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 L'IO al Cinema
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Pamela Lawi
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Inserito - 13/02/2005 :  19:14:05  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Pamela Lawi  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Pamela Lawi
L'IO al Cinema.

Il cinema è sempre stato definito, fin dalle origini, una "fabbrica dei sogni", una macchina che produce artificialmente sogni.

Questa espressione è ben radicata nel linguaggio comune: il cinema viene visto come il più grande strumento di evasione, in grado di rappresentare e fare prendere corpo ai desideri degli spettatori, anche i più irrealizzabili.

Proprio al cinema si forma lo spettatore tipo del 900. La modernità porta una reciproca interdipendenza tra chi osserva e chi è osservato. Lo spettatore per Bloomberg è simile a un naufrago, assiste allo spettacolo completamente immerso e non fuori da ciò che succede.
Lo spettatore ha bisogno che gli siano offerte alcune condizioni, una sala oscura, priva di rumori, comoda, in cui possa lasciarsi andare e sospendere l’attenta attenzione, necessaria nella vita reale. Le caratteristiche della fruizione cinematografica sono regressive, riducono la vigilanza dell’Io e lo stesso principio di realtà, fino a favorire una sorta di stato ipnotico e di transfert.

La sala oscura equivale ad un conseguente distacco dal mondo esterno. Quando si illumina lo schermo, il film evoca la visione, in quanto una serie di immagini compaiono e ricompaiono accavallandosi.
Il cinema offre ad un gran numero di persone la possibilità di sognare insieme lo stesso sogno e mostra i fantasmi dell'irreale.
Lo spettatore al cinema si trova di fronte ad uno spazio fittizio, non reale, ma questo presenta tutti i caratteri della realtà: la sua percezione si sposta da una situazione concreta, quella di una sala dallo schermo bidimensionale ad una fittizia, ma non meno reale, a livello psicologico, della prima, la storia del film.

Il cinema ha un'influenza sul pubblico maggiore di qualsiasi arte, in quanto trasporta lo spettatore in un'altra realtà, ideale, ma al tempo stesso, reale. Lo spettatore cinematografico prova un’”impressione di realtà", derivante dal fatto che le immagini in movimento sullo schermo "prendono corpo", si materializzano.
I film, consentono di soddisfare desideri latenti, a seguito di un allentamento della vigilanza sul mondo esterno, si dimenticano facilmente e restano dei sedimenti nella memoria, andando a costituire il nostro background culturale.

Ci sono diversi modi per considerare lo spettatore del cinema.
Si potrebbero fare diverse analisi sui vari tipi di pubblico a livello sociale, statistico, economico etc..
Si può affermare che ci sia un collegamento tra l’evoluzione del pubblico del cinema e l’evoluzione estetica generale del film. La reazione dello spettatore del film può essere analizzata come esperienza individuale, psicologica, estetica soggettiva.

Il teorico del cinema Hugo Munstemberg si interessa della ricezione del film da parte dello spettatore, i rapporti tra la natura dei mezzi filmici e la struttura del film in rapporto alle categorie dello spirito umano.
Secondo Munstemberg il movimento apparente che vediamo sullo schermo non è causato dalla retina visiva (fenomeno della persistenza retinica) bensì dal nostro cervello. Il cinema secondo lo studioso diventa un processo mentale.
Il cinema diventa l’ arte dell’attenzione, della memoria, dell’immaginazione e delle emozioni. Questo si rivolge allo spirito umano e ne imita i meccanismi.
Il film, esiste nello spirito che gli dà la sua realtà e non sulla pellicola o sullo schermo. Per Munstemberg è il film a raccontare la storia umana oltrepassando le forme del mondo esteriore fatto di spazio, tempo e causalità e adeguando gli eventi alle forme del mondo interiore che combina attenzione, memoria, immaginazione e emozione. Lo spettatore diventa colui per cui il film funziona, la riproduzione del movimento, le emozioni, la finzione, tutto è fatto per riprodurre e rappresentare lo spirito umano, perciò attualizzare un film ideale, astratto che esiste solo per lui e tramite lui.

