La scoglieraErano appena le otto, e nel cielo azzurro di settembre cominciavano a spargersi i colori rosati del tramonto, che si amalgamavano assieme in una serie infinita di sfumature tenui, dal celeste al viola, quando Victor giunse ai piedi della vecchia locanda situata dirimpetto al mare. Una strada fatiscente separava la “Taverna” dalla lunga scogliera, la quale, col suo bordo frastagliato, costituiva il muro di pietra contro cui si infrangevano le onde. Ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, il mare salmastro si scagliava, impetuoso, contro il grembo nudo della scogliera, frantumandosi in una miriade di goccioline salate, e diffondendo tutt’attorno l’odore pulito del mare.
Victor era il gestore della locanda, che se ne stava appollaiata su un’altura, a fungere da asilo per quanti coloro al mondo erano rimasti soli. Non si vedeva mai, immersa nella dolce penombra del locale dalla mobilia alquanto consunta, una coppia di sposi, o un padre coi bambini, o compagnie di giovani.
Solo persone sole.
L’allegria dei giovani non era ospite abituale, da quelle parti; uomini e donne, giovani o vecchi, il cui destino era accomunato dall’impronta invisibile della solitudine. L’aria attorno a loro era impregnata dell’odore dell’odio e dell’indifferenza, e l’ombra che si delineava sul loro cammino era quella tracciata dai propri, amari errori. Che non li avrebbero lasciati.
Passassero dieci, venti, cento, o mille anni, non li avrebbero lasciati.
Victor inviò un’occhiata in direzione della scogliera, e gli parve di scorgere, mimetizzata nell’oscurità, la sagoma della bella donna che solo pochi mesi prima … scosse la testa; era stata una tragedia.
O forse, in verità, era stata solo una storia; la storia scritta attorno a ognuno di noi, che può essere bella, brutta, triste, allegra, patetica o grottesca; ma questi non sono che attributi conferiti dagli uomini. In realtà, essa è solo una storia.
E come tale, ha un’inizio e una fine. E’ buffo da dire, lo so, ma questa storia inizia con un bicchiere di wiskye e soda e finisce con un bicchiere di wiskye e soda. Anzi, a pensarci bene nel mezzo c’è sempre un bicchiere di wiskye; questa volta, però, senza soda.
Il primo bicchiere venne versato da un cameriere di un sontuoso bar del centro ad un tavolo, occupato da una coppia. Miliardario ultracinquantenne lui, giovane bionda lei. Ma, signori, ella non era una donna come tante; era molto, molto più bella. Secondo il cameriere che servì il wiskye, era talmente bella che avrebbe potuto aprire un sito web da sola e passare il resto dei suoi giorni a scattarsi foto nuda sul divano, e se a questo si aggiunge che - secondo un vecchio detto - gli uomini preferiscono le bionde, e che i vecchi detti si basano sempre su verità antiche quanto il mondo … provate voi a fare due più due, tirate le somme e fatemi sapere!
Il secondo bicchiere, invece, se lo versò Jimmy, alias il marito della bionda. E lo fece con una sola mano, mentre con l’altra reggeva il foglio sgualcito riempito da una calligrafia fitta fitta; quella della moglie Natasha, per l’appunto.
Nella lettera, Natasha gli spiegava – tenendo in un primo momento la debita distanza dal nucleo del messaggio – che nella vita, prima o poi, tutto cambia. Cambiano i confini dei paesi, così come cambiano le leggi; cambiano le professioni e i titoli; cambiano gli stati sociali; cambiano, infine, le persone. Insomma, una serie di parole che si avvicendavano nei pensieri confusi di Jimmy, che leggeva e beveva, beveva e leggeva, si versava un altro goccio di wiskye, e poi di nuovo beveva, e leggeva, e beveva, e si versava il wiskye e di nuovo beveva….fino a quando gli oggetti attorno a lui si erano tutti sdoppiati come anime gemelle, e i loro contorni si erano fatti sbiaditi, e poteva cullarsi nell’illusione che fosse tutto un sogno.
