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 I gioielli scomparsi
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 11/03/2005 :  07:55:08  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
I gioielli scomparsi

Rita aveva appreso di un tale ucciso da un pirata della strada, il quale era fuggito senza prestare alcun soccorso. A quanto pareva, sull’auto investita, viaggiava una coppia e il conduttore era morto sul colpo. Erano Mario e la sua cara amica Sandra, che era stata ricoverata con contusioni multiple, ma non gravi, guaribile in dieci giorni. Era lucida e non aveva mai perso conoscenza. Quando aveva capito che il marito era morto, aveva avuto crisi terribili e collassi. Poi s’era chiusa in se stessa e aveva chiesto di avere la salma di Mario non appena possibile. Infatti tornò a casa insieme ai figli Alberto e Amali, e al seguito di una cassa funebre blindata. Quella sciagura era stata un’esperienza sconvolgente e la poverina ne portava i segni nel corpo e nell’anima. Aveva ancora delle ecchimosi nel volto e camminava a stento perché avvertiva dolori e indolenzimenti ovunque. Sapeva di aver perso il marito per via della cattiveria umana e provava un abbattimento profondo, si sentiva svuotata e incapace di reagire. Pensava che raramente alla crudeltà degli uomini manca l’accortezza; nel caso di Mario invece, alla cattiveria s’era accompagnata l’indifferenza ed era stato vittima della malvagia idiozia di uno sconosciuto che difficilmente sarebbe stato identificato e punito.
Nella sua città ebbe luogo la celebrazione funebre. Sandra e i figli piansero inconsolabili; restarono immobili a ricevere le condoglianze dei convenuti. La notte successiva restarono svegli finché il sonno, pietoso ricovero dei loro animi esacerbati, venne a recare un breve oblio.
Rita era stata accanto all’amica e aveva cercato di confortarla, ma si era accorta che era come intontita e confusa. A stento ricordava le cose e aveva lo sguardo vacuo e spento.
Anche Dino, il marito di Rita, aveva partecipato all’esequie e aveva visto i figli del defunto distrutti dal dolore.
Alberto lavorava lontano e spesso aveva inviato delle e-mail al padre raccontando le sue esperienze. Gironzolando per casa, trovò il computer, lo accese e si accorse che il genitore aveva salvato tutto ciò che gli aveva scritto. Provò una grande nostalgia per quel padre sempre affettuoso e premuroso.
La madre lo trovò mentre piangeva in silenzio.
“Basta figlio mio, non piangere più, questo dolore ti ucciderà!”
“Parli proprio tu mamma, che sembri un fantasma.”
“Devo continuare a vivere per voi. Sono viva e avrete sempre una madre.”
“Sì, ma mio padre era unico. Era il mio punto di riferimento, il mio idolo!”
“Coloro che amiamo non muoiono mai, Alberto. Tuo padre sarà sempre con te perché sarà vivo nel tuo cuore. E’ una frase fatta, ma è la verità e se guarderai dentro di te, lo ritroverai sempre.”
Alberto si era portato le mani al volto e aveva soggiunto:
“Quando avevo quindici anni, collezionavo monete antiche e moderne di tutto il mondo. Ero divenuto un esperto numismatico e avevo una collezione di un certo valore. Ma papà la fece sparire perché tralasciavo di studiare.”
“Ricordo. Tu non hai protestato e anzi hai studiato con maggiore impegno.”
“Per me, tutto quello che diceva era sacrosanto. Voleva che diventassi avvocato e così ho fatto. Ma a proposito, sai per caso dove aveva nascosto la mia collezione?”
“No Alberto, mi spiace, in tanti anni non me l’ha mai detto. Adesso che ci penso, non ricordo neppure dove mi disse, prima di partire, che avrebbe nascosto i miei gioielli.”
“Cosa? E dove sono? Li hai trovati? Avevi dei grossi brillanti della nonna.”
“No, non li ho ancora trovati. Tuo padre era abilissimo a far scomparire
tutto.”
A questa conversazione si era aggiunta Amalia:
“Cosa non trovi mamma?”
“I miei gioielli. Tuo padre mi aveva detto di averli nascosti per prudenza, ma non ricordo in che posto mi disse.”