Per Rudolf Arheim si tratta invece di un fenomeno mentale che implica percezione, associazione e memorizzazione ma si interessa della rappresentazione meccanica-fotografica del mondo. Il film può riprodurre sensazioni analoghe a quelle che colpiscono il nostro senso. La percezione del reale, la mente umana è ciò che dà al reale il suo senso ma prende da esso le caratteristiche fisiche: forma, il colore, il contrasto. Oggetti del mondo sono il prodotto di operazioni della messa in scena di una rappresentazione mentale. lo spettatore attribuisce al personaggio un "regime di credulità", si crea un'esperienza soggettiva poiché noi vediamo con i nostri occhi le visioni "mentali" del personaggio, con una forte dose di irrazionalità.
La visione è attività creatrice dello spirito umano. Il mondo è suscettibile a alcune forme di organizzazione, il cervello e i sensi plasmano il mondo ma le strutture che il cervello impone al mondo sono un riflesso di ciò che si trova in natura. Come il cinema induce emozioni e influenza lo spettatore è una problematica di tutti i grandi cineasti.

Già Griffith sembrava essere molto sensibile all’influenza esercitata dai suoi film al pubblico. Nel finale di Born of a Nation la scena del salvataggio all’ultimo minuto gioca tutta sull’angoscia provocata allo spettatore e grazie al montaggio alternato, il regista confessa qualche simpatia per i salvatori del Ku Klux Klan. L’interesse per lo spettatore e la propaganda furono molto forti in Europa in cui la preoccupazione di impressionare lo spettatore assume forme diverse dai cineasti impressionisti francesi ( Louis Delluc, Jean Epstein e Gance) agli espressionisti tedeschi.

Tuttavia furono i cineasti russi e l’istituzione del cinema sovietico come mezzo di espressione, educazione, e propaganda coloro che si interessarono di più all’influenza che il cinema poteva avere sul pubblico. La nascita della Scuola di Montaggio Sovietico nel 1929. Il cinema viene visto come Narkompros ossia un nuovo linguaggio da sfruttare per rapportarsi al pubblico. La maggior parte della gente era analfabeta o semianalfabeta, sparsa su un vastissimo territorio, il cinema nazionalizzato nel 1919 si presta come ottimo strumento per istruire e fare della propaganda. I primi studi sul montaggio vennero svolti nel laboratorio di Kulesov. Pudovkin spiega l’ Effetto Kuleshov come “Se un’emozione porta a un certo movimento, l’imitazione del movimento porta all’ evocare l’emozione. Il montaggio porta le associazioni, e va in funzione di un associazione di eventi sia movimentata che calma e avrà sul pubblico effetto eccitante o calmante”. Utilizzando materiale di repertorio si monta la stessa inquadratura in primo piano e lo si fa seguire da altre inquadrature, il cui senso verrà recepito dai telespettatori. Ci si interessa dell’influenza esercitata sullo spettatore soprattutto grazie al montaggio, Ejzenstein scrisse molto sugli effetti che i diversi tipi di montaggio potevano avevano sul pubblico. Tra i più famosi il “Montaggio delle Attrazioni” di Ejzenstajn nel film Ottobre(1928) quando il regista accosta a Kerensky la figura del pavone e lascia interpretare pubblico al questo accostamento simbolico dal significato metaforico. Il regista russo definiva il prodotto artistico come un trattore che è lo psichismo dello spettatore secondo un dato orientamento di classe. Strappare ambienti circostanti secondo un calcolo cosciente e volontario, concepito in anticipo per conquistare lo spettatore, dopo aver scatenato su di lui questi frammenti in un confronto appropriato.

