché ora sono una “diversa”. Solo perché ora mi rendo conto di quanto noi abbiamo bisogno di voi, della vostra pazienza e tolleranza, per sentirci ancora parte del mondo dei vivi. Solo perché ho valicato quella frontiera che separa il medico dal paziente e mi ritrovo dall’altra parte più spaventata e conscia di un paziente qualunque ma, finalmente, sono entrata nel suo cuore e nella sua mente come mai prima. Non è per me che scrivo questi brani...è per loro. Solo io vi condurrò dietro le quinte e, spero, voi mi seguirete e ricorderete. So che è difficile per entrambi: per me e per voi. Però dietro le quinte di quel teatro ci sono anche gli essere umani.. ogni medico ha un cuore, ha delle paure per sè e per i propri famigliari e sono queste paure che non devono affiorare a livello cosciente. Se accadesse non potremmo avvicinarci a nessuno, ci chiuderemmo sotto una cappa di vetro per proteggere noi stessi o, peggio, cercheremmo di dimenticare tutto quello che abbiamo studiato perché NON dobbiamo pensare mai che al posto di quel Paziente potremmo esserci noi, un giorno..e quel giorno dovremmo applicare la stessa procedura di diagnosi, valutazione e prognosi su noi stessi con la stessa freddezza e obiettività che abbiamo usato per il Paziente...e, inevitabilmente, giungeremmo alle stesse conclusioni... e a quel punto saremmo di fronte a una sconfitta che ci lascia senza respiro, a un’angoscia così totale, profonda ed estrema che una parte di noi sarebbe già morta molto prima che la morte arrivi davvero. Avete mai notato quanto sia goffo e quasi “insensibile” e con quanta difficoltà un medico parli ai famigliari di un caso disperato o del decesso di un loro congiunto? Vi siete mai chiesti il perché? Queste “comunicazioni” sono le nostre sconfitte. Dolorose, dure da accettare come il fatto che non siamo onnipotenti mentre vorremmo esserlo, mentre abbiamo sperato fino all’ultimo di poter “vincere”. Queste comunicazioni sono la nostra coscienza che ci tormenta. Che ci fa toccare con mano quanta strada ci sia ancora da fare, mentre vorremmo che si potesse scoprire ogni cosa che ci serve a cambiare il decorso di una malattia nel breve spazio di un momento. Chi ha visto il film “City of Angels”? Chi l’ha visto ricorderà la scena iniziale in cui Meg Ryan procede a un’intervento di by pass su un suo paziente cardiopatico. Moltissimi chirurghi, se non tutti, hanno i loro Cd preferiti o i nastri di musica che consegnano all’infermiere prima di “lavarsi” ed indossare indumenti sterili. Anche questo rituale fa parte della complessità della psiche del medico ed anche della sua “superstizione”. La musica rilassa. Proprio come chi guida veloce un’auto tiene la radio accesa, così il chirurgo fa inserire la sua musica preferita. Rilassa e permette la concentrazione...tiene sveglia la mente. Non c’è mai un solo chirurgo per intervento, ma una equipe..eppure la musica che si diffonde mischiandosi alla fresca aria condizionata e che aleggia intorno alle caldissime e accecanti luci che illuminano il tavolo operatorio è scelta solo da colui che sarà il vero regista di quell’intervento. Ricordate le note che si diffondevano mentre lei operava..le chiacchiere “leggere” fra coloro che erano intorno al tavolo (a volte si tratta di barzellette, oppure del riassunto di un film visto di recente, o ancora di aneddoti o storie di vita famigliare)..i suoi movimenti per rilassare i muscoli del collo..il veloce ma sicuro sguardo verso il monitor cardiaco...i dettagli che l’anestesista riferisce periodicamente..l’attimo di panico per una compressa di garza che risulta mancante...e...il momento in cui lei, operatore primario, dopo aver concluso l’intervento lascia la sala perché gli altri chirurghi di appoggio completino la sutura dei vari strati che sono stati attraversati dall’incisione? Ricordate la sua aria sicura, soddisfatta? In quel