Il segreto di EstelleSono passati tanti anni ormai, eppure io ricordo tutto, chiaro e nitido quasi fosse accaduto ieri. Ho smesso di svegliarmi la notte di soprassalto, col cuore che mi batte all’impazzata e la pelle imperlata di sudore; ma quando sui giornali leggo notizie di cronaca nera trattanti di omicidi o crimini efferati, di colpo mi torna alla memoria l’immagine di Viola, del suo corpo sporco di terra, del sangue che le si rapprendeva in mezzo ai capelli, del pallore mortale del suo dolce viso, ma soprattutto, degli occhi spalancati e increduli sui quali implacabile scorreva una pioggia calda di fine settembre.
Per anni ho custodito dentro me quel segreto così doloroso che all’inizio pensavo mi avrebbe fatto impazzire; più volte ho provato il desiderio insopprimibile di aprirmi con qualcuno, di parlarne, di dare sfogo a ciò che provavo. Ma la sua macabra crudezza, unita al fatto che oltre me erano coinvolte altre persone (con le quali, dopo di allora, non ho più avuto contatti), ha sempre fatto da veto a tale proposito. Così nessuno ne è mai venuto a conoscenza, perlomeno da me. E ormai credevo si trattasse di vicissitudini destinate a rimanere confinate nel baratro del passato, e che per quanta amarezza ancora mi provochi la loro memoria, niente più sarebbe potuto sopraggiungere ad obbligarmi a confrontarmi bruscamente con quella realtà che detestavo con tutto me stesso, quell’angolo buio della mia vita che avrei voluto rimuovere per sempre. Invece, non fu così.
Il giorno in cui lo scoprii, ero seduto alla scrivania del mio studio. Faccio il professore di matematica, vivo da solo in un appartamento al quinto piano di un palazzo collocato al centro di Londra, e quella sera, stavo correggendo dei compiti dei miei studenti. Il telefono squillò, e com’era mia abitudine fare quando ero assorto nel lavoro, non risposi, lasciando che la segreteria telefonica lo facesse per me. Un breve e conciso messaggio invitò l’eventuale interlocutore a lasciar detto qualcosa, il minimo indispensabile perché io potessi, poi, richiamare. Ma la voce che seguì il ‘bip’ era l’ultima in assoluto che avrei immaginato di udire.
“Ciao, Peter! Mi hai riconosciuto?” disse la vocina femminile, acuta come quella di un usignolo. ‘No’ pensai tra me ‘Non ti ho riconosciuto. Spero tu sia la bionda del terzo piano che mi chiede di uscire con lei stasera.’
“Scommetto di no” si autorispose la voce. “E ci credo! Saranno più di dieci anni che non ci parliamo!”. Mi rizzai sulla sedia, completamente distolto dal mio lavoro. Chi mai poteva essere la proprietaria della giovane voce che usciva dal telefono sulla mia scrivania?
“E va bene, se non ci arrivi te lo dico: sono Estelle Robbins! Ti ricordi, ora?”. Sussultai. Estelle Robbins, quella voce era di Estelle Robbins. Mi guardai bene dal sollevare la cornetta, benché per un impercettibile istante qualcosa dentro me si era mosso suggerendomi di farlo.
“Mi auguro di si, altrimenti domani ti faccio gli occhi neri!”. ‘Domani?’ mi chiesi, e nel frattempo cominciavo a sentire caldo, e freddo contemporaneamente. ‘Cosa significa?’
“Per caso ho scoperto che insegni nella scuola che frequenta mio figlio, e …sai che ti dico? Che ho una voglia matta di fare una lunga chiacchierata con un vecchio amico che non si fa vedere da anni! Aspettami all’uscita domani. Ci sarò e mi farò riconoscere! Ciao!”