Vertov nei suoi scritti descrive bene come l’accurata selezione, fissazione e organizzazione prelevati dalla vita dei lavoratori e dai suoi nemici vengono proposte alle coscienze degli spettatori.
Si parla di un controllo reale e calcolato della forma filmica, un catalogo di stimoli elementari con effetti prevedibili di cui il film deve realizzare una combinazione sensata ossia il montaggio.
Con l’arrivo del parlato il tipo di influenza fatto da immagini si sposta alla parola. Il cinema verrà utilizzato come strumento di propaganda nei regimi.

Si effettuano varie analisi sulla ricezione del film e sui vari modi di ricezione dal punto di vista semiotico.
Edgar Morin nel suo saggio diceva che il reale percepito passa attraverso la forma di immagine, nasce come ricordo, l’ immagine di un immagine che a differenza della foto è animata e vivente.In questa duplice rappresentazione del vivente, il cinema invita a riflettere sull’immaginario della realtà. Il Cinema viene visto come magia.
Negli Anni 70 ci si domanda cosa lo spettatore cerca nel film e che tipo di posizione occupa.
Lo spettatore partecipa alla situazione cinematografica attraverso i meccanismi dell'identificazione e della proiezione. Grazie all'identificazione, lo spettatore è di volta in volta tutti i singoli personaggi, mentre per la proiezione i singoli personaggi sono sempre lo stesso spettatore.

L’identificazione che prende il via dagli studi psicologici di Sigmund Freud.
Si tratta di far vivere allo spettatore un’esperienza di angoscia, speranza di un personaggio e di mettersi al suo posto, analizzare il modo in cui lo spettatore vive ciò che viene proiettato sullo schermo.
Nella situazione cinematografica i fenomeni dell'identificazione sono molto intensi, in quanto lo spettatore si abbandona con tranquillità ai processi psichici che il film innesca, rassicurato dal carattere magico della situazione e dalla consapevolezza dei limiti di tempo propri della visione cinematografica.
Attraverso il meccanismo dell'identificazione lo spettatore vive in prima persona la vicenda che gli viene presentata. Generalmente l'identificazione dello spettatore si concentra prima sul personaggio principale, un individuo che pensa, agisce come, secondo lo spettatore.

Spesso i personaggi secondari permettono allo spettatore "identificazioni laterali" inconsce, che nella vita reale non sono permesse. Lo spettatore non assorbe soltanto, attraverso l'identificazione, atteggiamenti e sentimenti dei personaggi del film, ma arricchisce quei personaggi delle proprie dinamiche interne, meccanismo che viene indicato con il termine di proiezione.
La struttura rigida del linguaggio filmico consente un limitato esercizio di tale meccanismo, tuttavia la proiezione si manifesta tutte le volte che lo spettatore attribuisce ai personaggi del film sentimenti che sono, più o meno consapevolmente, suoi.

La capacità che ha il cinema di parlare direttamente all'inconscio dello spettatore, ha raccolto diverse "prove" di questa ipotesi: innanzitutto i casi di attacchi di "angoscia cinematografica", in cui l'individuo, preso da una paura immotivata, si sente addirittura in pericolo di vita. Lo spettatore che assiste ad una vicenda a lui del tutto estranea, può immedesimarsi con la situazione descritta sullo schermo fino a produrre tali forti manifestazioni emotive.
C'è, quindi maggior distanza dall'oggetto. Nel cinema, dato che non c'è rapporto con l'oggetto, c'è l'immaginario: mancando l'oggetto, lo spettatore cinematografico si pone in una dimensione ideale, evocando il rapporto con l'oggetto perduto o scena primaria (nel campo psicologico c'era la coppia di genitori che ignorava il bambino, qui c'è la storia del film che ignora lo spettatore).

Lo spettatore, nel momento in cui si concentra sulla tecnica cinematografica e si stupisce di essa, non vuole lasciarsi coinvolgere dalla storia, cercando appunto nell'aspetto tecnico il punto da cui partire per non credere, per poter dire:"è solo un film”, ma nello stesso momento lo guarda. La storia del film non vuole sapere che la si sta guardando, essa si svolge senza tenere conto del pubblico: è la parte inconsapevole del film. La parte istituzionale del film, il discorso, invece, sa che io ci sono e sa che lo sto guardando.