momento lei pensa alla sua vittoria su quello che sarebbe stato il destino di quell’uomo se lei non avesse eseguito l’intervento. E gioisce per lui e per se stessa. In quel momento lei pensa a quanto può essere grande la medicina... pensa alle sue mani che hanno cambiato il decorso naturale di quel paziente e non può non sentirsi soddisfatta per gli anni e le fatiche consumati alla ricerca di quel risultato. Le notti insonni, le migliaia di libri e riviste studiate, gli aggiornamenti, la pazienza, la pratica, i sacrifici...tutto ha contribuito, ma ne è valsa la pena. Sa che tutto questo non avrà mai fine, ci saranno altri libri, altri studi, altre notti insonni, altre tecniche da imparare, ma cambiare un destino vale tutto questo e altro. Ricordate l’osservazione di uno degli altri chirurghi? Più o meno dice: “sta diventando proprio bravina” con tono ironico e un po’ sprezzante...quasi a significare che questo fatto possa condurla verso la superbia. Non è solo un film, ma è la realtà di una sala operatoria. E’ la realtà della mentalità del medico. Di moltissimi medici. Di tutti quelli che credono nella medicina e nelle sue potenzialità. Di quelli che ancora lottano perché “credono” e che non vogliono arrendersi mai. Fondamentalmente ci sono due tipi di medico: quello che ama le auto sportive o le moto di grossa cilindrata e quello che ama le berline.. o meglio le auto comode e silenziose...viaggia rispettando i limiti di velocità e nella vita e nella medicina si comporta come per la sua auto. Lo sapete che il peggior medico il 90% delle volte fa la cosa giusta o almeno non fa nulla di dannoso? Ma è l'altro 10% che distingue il migliore dal mediocre. In diagnostica medica c'è un concetto che si chiama "legittima suspicione"....in parole povere se non sai cosa cerchi non puoi trovarlo. Quanto più valente è un medico tanto più numerose sono le possibilità diagnostiche che lui vaglia in un dato caso. Lo stesso fa con tutto ciò che riguarda l'applicazione delle sue conoscenze e gli interventi che decide di applicare. I medici vi dicono che le cose stanno o non stanno in dato modo semplicemente perchè lo dicono loro...questa è la facciata pubblica, ma sapete perchè? Perchè la gente ha bisogno di sicurezza...di sapere che c'è qualcuno a cui può rivolgersi e che conosce tutte le risposte. Ma il medico più accurato sa che non è così...sa che non si conoscono tutte le risposte e studia, si concentra, affina le tecniche, allarga gli orizzonti al di là della sua specialità per evitare al massimo gli errori umani. Lei è questo tipo di medico. Ho visto telefilm su medici, film su medici ma mai in nessuno di essi il personaggio era era così aderente alla realtà e simile a un certo tipo di medico. Anch'io le sue reazioni le ho vissute centinaia di volte. L’insonnia..il chiedersi se si è fatto tutto in modo giusto..rivivere dentro di sè tutti i passaggi che hanno condotto a una diagnosi, a una scelta che si è tradotta in un successo come, e soprattutto, in un insuccesso...i libri portati per il turno di guardia...studiare invece di dormire..chiedere a chi è più esperto i dubbi che ci tormentano, telefonando anche in piena notte..non riuscire a scordare un caso irrisolto finchè non hai trovato la soluzione...dimenticarsi della fame, della sete, di chi ti aspetta a casa, dello scorrere del tempo se c’è qualcosa che ha catturato la tua attenzione o se c’è bisogno di te. Non si tratta di superbia, per il personaggio di Meg Ryan, ma di consapevolezza del potere della medicina quando si hanno gli strumenti adatti, le cognizioni giuste, la prontezza e l’accuratezza necessaria, la forza e il coraggio per farlo. In quella frase e nel tono del collega c’è invidia e ammirazione, forse non ancora ben distinti...lui, ancora insicuro, vorrebbe essere già come lei, ma in fondo sa che è ancora soggetto a sbagliare...che non è in grado di