Scattai in piedi, un’ondata di nervosismo mi costrinse a prendere a camminare su e giù per la stanza. Estelle Robbins, la sorella, allora diciottenne, di Daniel, il ragazzo che con me…………
Eravamo noi, io e lui, immersi nella notte tetra della campagna. Ci affrettavamo sul terreno erboso, dovevamo sbrigarci, o ci avrebbero scoperti. Dovevamo nascondere lei, lei che nel buio ci guardava coi suoi occhi azzurri, esterrefatti, il suo corpo era un peso sostenuto dalle nostre braccia forti…oh Cielo, credo dopo di allora di non aver mai più sentito una forza così prepotente scorrermi nelle braccia, nelle spalle, nelle gambe…e lei ci guardava, e sebbene nell’oscurità non lo potessimo vedere sentivamo il suo sguardo pesante sulle nostre persone….sentivo di odiare ciò che freneticamente stavo facendo, ma dovevo farlo, per colui che era il mio migliore amico……
Cosa poteva volere Estelle, adesso? Ricordavo che eravamo riusciti a tenerle nascosto tutto. Forse, cominciai a pensare, vuole davvero solo rivedermi, scambiare con me un sano abbraccio fraterno e prendere un caffè ricordando i tempi in cui fino a notte fonda si stava in spiaggia a cantare a squarciagola e a ridere; del resto io, nei suoi ricordi, non ero altro che il vecchio amico di suo fratello che passava tanto tempo da loro, una specie di fratello d’adozione. Invece, nei miei ricordi lei era la giovane e timida sorellina di Daniel, sulla quale tante volte avevo fantasticato di vivere una storia d’amore, che solo sedendosi accanto a me e mettendomi le braccia attorno al collo- come una sorella, niente più- mi faceva rimbalzare il cuore nel petto per l’eccitazione, alla quale mille volte avevo progettato di dichiararmi, ma lei rendeva tutto così difficile, con la sua timidezza e la sua spontaneità che mi mettevano in crisi.
E quella sera in spiaggia , appartati al chiaro di luna, col fragore delle onde che si infrangevano sulla scogliera, ci eravamo scambiati una bacio, sotto lo sguardo complice delle stelle e la luce muta della bianca luna…
Ricordi, nient’altro che ricordi. Immagini nebulose in cui la realtà e la fantasia si fondevano l’una con l’altra…i fotogrammi del passato scorrevano veloci nella mia memoria, la nostalgia di un’adolescenza spensierata distorceva forse i contorni rudi di un’amara verità , in cui io, con tutta la passione di cui solo un giovane di ventitré anni è capace, amavo una dolce ragazza che per me non ebbe mai niente più che un’innocua simpatia. Chissà, forse, col passare del tempo le cose sarebbero cambiate, forse un giorno lei mi avrebbe amato…Non ebbi mai l’occasione di scoprirlo, perché un giorno decisi, o meglio, mi sentii obbligato a farlo, di uscire per sempre dallo scenario della famiglia Robbins. Ma forse, dentro me, speravo che prima o poi succedesse qualcosa…che importa che cosa? Un incontro casuale, in qualsiasi posto possibile e immaginabile, in cui non avrei mai pensato che accadesse, io ed Estelle avremmo potuto incontrarci…E lei ora invece mi telefonava. Diceva di aver per caso scoperto che insegnavo nella scuola di suo figlio. ‘Ricorda ancora il mio nome’ pensai intenerito. Poi, d’un tratto, mi soffermai a riflettere: aveva detto ‘suo figlio’. Come poteva avere un figlio che frequentava le scuole medie, se Viola Burton era morta dodici anni prima, e l’anno dopo, per tutta la durata del processo, lei era stata negli USA, dove i genitori l’avevano inviata per tenerla all’oscuro di tutto, e quando era tornata per le vacanze estive- l’ultima volta che l’avevo vista- non era certo sposata? L’unica ipotesi era che qualche mese dopo si fosse sposata e avesse quasi subito avuto un figlio, e a quel punto il nascituro avrebbe avuto undici anni.
Avrebbe abbandonato gli studi per dedicarsi alla famiglia, e sua madre , per come la conoscevo, ne sarebbe morta; gia era invecchiata di dieci anni solo per la vicenda di Viola e Daniel, il processo e tutto il resto. Ma forse sarebbe morta lei, Estelle dico, se fosse venuta a conoscenza del modo cruento in cui era morta la sua migliore amica Viola. ‘Sciocco, prima o poi l’avrà scoperto’ mi dissi. Poi mi venne un dubbio: e se l’avesse scoperto adesso? E magari per questo mi voleva incontrare? Ma in tal caso, non poteva rivolgersi direttamente al fratello? Forse ci aveva provato, ma lui si era dimostrato implacabile nella ferrea decisione di non farle sapere niente. Come, del resto, aveva fatto sua madre, quando, col volto sollevato verso me in maniera caparbia ed uno sguardo inflessibile disegnato negli occhi verdi dei Robbins mi aveva detto: “Estelle non dovrà sapere nulla. E’ chiaro?”
Avrei voluto prenderla a schiaffi, e urlarle in faccia che ciò che le doleva era avere per figlio uno sciagurato, ma poi ripensai che ancor più sciagurato ero stato io a prestarmi ai suoi piani; e le uniche parole che mi uscirono di bocca furono: “Come volete, signora Robbins.”. Solo che non l’avevo fatto, come forse lei credeva, perché spaventato dalla sua autorità o dal prestigio della famiglia Robbins- il cui nome, se non fosse stato per Estelle, da allora mi avrebbe nauseato-; l’avevo fatto solo per il bene che volevo alla piccola Estelle, e per il desiderio che sentivo di proteggerla.
