Mi son seduto raccogliendomi in una noce e con occhi di latte ti ho guardata per tutta la notte, ferma sotto un lenzuolo di cotone luminoso, stropicciato proprio dove le tue curve avrebbero aiutato il mio sguardo a scivolar meglio.Hai scritto poesia sulla mia pelle prima e io ero schiacciato come un foglio, sotto il peso dell’incapacita’ di asciugare il mare di inchiostro che mi stavi offrendo. Lasciavo che le tue virgole di lingua dondolassero sul mio stomaco e i tuoi punti mi calcassero baci sul collo, sulle braccia, sulle gambe e tra le righe del petto.
Ero quasi scosso, spaventato dalla insolita potenza della tua passione, dalla forza dell’amore che mi stavi regalando e i miei movimenti meccanici attenti e calibrati a darti piacere e non dolore, mi lasciavano un gusto di falsita’ e ingiustizia.
Vedevo la fragilita’ che vedo ora nel tuo sonno, nonostante l’impeto e il desiderio che ti rendevano ballerina di flamenco sul mio palco, ed ero spaventato.
Ora vibro di voglia d’accarezzarti ma non voglio svegliarti dal sonno sereno che quell’abbozzo di sorriso, messo li come dipinto su tela, esprime incantevolmente. Continuo a fissarti come se da un momento all’altro io potessi svanire nel nulla, come fossi un tuo sogno.
E penso che vorrei esserlo: solo un sogno. Sparire domani, lasciandoti una emozione; sparire senza soffrire ne’ farti soffrire. Sarebbe cosi’ facile mentre, invece, saro’ costretto a darti delusioni oltre a tutta la felicita’ di cui saro’ capace.
Dario Carta