“Sei ancora provata dal trauma. Vedrai che a poco a poco ricorderai e comunque cercheremo.”
Trascorsero invece i giorni e Sandra non ricordava; per di più i figli avevano cercato in tutta la casa senza trovare nulla.
Una sera Rita e Dino li andarono a trovare. Tra una discussione e l’altra, venne fuori la faccenda dei gioielli scomparsi. Sandra asseriva che si trovavano da qualche parte nella casa, ben nascosti e introvabili, poiché la mente genialoide del suo povero Mario era capace di escogitare i nascondigli più impensati. I figlioli dal canto loro, erano certi di aver cercato negli angoli più remoti dell’appartamento e di averlo messo a soqquadro senza risultato.
“Ma cosa ti ha detto prima di partire?” chiese Dino “Ti ha detto che li avrebbe messi in cucina, in bagno, nello spogliatoio, dentro il forno? Di un posto ben preciso avrà pur parlato!”
“Sì, certo, ma è proprio quello che non riesco a ricordare. Solo rammento che gli dissi che in quel posto, mai nessuno li avrebbe trovati.”
“E a quanto pare, è proprio così. Ascolta Sandra, qual è un posto strano di questa casa? Un luogo impensabile?”
“Oh Dino! Ma che ne so! Se lo sapessi, se ricordassi, sarei già andata a recuperare i miei gioielli che sono tutti di enorme valore.”
“Io ho cercato pure in cantina tra le bottiglie e in soffitta tra le scartoffie,”
aveva detto Alberto.
“Io invece ho guardato nei ripostigli più impensati e negli angoli più nascosti,” aveva affermato Amalia.
“E io, povera me, ho setacciato tutti gli armadi e i cassetti di questa casa,”
aveva soggiunto la madre.
Dino adesso pareva assorto. Aveva lo sguardo lontano e non li ascoltava più. Mario era stato suo amico. Lo ricordava sornione e pronto all’ironia. Spesso intento a costruire modellini di navi e velieri. Una volta gliene aveva regalato uno che aveva costruito di notte e nei ritagli di tempo. Era triste pensare che non ci fosse più, che non l’avrebbe più rivisto alle prese con i suoi modellini di velieri. A questo pensiero, s’immobilizzò. Balzò dalla poltrona dove era seduto ed esclamò: “I modellini! Dove sono i modellini?”
“Dove sono sempre stati,” rispose Amalia “sulle mensole della libreria, ben disposti e allineati.”
“Avete guardato dentro di essi?”
“Non si può,” aveva asserito Alberto “non si aprono.”
“E chi te l’ha detto?”
“Dino, ma come vorresti aprire un modellino di veliero?”
“Sandra ha detto che suo marito era genialoide, quindi secondo me, si possono aprire.”
A questo punto anche Sandra si era alzata e gridava: “Ha ragione! Là dentro! Tuo padre mi ha detto là dentro!”
Alberto era corso avanti e già si trovava dinanzi alla libreria. Sollevato sulle punte dei piedi, stava prendendo i modellini. Ce ne erano di tutti i tipi e di tutte le dimensioni. Alcuni erano vecchi e realizzati molti anni addietro, altri erano più recenti. Mentre li soppesava, Alberto si accorse che due modellini erano più pesanti degli altri. Li posò su un tavolo dicendo: “In questi due c’è dentro qualcosa.”
Gli sguardi degli altri s’illuminarono. Rita incitò ad aprirli, anche a costo di distruggerli. Dino era certo che si potessero aprire senza rovinarli.
“Sì, ma come?” chiese Amalia.
“Bisogna esaminarli. In qualche modo tuo padre avrà previsto di aprirli senza distruggerli.”
E se si trattasse di un lavoro ad incastro?” aveva suggerito Alberto,
“Quando ero piccolo, ricordo che costruivo dei pupazzi di legno ad incastro.”
Dino studiò il primo, lo esaminò attentamente, lo girò tra le mani, lo rigirò e poi lentamente cominciò ad aprirlo, separando la parte superiore incastrata in quella inferiore. Tutti gli occhi erano puntati su di lui e sul modellino. Ne venne fuori un sacchetto pieno di monete.
“La mia collezione!” esclamò Alberto “Ecco dove era finita!”
Poi sempre cautamente, Dino applicò la medesima tecnica sul secondo modello di veliero. Ne venne fuori un altro sacchetto contenente i gioielli di Sandra, che disse con le lacrime agli occhi: “Mio marito era proprio un genio!”


Gabriella Cuscinà

   
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