Chissà com’era, ora. Chissà se era cambiata tanto. Mi sorpresi a non veder l’ora di rincontrarla, ma infine non era una gran novità. In quei dodici anni non c’era stata una volta in cui, dopo aver frequentato una ragazza, o anche mentre la frequentavo, non mi fossi chiesto come sarebbero andate le cose se invece ci fosse stata Estelle al mio fianco. Più volte mi ero chiesto, e solo ora ne avevo la risposta, se si fosse sposata, che tipo di vita faceva, se era felice. Io non mi ero mai sposato; e questo, solo per il cinquanta per cento era dovuto al fatto che non avevo incontrato la persona giusta. L’altro cinquanta per cento era il ricordo ossessivo di quella sera in spiaggia……………
…..del ruggito prepotente del mare, di noi due che ci baciavamo avvolti dal manto dorato della luna piena…ma veramente l’avevo baciato, o era solo fantasia…oh quanto avrei voluto che fosse stato vero, almeno così lei avrebbe avuto forse nella mente un vago ricordo, un’immagine che l’avrebbe fatta pensare a me ogni volta………….
La mattina dopo rinunciai a consegnare i compiti in classe, che non ero riuscito a correggere. Per tutta la mattina non feci che pensare a lei in un misto di desiderio e paura. Temetti persino che i ragazzi potessero accorgersi del mio stato.
All’uscita di scuola, prima ancora che potessi passare in rassegna i volti delle mamme giunte a prendere i loro figli, udii alle mie spalle una voce: “Ehi, Peter, non sei cambiato per niente!”
Mi voltai e la vidi: era ancora più bella di quanto ricordassi. Il suo viso aveva dimesso i lineamenti morbidi di un tempo, per assumere un contorno affilato, nel quale emergevano gli zigomi prominenti, e brillavano nella sincera genuinità che avevano sempre avuto gli occhi verdi, senza sfumature marroni, grandi, allungati, con le ciglia lunghe e castane come i capelli. Lo stesso castano, forse un po’ più scuro, che aveva anni prima, quando si raccoglieva in alto i capelli, che ora invece lasciava liberi di spargersi sulle spalle in un’ondata di riccioli sbarazzini.
“Bè, non si saluta una vecchia amica?” domandò sorridendo.
Mi avvicinai. “Ciao.” Mormorai “Anche tu non sei cambiata affatto.” Lei rise; mentre mi chiedevo se sarebbe stato troppo sfacciato baciarla, protese le braccia verso di me e mi abbracciò. Di colpo tutte le paure, le ansie, i pensieri che mi avevano accompagnato fino ad allora crollarono, abbattute dalla gioia immensa che provavo per averla rincontrata.
“Allora, cosa mi racconti dite?”domandò curiosa, seduta con le gambe accavallate sul sofà del mio soggiorno. Mentre versavo nelle tazze il thè che avevo appena preparato, risposi: “A dire il vero, non ho molto da raccontarti.” Mi sedetti prendendo fra le mani la tazza bollente. “insegno…dove sai. E non sono sposato. La mia vita è questa; tranne, di tanto in tanto, qualche viaggio all’estero, ma niente di più. Tu, piuttosto, sei sposata da tanto?”
il suo volto s’incupì. “Cinque anni.”
“E hai un figlio che frequenta le scuole medie?”
“ti ho detto una mezza bugia, Peter. Il ragazzino di cui ti ho parlato è il figlio di mio marito, non il mio. Due settimane fa sono andata a prenderlo a scuola perché gli avevo promesso di portarlo a fare una scampagnata, e lì ti ho visto. Ti ho riconosciuto subito, sai?”
non risposi. “Vivi a Londra con tuo marito e suo figlio, dunque?”
“No. Io e Greg siamo separati, ma il piccolo Jimmy è molto affezionato a me.”
“Bè, mi spiace che le cose non ti siano andate bene” dissi mentendo “Dunque, dove vivi?”
“In questo momento, alloggio in un albergo qui in città. Penso che rimarrò un bel po’. Ora che ti ho rincontrato, non ti lascio scappare così facilmente!”
Emisi una risata un po’ forzata. Estelle si affrettò ad aggiungere: “Spero che la tua fidanzata non ne sia gelosa. Perché in tal caso, io…..”
Mi immaginai che il finale della frase fosse: “…me ne fregherei altamente!”, ma temendo che invece fosse: “…me ne vado oggi stesso!” o qualche altra frase che potesse infrangere così presto la mia gioia, interruppi: “Non sono fidanzato.” Mi parve di scorgere i suoi occhi verdi che si riempivano di gioia, diventando per qualche istante simili a due acquari nei quali sguazzavano vivaci i pesciolini; lei mi sorrise maliziosamente, ed io distolsi lo sguardo immaginando che stavo lavorando un po’ troppo di fantasia .