L’identificazione agisce a due livelli:
quello chiamato primario, che riguarda l’identificazione dello spettatore con il proprio sguardo; ed uno secondario, che riguarda l’identificazione ai personaggi (a tutti, sia positivi che negativi, sia “buoni” che cattivi”), alle situazioni drammatiche e allo svolgimento del racconto, e che dipende dalla struttura della narrazione .

L’ Identificazione con il proprio sguardo.
Lo spettatore seduto in sala vede delle immagini definite su due dimensioni che mostrano un simulacro della sua percezione del reale. Dunque lo spettatore si identifica al proprio sguardo e si pone come soggetto privilegiato della visione ad esempio tramite il decoupage classico. Lo spettatore, però, vuole entrare nella diegesi, ci si proietta e si identifica nel personaggio simile della finzione e una volta identificato, prova simpatia per alcuni aspetti che vede somiglianti o discordanti a lui, per la situazione che si crea nonostante non sappia poco o nulla del o dei personaggi in questione. Nella prima fase l’uomo si identifica tramite lo sguardo come uno specchio, in questo caso lo schermo definito e limitato, l’unica immagine a cui non si rinvia è il corpo dello spettatore, poiché questo non è nella scena nonostante si sente nella narrazione. L’identificazione prosegue con la fase edipica lo spettatore in scene di violenza ad esempio si riconosce nella parte di aggressore o aggredito a seconda del suo vissuto del suo stato d’animo, questo fenomeno è legato anche al senso di mancanza desiderio.

Importante quando si parla di identificazione è la molteplicità dei punti di vista su cui si fonda il decoupage classico.
Il decoupage classico la scena più banale si costruisce cambiando continuamente punto di vista, inquadratura facendo in modo che lo spettatore di conseguenza cambi il suo punto di vista sulla scena rappresentata, questo ha una forte influenza sull’identificazione dello spettatore. La scena classica si costruisce sulla molteplicità dei punti di vista, ogni nuovo piano è un cambiamento del punto di vista della scena rappresentata su cui si fa ritorno(campo controcampo). Associato al cambiamento del punto di vista anche il cambiamento dei piani in cui si alternano prossimità e distanza distacco e ravvicinamento. Molti raccordi sono basati sullo sguardo come il campo controcampo in cui a colui che è visto succede il personaggio che guarda. In questo tipo di raccordo si vede l’identificazione. Lo spettatore per identificarsi deve essere adattato alla diegesi.

Un discorso a parte meritano le aspettative dello spettatore. Un film piace nel senso comune del termine, solo se alletta a sufficienza il desiderio e le aspettative di chi lo guarda; se invece li eccita poco o troppo poco non piace più. Da questo meccanismo fondamentale infatti nasce il successo di un film.
Dunque il film può allettare quanto contrariare il desiderio dello spettatore un esempio di delusione del desiderio si ha quando si assiste alla visione di un film tratto da un libro che abbiamo già letto e sul quale abbiamo già delle aspettative.

Ci sono però dei problemi nella visione, ad esempio la contraddizione tra l’abbassamento della soglia di attenzione , e il forte coinvolgimento emotivo.
C’è un particolare rapporto con il reale, di cui le immagini cinematografiche sono una rappresentazione analogica, un doppio, che, per quanto imperfetto, da una forte impressione di realtà:
l’impressione di presenza con la consapevolezza di un’assenza (perché si sa che il film è stato “girato” in altro tempo e in altro luogo);
una realtà che si sa essere irreale, e che va continuamente ricostruita percettivamente e fantasticamente, perché il nero tra i fotogrammi, gli stacchi tra le sequenze e i piani, i punti di vista continuamente diversi, i limiti stessi dell’inquadratura, che escludono gran parte della realtà circostante, costringono lo spettatore ad una continua ricostruzione del reale e ad una aspettativa continuamente “in sospeso”.

Pamela Lawi
Concerto Di Sogni - @2005


   
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