fare delle scelte..che ha paura della responsabilità di una vita. Si sente un medico che non ha ancora studiato abbastanza, visto abbastanza, imparato abbastanza..che non ha abbastanza coscienza di sé o l’umiltà per formarsela. Lui vede un uomo sul tavolo operatorio, lei vede un intervento da eseguire..lei vede un caso clinico, vede le pagine degli atlanti anatomici, vede i vasi, le tecniche, i parametri da tenere sotto controllo..le possibili complicanze..lei “ricorda” quello che ha studiato e fatto centinaia di volte...lei è concentrata su ogni dettaglio, cose da fare e soprattutto da non fare. Applica la sua esperienza. Sa che se non fa tutte queste cose, se non le fa al meglio, il risultato sarà disastroso. Può sembrarvi cinico, ma non lo è. E’ il presupposto per l’obiettività e la responsabilità. E’ quello che può fare la differenza fra cambiare la storia naturale di quell’essere umano o non provarci neppure. O, peggio, sbagliare e perderlo. Quando alla fine ogni tassello sembra al suo posto, proprio come per un puzzle, è felice...e solo allora si può concedere di pensare consapevolmente all’uomo...anzi, anche se nel film non si vede, nel momento in cui varca la soglia della sala sterile per rientrare in quella dove ci si prepara, lei esulta per lui e rivolge a se stessa un sorriso di compiacimento per essere riuscita ancora una volta a tenere tutto sotto controllo. In quel momento lei ha vinto non solo la sua battaglia, ma soprattutto quella del Paziente..lei ha “riscritto” le regole, ha cambiato la sua storia e solo allora può sentirsi fiera di essere un medico e può esultare per questo risultato. Chi non ha mai desiderato di cambiare il corso della storia? Pensate se si potesse in qualche modo tornare indietro e"riscriverla". Si potrebbe cancellare l'inquisizione, Hitler e l'olocausto, le guerre, le purghe di Stalin, i milioni di morti cinesi...si potrebbe cancellare la peste, la "spagnola"...immaginate come si sentirebbe colui che fosse in grado di fare anche solo in parte una di queste cose. La medicina può offrire un'opportunità simile,anche se infinitesimale al suo confronto. Eppure se pensate alla mortalità infantile all'inizio del ventesimo secolo e a come sia cambiata con l'avvento degli antibiotici, si potrebbe paragonare Pasteur a un "viaggiatore del tempo". Seguitemi ancora... La situazione precipita all’improvviso, inattesa..lei rientra in sala operatoria..c’è tensione in quel momento..urgenza. E’ ancora efficiente, se non di più, ma la situazione è cambiata. Deve ricordare in fretta..esaminare in fretta..decidere in fretta.. lavorare in fretta. Ma non per questo non è in grado di farlo, lo fa automaticamente perché tante altre volte ha dovuto affrontare situazioni analoghe, solo che ora si tratta di una lotta...ora quel “caso clinico” si è trasformato in un uomo e lei ne è cosciente. Anche lei, in parte, si è trasformata in umana. Ricordate come lo incita? Lui è sotto anestesia, non può udirla..ma lei lo incita ugualmente. Lei è la regista e lui l’attore..sono entrambi dalla stessa parte, mentre dall’altro lato del vetro c’è... “il nemico” comune. Lei sa che può farcela..ha le cognizioni per farlo, la volontà, la speranza, la voglia di vincere. Lei sa che può prendere le decisioni giuste. Lei deve credere di riuscire! Il dubbio di fallire non deve nemmeno sfiorarla. Deve solo pensare costantemente alle cose da fare...stare attenta. Mentre le sue mani lavorano e le parole le escono dalla bocca il suo cervello esamina ogni più piccolo dettaglio, “sfoglia” pagine e pagine di libri, ascolta la voce dei suoi maestri..il suo cervello, rapidissimo, esamina e scarta migliaia di ipotesi e soluzioni, di cose da fare e da controllare, numeri e dati si susseguono... pensieri si concretizzano in ordini udibili dai suoi assistenti e dagli infermieri..e, con quel cuore fra le mani, incita se stessa