“Ricordi quando eri amico di Daniel?” domandò fissandomi “La mamma diceva che avevi una cotta per me….”
Posai la tazza sul tavolino e risi, ostentando tranquillità. “Chi non lo era, Estelle? Eri la più bella del liceo.”
Lei arrossì, e gli occhi le brillarono.
Come potevo, io, non ripensare a quella sera in spiaggia? Non potevo, perché subito dopo si presentava un altro ricordo, ben più ingrato del primo.
…..camminavamo in fretta, sotto la pioggia, cercando di non fare rumore, per non essere scoperti….il corpo di Viola era come una specie di martire immolata, una vittima sacrificale che il destino aveva voluto che fosse….camminavo, e la sentivo pesante….. suoi occhi fissi su di me, la pioggia torrenziale che le inzuppava i vestiti…o meglio, i brandelli che le erano rimasti addosso…..
Mi alzai in piedi. “Ti va di fare una passeggiata?” domandai.
“Volentieri.” Rispose. E si alzò.
Ci ritrovammo nuovamente a casa mia, stanchi delle strade sature della città, seduti sul tappeto del soggiorno a gambe incrociate. Eravamo passati in albergo, perché lei si potesse cambiare, e ora indossava un paio di jeans e una maglietta.
“Sono esausta.”commentò. “Ma ho ancora tanta voglia di parlare.”
“E di che? Ti ho raccontato nei minimi particolari la mia vita, per quanto noiosa sia, da dodici anni ad ora. Cosa vuoi di più?”
“A dire il vero” rispose “volevo parlare di qualcos’altro”
Oh, no. Qualcosa mi desse che forse il momento che temevo stava arrivando…..
“E di cosa?” chiesi cercando di mantenere un tono sereno.
“Non lo immagini?”
…o forse era gia arrivato….
“Veramente…no!”
“Ti dice nulla il nome di Viola Burton?”
…decisamente ERA ARRIVATO!
La osservai: il suo sguardo sicuro sembrava non lasciarmi via di scampo. Parlai cercando disperatamente di camuffare il tono tremulo che per dispetto la voce aveva preso ad assumere, ma non riuscii.
“Era…era la tua migliore amica, se non sbaglio.”
“Non sbagli. Ed era a casa mia il giorno della festa di compleanno di Daniel, ricordi?”
D’improvviso, le immagini sfumate di quella lontana sera di fine estate si fecero a poco a poco più chiare, e fu allora che vidi me stesso guidare come un pazzo, vittima del desiderio smanioso di giungere al più presto nella villa di campagna di Daniel, per vedere lei….lei che dopo quel folle bacio che ci eravamo scambiati distesi sulla sabbia, forse per paura…chi lo sa? Di colpo mi aveva respinto ed era scappata via…si, RICORDAVO FINALMENTE! Avevo bevuto troppo, e lei se n’era accorta quando sembrava essere troppo tardi….era scappata, avevo visto il suo corpicino esile correre nella notte scura…….
Il giorno dopo erano partiti, a festeggiare il compleanno di Daniel nella villa di campagna. Ed io ero andato lì, solo ed esclusivamente per parlare con lei, per dirle finalmente che L’AMAVO , e che non avevo intenzione di rubarle una notte di fuoco come forse aveva pensato. Ma non ebbi il tempo di far nulla. Giunsi nel bel mezzo della festa…ricordavo vagamente Estelle, col volto triste, che ballava con Kevin. Viola ballava con Daniel, con gli occhi ingenui di chi non immagina certo che quello sarà il suo ultimo ballo – ed il solo pensiero di questa triste realtà basta a tingere di nero la memoria di quella sera - , ed io…? Ah, gia, ballavo con Victoria, la sorella maggiore di Danny e di Estelle. Quasi la dimenticavo, e invece c’era anche lei. Poi, tutt’attorno, una marea di gente, ma a me non importava niente di nessuno. L’unica cosa importante era strappare al tempo un istante perché avessi modo di spiegare ad Estelle la verità, tutto il resto non contava.
Invece, la timidezza traditrice che solo l’ebbrezza era riuscita a vincere, aveva fatto sì che non riuscissi ad avvicinarmi a lei, o meglio, che finissi col rimandare finchè lei era andata a letto, dicendo di essere terribilmente stanca. Mi coricai dopo un po’, pensando che le avrei parlato il giorno dopo, a mente fresca e lucida, e non con la voce impastata e l’alito che sapeva d’alcool come gia avevo fatto.