Anzi, un incubo.
Cosa aveva letto, a valle della lettera? Che non era nata per spazzare i pavimenti? Che se ne andava per sempre? Che finalmente aveva conosciuto l’amore, ma quello vero? Poco importava, tanto non era vero niente.
E’ tutto un sogno, uno squallido sogno aveva pensato sprofondando nell’oblìo.
E intanto, i confini del sogno si spalancavano dinnanzi a lui. E al cospetto di ciò, appariva inconsistente l’idea che di lì a poco i bambini sarebbero tornati da scuola, mano nella mano; così come appariva inconsistente l’idea che avrebbero trovato un padre ubriaco, sopra il quale gravava l’arduo compito di dire loro che la mamma era andata via….
Ancora Jimmy non lo sapeva, ma sarebbe venuto il giorno in cui Natasha avrebbe rimpianto amaramente le sue parole e il suo gesto; avrebbe chiamato, e richiamato, rinchiusa in una cabina telefonica, nella sua ex – casa, ma tutte le volte avrebbe riattaccato, in preda all’angoscia e alla paura di ricevere di rimando solo parole crudeli. Non l’avrebbe mai saputo, ma ogni volta che il telefono squillava, da quando se n’era andata, e Jimmy rispondeva, i bambini gli correvano dietro, e si aggrappavano alle maniche della sua camicia, e gli chiedevano:
“E’ la mamma? Papà, papà, è la mamma?”
No, decisamente, tutto questo Natasha non l’avrebbe scoperto mai.
E ora fate bene attenzione, signori – si aprano i sipari e si puntino i riflettori sulla sagoma de “La Taverna” – perché è proprio qua, in questa locanda dai vetri zigrinati e i paralumi polverosi, dai quali emana una luce morbida e soffusa, che venne consumato l’ultimo bicchiere. E venne consumato sotto la sguardo incuriosito di Victor, che osservava la bellissima ninfa di bianco vestita, dai capelli dorati che le cascavano in un delicato ondeggiare di boccoli sulle spalle seminude. Ho detto seminude, perché erano coperte solo da une scialle di tulle i cui estremi le ricadevano morbidamente sopra l’incavo del gomito. Era vestita con un delizioso tubino bianco, che metteva in risalto la sinuosità dei fianchi e del seno, e ne scopriva abbondantemente il petto candido. Ma per quanto fosse bella, la condizione in cui si trovava – abbandonata stancamente sul bancone di un bar, a fissare con aria indifferente il bicchiere semivuoto – faceva sì che non fosse resa giustizia alla bellezza del suo viso; all’azzurro limpido dei suoi grandi occhi dal taglio un po’ obliquo; al tratto delicato degli zigomi sopraelevati; al morbido contorno delle labbra, due giovani boccioli di rosa, cui faceva contrasto la pelle bianca bianca.
La sua storia col miliardario attempato era ormai conclusa. Ella aveva fatto per lui tutto quello che una donna può fare per un uomo tranne farsi cospargere di zucchero e poi leccare tutta, ma se egli gliel’avesse chiesto avrebbe fatto anche quello.
“Si sente bene, signora?”
Domandò Victor.
Come risvegliata da un lungo sonno, Natasha scosse un po’ la testa e lo guardò.
“Mi versi un altro bicchiere di wiskye e soda.” Gli disse.
Victor obbedì, mentre ella buttava giù il contenuto rimanente del primo bicchiere.
Le servì il secondo, e rapidamente buttò giù anche questo. Poi il terzo.
Dai clienti sparpagliati attorno – vecchi soli e uomini tatuati che giocavano a carte e bevevano anche loro – partivano sguardi bramosi, e ricadevano sopra la bella persona di Natasha. Victor , che doveva avere qualche anno più di lei, provò un moto di protezione nei suoi riguardi, quasi ella fosse stata la sua sorella minore.