e il paziente. Non lo abbandonerà. Glielo faranno lasciare. Ha perso. Lei è seduta sulle scale da sola...piange. In realtà fa più che piangere, perché mentre le lacrime scendono a rigarle il viso, lei si domanda dove ha sbagliato. Pensateci...riflettete... Non incolpa Dio, il fato o chissà cosa. Si chiede dove ha sbagliato. E’ sicura di aver sbagliato. Di non essere stata all’altezza. E riesamina meticolosamente ogni gesto, ogni ipotesi,ogni possibilità che potrebbe non aver preso in considerazione. Incolpa se stessa. Nessun altro che se stessa. Nemmeno le assicurazioni dei colleghi la convincono. Lei ha perso un Paziente...questa è l’unica cosa che conta. Lei si è rivelata fallibile. La medicina si è rivelata fallibile. C'è sgomento e inquietudine di fronte alla fallibilità. E’ il punto cruciale. Nessuno di noi vuole essere fallibile. Detestiamo le battaglie perse in partenza perché ci fanno prendere coscienza della nostra fallibilità. Siamo degli strateghi, dei condottieri coraggiosi e infaticabili... possiamo accettare una sconfitta se questa servirà a vincere la battaglia successiva, ma per noi è sempre difficile tollerarla, ci crea dei dubbi su noi stessi e sulla medicina e resta la consapevolezza di aver fallito...resta sopra ogni cosa. Anche al di sopra del razionale, delle rassicurazioni. Io ricordo tutti i casi in cui ho perso la battaglia per la vita o per una vita migliore...i volti di quei Pazienti sono impressi per sempre nel mio cuore e nella mia mente, soprattutto..così come le loro storie e la causa della loro morte, mentre non ricordo quasi nessuno di quelli in cui il paziente si è salvato...tranne rare eccezioni: i casi particolari in cui un'intuizione felice o una serie di eventi ben congeniati si è rivelata determinante. Quei casi vengono "archiviati" nella memoria per essere ripresi in considerazione ogni volta che ci si trova in una situazione analoga. Non importa quanto tempo servirà per vincere ogni battaglia per la vita..noi lavoriamo per ottenere la vittoria sulle malattie in generale, sulla totalità delle malattie. E’ questa convinzione che ci fa andare avanti altrimenti ci saremmo già arresi da un pezzo e tranne pochi che la praticherebbero ancora, la medicina sarebbe morta. La ricerca sarebbe morta. La speranza sarebbe morta. Come sarebbe stata la medicina moderna senza Pasteur, Curie e tutti i ricercatori che non si arrendono alle difficoltà, alla mancanza di fondi, agli ostacoli di ogni genere? Come sarebbe stata se non avessero spesso rischiato la loro vita in nome di un sogno: quello di sconfiggere un nemico? Siamo consapevoli che dopo quella battaglia ce ne sarà un’altra, un nuovo nemico da sconfiggere e da studiare...non si finisce mai di imparare e di scoprire..la medicina è come l’universo..un microcosmo in espansione..e come in ogni universo brillano le stelle, così nel nostro le stelle sono le vittorie, mentre ogni sconfitta spegne tutti i bagliori e occorre tanto tempo prima di poterne scorgere altre. Per tutto questo i medici pensano a se stessi come a dei soldati invincibili, non esposti alle malattie e quindi con la loro integrità mentale non offuscata da preoccupazioni personali. Ricordate ciò che ho scritto nel "Diario per non dimenticare"? Era tutto vero, anche la partecipazione personale alle tristi vicende di quei pazienti...eppure anche così loro mi insegnavano qualcosa... qualcosa per poter essere utile ad altri come loro, qualcosa per motivarmi a continuare a lottare...mi davano la voglia di approfondire le cognizioni sulle loro malattie, sul loro atteggiamento mentale, su come aiutarli...il desiderio di "andare oltre a loro". Se avessi pensato anche solo per un attimo che non sarebbe stato possibile, non avrei potuto continuare a fare il medico e tutta la mia vita avrebbe perso ogni senso. La mia vita era la medicina e la sua continua evoluzione.
|