Venni svegliato in piena notte.. La voce di Daniel, pur essendo sommessa risuonava brusca nel silenzio in cui dormivo, e le sue mani freneticamente mi scuotevano le spalle, obbligandomi ad aprire gli occhi. “Peter, svegliati, su! Peter!” Non vidi quasi nulla, perché era buio pesto; distinsi a malapena la sua figura e mi parve di avvertire un odore strano…come di sporcizia…l’odore tipico della terra mista al sudore che sentivo da bambino quando giocavamo a fare la lotta fuori in cortile…e le sue mani erano calde e tremanti…”Che c’è?” domandai. “Presto, vieni con me!” lo seguii senza capire.
E ci ritrovammo fuori, e alla luce del piccolo lampadario della veranda vidi Daniel tutto scompigliato, sporco di terra, coi pantaloni strappati e le mani rosse di….DIO MIO ERA SANGUE!!!! “Danny!” esclamai “Che ti è successo?” “Sst!” fece lui col volto semiterrorizzato “Vuoi che ci scoprano?” Mi condusse nel retro….c’era qualcosa per terra…che cosa? La faccenda cominciava a farmi sentire i brividi scorrermi per tutto il corpo…un silenzio sepolcrale, rotto solo dal canto ostinato della cicala, regnava tutt’attorno…in mezzo a quel silenzio tetro Daniel trascinò qualcosa fino a farla rischiarare dal lume diafano proveniente dall’alto….e fu allora che osservai con i miei occhi increduli lo spettacolo più raccapricciante che ebbi mai modo di vedere in prima persona : il corpo di Viola Burton morta giaceva per terra, imbrattato di terriccio, coi vestiti laceri, martoriato come se qualcuno si fosse abbattuto contro di lei con la rabbia feroce che solo un pazzo può possedere….il sangue ancora caldo lasciava la sua impronta indelebile sulla tempia destra, coagulandosi fra i capelli biondi, sparsi sul volto esterrefatto che pareva ancora intento a fissare il volto del suo assassino, perché era chiaro che era stato QUALCUNO a ridurla così. E quel qualcuno non poteva essere che….”OH DIO DANIEL”!
“Ti prego” mi supplicò “Non dire nulla! Nessuno deve sapere niente. E’ stato…è stato un incidente…” mormorò così debolmente l’ultima parola che quasi mi fece pena. “Come puoi dire qualcosa del genere, Danny? Viola…lei..” in quel momento dissi, sconvolto, una cosa stupidissima “…forse ha bisogno di cure, può salvarsi…” “Non dire sciocchezze,Peter. Non può aver più bisogno di nulla ormai: è morta.” Abbassò lo sguardo sul volto inerme sul quale cominciava a stendersi un velo ceruleo. “E allora chiamiamo qualcuno!” insistetti, ma lui mi fece cenno di abbassare la voce. “Non chiameremo nessuno, invece. Sai bene come vanno a finire queste cose. Se sei mio amico, ora, devi aiutarmi. Lo fari?” la sua richiesta risuonò come la proposta di prender parte a un crimine, ma come avrei potuto negare il mio aiuto all’unico amico che avessi mai avuto, nonostante mi stesse chiedendo di fare qualcosa che andava contro la legge? “Va bene.” Risposi.
Aveva cominciato a piovere, mentre in silenzio trasportavamo la salma di Viola: io la tenevo per i piedi, lui per le braccia, e mi sembrava che gli occhi della ragazza fossero fissi su de me, che mi chiedessero perché, infine, lo facevo. La pioggia scorreva, cadeva su quegli occhi vitrei, sopra lo sguardo impassibile, le bagnava i vestiti strappati ed i capelli, e nel frattempo mi chiedevo PERCHE’ LO FACEVO. E perché anche lui l’aveva fatto? Perché poche ora prima erano felici, e poi l’aveva uccisa, perché ormai non esistevano dubbi, e per soprammercato si era nascosto dietro la scusa dell’incidente?”
“Io…non ho tanta voglia di parlare di quel giorno.” Dissi cercando di distogliere lo sguardo dal suo.
“E’ un vero peccato.” Rispose “Perché io muoio dalla voglia di parlarne.”
Mi alzai e andai vicino alla finestra, mostrandole le spalle. Estelle mi seguì, e me la ritrovai accanto.
“Perché?” le chiesi modo prepotente. Lei mi guardò con gli occhi limpidi e rispose. “Perché era la mia migliore amica, e avete fatto di tutto per tenermi all’oscuro della sua morte. Perché avevo il diritto di sapere, e voi mi avete negato questo diritto. Capisci ora?”
Scossi il capo. “Io ne so quanto te.”
“Non è vero! Non fingere!”