“Un altro, per piacere.” Ordinò con voce impastata Natasha.
“Non le sembra di esagerare, signora?”
“Sono affari miei.” Replicò irritata. Oramai odorava di alcool e cominciava a vedere doppio.
“Torni a casa. E’ meglio.” Suggerì Victor
Una risata isterica fu la risposta di Natasha.
“Casa? Io non ho una casa.”
“Come? Non ha una casa?”
“Non…non ce l’ho più.”
Scoppiò a piangere. Victor tirò fuori il cavaliere che era in lui e le porse uno strofinaccio pulito. Ella lo respinse.
“Ce l’avevo, un tempo. Avevo un marito e…e…due splendidi figli. Ora non ho più niente.”
Victor era piuttosto imbarazzato. Esitò prima di domandarle:
“Cosa significa che non ha più niente?”
“Li ho abbandonati. Per…per andarmene con un altro. Che ora non mi vuole più.”
“Ma…è stato solo un errore.”
“Non è stato un errore, ma la mia rovina. Non capisce? Non rivedrò più i miei figli!”
“Ha provato a chiedere loro scusa?”
Natasha scosse il capo, e si coprì il volto con le mani.
“Non mi perdonerebbero mai.”
“E allora si rifaccia una vita, e non ci pensi più.”
Natasha si voltò verso Victor e gli rivolse lo sguardo più addolorato del mondo, poi disse, piano: “Lei pensa che ci sia ancora vita, per me?”
Victor rabbrividì. La vide accasciarsi sul banco e piangere. D’istinto, posò la mano sulla sua spalla, leggero come il bacio di un amante, e la accarezzò. Ma subito Natasha si sollevò, per avviarsi, barcollante, verso la porta. Tutti la seguirono con lo sguardo. La videro avviarsi sul sentiero sconnesso, e alcuni di loro si precipitarono sulla soglia, a spiare la sagoma, bianca come la luna, che si inoltrava nell’atmosfera cupa della notte.
Victor corse a prendere una pila, preoccupato per la frase appena udita.
Nel frattempo, ella si muoveva nell’oscurità; instabile sui tacchi a spillo, ora si, nel suo corpo il dolore si fondeva con l’ebbrezza, e risvegliava i fantasmi assopiti dei bassifondi della sua coscienza.
E’ tutta colpa mia pensò adesso mi laverò con l’acqua di questo mare stupendo
Quando Victor accese la pila, e proiettò il cono di luce lontano, ella era quasi giunta sulla scogliera. Cominciò a correre, impavido, immergendosi nel buio
Mi immergerò tutta nuda, come quando sono venuta al mondo pensava frastornata Natasha. E sulle sue labbra, affiorò un sorriso.
Si portò le mani dietro la schiena, e fece scorrere la lampo sul dorso; l’abito bianco cadde in una massa informe ai suoi piedi.
Frattanto Victor correva. D’un tratto, inciampò e cadde. La pila gli sfuggì di mano, rotolò sul terreno brullo e andò a conficcarsi fra due sassi, inviando il proprio cono di luce dritto dritto sulla sagoma nuda – avete capito bene, signori, completamente nuda come il Cielo l’aveva fatta la bellezza di trent’anni prima – di Natasha….
Un lunghissimo “Ooooooh…” si diffuse fra gli spettatori colmi di meraviglia, che trattennero il respiro fino a quando….
….Si buttò. E per lei tutto finì.
I dolori, le gioie, i ricordi e le speranze vennero fagocitati dal mare, dalle sue onde impetuose, dalla schiuma bianca che aleggiava in superficie.
Victor ricordava tutto, alla perfezione. E da quel giorno, quando il sole tramontava, e il cielo s’incupiva, volgeva lo sguardo in direzione della scogliera, e nel buio, gli pareva di vedere la sagoma bianca ferma lì sopra, immobile, in procinto di buttarsi.
FINE