“Per piacere, Estelle… perché vuoi che ti racconti cose che potrebbero ferirti?”
gli occhi le scintillarono d’ira. “Mi chiedi perché voglio sentire cose che potrebbero ferirmi, vero? E non ti chiedi quanto è stato umiliante per me scoprire che ero stata spedita in America perché mia madre riteneva che le mie orecchie immacolate non potessero sentire le nefandezze che erano state fatte a Viola, e che l’autore di tali crimini era…”
“Non voglio sentirti!” urlai portandomi le mani alle orecchie; subito lei me le afferrò e prese a stringerle con i suoi palmi rafforzati dalla rabbia: “Io devo sapere, Peter. Voglio sapere quali sono le cose di cui tu sei a conoscenza.”
“E tu, invece? Di che cosa sei a conoscenza?”
“Del fatto che Il corpo di Viola era stato ritrovato in una fossa accanto alla nostra villa in campagna. Ho letto tutti gli articoli dell’epoca scritti attorno al processo di Danny.” Rise di amarezza. “L’ hanno descritto come un mostro.”
“Però è stato dichiarato innocente.” Commentai, e penso che l’indignazione trapelasse chiaramente dalle mie parole.
“Che importa qual è stata la sentenza del tribunale, se ormai agli occhi di tutti sei uno spietato assassino scampato alla legge grazie al potere della sua famiglia? Una persona crudele, malvagia, senza niente dentro…”
‘E’ quello che penso anch’io’ dissi dentro me ‘Ma non posso dirtelo.’
“Smettila, Estelle.”
“Perché?”
“Perché ti stai facendo del male. Perché quando avrai finito di dire ciò che stai pensando odierai te stessa per averlo fatto, e odierai anche me, per averti ascoltata.”
Seguì una pausa di silenzio.
“Perché eri venuto, quella sera?” mi chiese allora Estelle “Se ben ricordo, avevo detto a Daniel di non invitarti.”
“Bè….” Tacqui.
“Allora? Mi vuoi rispondere, almeno ora?”
“Io…dovevo dirti una cosa importante.” risposi abbassando la sguardo
La sua voce si fece più serena : “Non vuoi dirmelo ora?”
“Oh, sono passati tanti anni…che importanza può avere ormai?”
“E allora? Sono curiosa di saperlo lo stesso.” Insistette.
“Non sono neppure sicuro di ricordarmi bene…”
“Bugiardo! Ti si legge in faccia che te lo ricordi.”
‘Ma si, vecchi mio’ mi dissi ‘Diglielo, no? Sei stato tanto stupido da passare anni accanto a lei senza confessarglielo. Fallo adesso!”
“Io volevo chiederti scusa” la voce aveva ripreso a tremarmi “per quella sera in spiaggia. Ero ubriaco e tu…tu non volevi esattamente qualcosa come una notte passata assieme a un inglese sbronzo, vero?” Ella non rispose. “E poi volevo dirti…che ti amavo, Estelle.” Dissi, in tutta semplicità. Ecco, gliel’avevo detto. Con dodici anni di ritardo, ma infine gliel’avevo detto; solo allora ebbi la certezza di quanto fossero stati inutili tutti i preamboli, i pensieri, le riflessioni fatte e protratte all’infinito per avere la certezza che tutto andasse bene, che stessi facendo la cosa giusta; e poi ogni volta qualcosa che mancava, che non andava bene, ogni volta qualcosa riusciva a trattenermi….per la miseria, non era stato poi tanto difficile dirglielo! Che c’era voluto?
“E’ un po’ tardi per dirtelo” conclusi sdrammatizzando “Ma…meglio tardi che mai, no?”
Non rispose, e il suo volto si tinse di un’espressione strana, che non compresi subito. Ebbi paura di aver detto la cosa sbagliata, perché mi parve di leggere in lei un alone di tristezza, e di qualcos’altro, che cos’era? Rimorso, forse, ma non ero in grado di distinguere bene.
“Ti avevo aspettato sveglia in camera mia, quella notte. Speravo tanto che venissi, invece non sei arrivato.”. Rimasi sconcertato da tale rivelazione. LEI MI AVEVA ASPETTATO, mentre io credevo che dormisse. Come avevo potuto essere così stupido? Per tutti quegli anni mi ero augurato, nella confusione fra realtà e immaginazione, che la scena del nostro bacio che avevo forgiato nella mente facesse parte della realtà, solo ed esclusivamente perché lei avesse modo di pensare a me, anche solo come al tizio a cui aveva dato il primo bacio, ed ora scoprivo che quella notte lei mi stava aspettando. Perché mi ero lasciato scappare una simile occasione?
“Mi spiace tanto, Estelle. Io non immaginavo neppure lontanamente che tu…Santo Cielo, ti amavo così tanto che avrei venduto il mio cuore per te, e solo ora scopro che tu, forse….” Mi bloccai, temendo di aver osato troppo. Lei non aggiunse altro, sul momento, ma quando riprese la parola fu per dirmi: “E adesso, è cambiato tutto, vero?”
“No!” Fu un ‘no’ quasi urlato dal mio ‘io’ che si prendeva la rivincita per aver taciuto tutto quel tempo “Io…credo , in questi anni, di non aver mai smesso di pensare a te, di averti sempre amata, anche se lo negavo con tutti, compreso me stesso. E se tu mi volessi, adesso…” Portò la sua mano alla mia bocca, nell’atto di chiuderla. “Certo che ti voglio, Peter. Come ti volevo allora….”
In un attimo fu come se entrambi fossimo proiettati fuori dal mondo e dalla realtà che ci stava attorno; tutto ciò che ci circondava diventava un’ombra evanescente e pian piano svaniva. E non esisteva altro se non noi, i nostri corpi intrecciati, i vestiti sul pavimento, mentre lentamente scivolavamo nel turbine vorticoso della passione…..
Il mattino dopo mi svegliai con l’impressione che fosse stato tutto un sogno; poi, il fatto di ritrovarmi sul sofà, avvolto dai piedi alla vita in un lenzuolo sgualcito ancora tutto impregnato del profumo di lei fu la prova inconfutabile che era stato tutto vero. Si era finalmente avverato ciò che stavo aspettando da anni. E, Dio Mio, quanto ne era valso la pena!
Mattiniera, Estelle si era svegliata prima di me. La vidi uscire dalla cucina con indosso la maglietta del mio pigiama che le penzolava sopra le ginocchia; fra le mani teneva un vassoio con due tazze di thè bollente. Si sedette accanto a me, coi capelli raccolti da una pinza un po’ consumata, ed i riccioli che le scappavano sopra le orecchie. Aveva un’aria pensierosa.
“Cosa c’è?” le chiesi.
“Non credi che sarebbe stato carino da parte tua chiedermi almeno come sta Daniel?”
Il ricordo di Daniel il giorno del processo si inoltrò in maniera prepotente nei miei pensieri. Il suo volto spavaldo, l’arroganza del suo avvocato erano i particolari meno odiosi, che avevano solo in parte contribuito a farmi allontanare da lui. La notizia, rivelata dall’autopsia, della gravidanza di Viola, e la successiva conferma, fatta tramite il test del DNA, della paternità di Danny avevano innalzato fra noi due un muro insormontabile.
Solo chiudendo gli occhi potevo ricordare i particolari macabri del referto autoptico, e le foto scattate al cadavere da diverse angolature il mattino dopo, quando il terriccio si era trasformato in fango indurito sulla sua pelle cianotica, ed il sangue pareva vernice che le impiastricciava il volto, e i capelli infradiciati dalla pioggia tiepida le si incollavano sulla tempia ferita…l’unica cosa tale e quale a come la ricordavo erano gli occhi, spalancati in un’espressione dolorosa che era un’insieme di vergogna e pietà per me, che ero stato complice del suo assassino, che senza nemmeno sapere perché mi ero prestato all’azione orribile di occultare il suo corpo lasciandolo cadere in una fossa. La tesi dell’avvocato era stata che Viola,sconvolta perché Daniel non voleva sposarla nonostante fosse incinta, era fuggita via, era caduta battendo la tempia destra su un sasso, ed era rotolata giù, morta, nella fossa, procurandosi le numerose ferite su vari punti del corpo. Naturalmente, Danny aveva pensato bene di gettare nella fossa il sasso usato per ucciderla, come se fosse rotolato giù con lei in seguito alla caduta.
Tutto questo io lo sapevo, e avevo taciuto. E quando, testimoniando il falso, avevo detto che quella notte Daniel dormiva nel letto a fianco al mio, mi ero sentito come se Viola l’avessi uccisa io.
A niente era servito cercare di parlargli, cercare di estorcergli ciò che tanto avrei voluto sentire. No, Daniel non negò mai, con me, di essere l’assassino di Viola. Perlomeno, non lo fece per tutto il tempo per cui durò il processo……
“Non ho voglia di parlare di Danny.” Risposi.
“Va bene. Anche se non melo chiedi te lo dico. Daniel è morto dieci anni fa. Si è ucciso con un colpo di pistola.”
Sentii il sangue che mi si gelava nelle vene; mai, neppure lontanamente, avrei sospettato che Daniel avesse compiuto un gesto così avventato e drastico, e che mentre pensavo a lui come ad uno spietato e freddo assassino forse sua madre ne piangeva la scomparsa.
Dopo il processo, a dire il vero, Daniel aveva più volte cercato di parlarmi. Mi aveva telefonato al mio vecchio numero, e ogni volta non c’ero. O anche se c’ero lasciavo che la sua voce uscisse invano dalla grata della segreteria telefonica. Era venuto a cercarmi, ma mi ero sempre fatto negare. Avevo agito così per cercare di eludere il ricordo della vicenda di Viola, un modo come un altro per voltar le spalle ai sensi di colpa. Trovavo insopportabile quella situazione, forse perché la mia vita era sempre stata legata, sin dall’infanzia, a quella di Daniel. Così decisi di trasferirmi a Londra, senza lasciar tracce dietro me, nella speranza inutile di dimenticare.
Ma ora che Estelle mi riferiva questa notizia, così inaspettata, sentivo un nodo stringermi forte la gola soppressi il desiderio di piangere. Un’ombra di dubbio si diffuse dentro me, incrementando la mia costernazione: e se avesse voluto dirmi qualcosa di importante, ogni volta che mi chiamava ed io lo evitavo? Non sarebbe stato meglio stare ad ascoltarlo, anziché decidere perentoriamente di escluderlo dalla mia vita? E poi, a prescindere da tutto, cominciavo a sentire una specie di rimpianto; il rimpianto di non averlo potuto salutare un’ultima volta prima che…..
Cercai di assumere un’espressione che celasse la mia amarezza, ma quando Estelle, con gli occhi lucidi, mi disse: “Perché l’hai fatto, Peter?”, mi sentii come se una pugnalata mi avesse appena trafitto il petto. Riuscii solo a mormorare : “Io non ho fatto niente….”
“Tu l’hai lasciato solo, nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di te!”
“E’ vero, ma non consideri ciò che è successo prima?”
“Certo. La sua ragazza e suo figlio sono morti lo stesso giorno.”
“Questo non è colpa mia…..”dissi piano, evitando di guardarla.
“Ma è colpa tua” replicò, facendomi sentire il peso del suo sguardo sulla mia persona “ se ha deciso di suicidarsi. Non sopportava l’idea che il suo migliore amico lo considerasse un assassino.”
“Ma perché era un assassino!” protestai con veemenza, come se volessi scrollarmi di dosso di botto la colpa del suo suicidio. “Io non so che cosa ti abbiano raccontato, Estelle, ma…..”
“Tutto! Daniel mi ha raccontato tutto, per filo e per segno, ciò che tu non hai voluto ascoltare!”
“Cosa? Ma se un sacco di volte ho provato a parlargli, a convincerlo a confidarsi con me come aveva sempre fatto, e lui si è sempre rifiutato! Perché questa volta aveva una cosa troppo grossa da confidare, vero?!”. Si alzò col petto palpitante e le fiamme dell’ira che le divampavano in volto.
“Ma tu gliel’hai chiesto durante il processo!”
“Che importanza può avere?”
“Molto più di quel che credi! Ma a te, forse, non è mai neppure venuto in mente che forse Danny era veramente innocente!”
I miei pensieri tornarono, per l’ennesima volta, a quella maledetta notte, in cui la pioggia cadeva e noi imperterriti camminavamo, col peso di Viola sulle braccia, niente in confronto al peso del rimorso che da allora in poi avrebbe gravato sulla mia coscienza….niente in confronto al dolore che lessi negli occhi dei genitori di Viola al processo, alla loro frustrazione nel momento in cui Daniel venne dichiarato innocente….forse più grazie al suo nome che alla giustizia che vigeva in Inghilterra….quando, uscendo dal tribunale, avevano rivolto verso me due volti desolati la cui memoria mi avrebbe perseguitato fino alla tomba………
“In realtà, all’inizio lo speravo con tutto il cuore.” Replicai “Poi, i fatti hanno finito col farmi cambiare idea.” Troppe volte, infatti, avevo fatto vagare i pensieri, persi nella memoria di quella triste notte, perché non c’era altro modo per cercare prove dell’innocenza di Daniel. Lui non voleva parlare, e le cose che erano state giurate sopra la bibbia in tribunale, che erano servite a decretare la sua innocenza, erano un mare di balle che io sapevo bene.
“Non è possibile, Estelle. Ricordo benissimo quella sera.” Commentai infine.
“Quali sarebbero i tuoi ricordi?”
“Tu ballavi con Kevin, se non sbaglio. Daniel invece aveva ballato per tutta la sera con Viola. Ed io ballavo con Victoria.”
“Ti ricordi ancora di lei?”
“Certo. Vi somigliavate come due gocce d’acqua.”
“Non dire sciocchezze. Lo vedi che non ti ricordi? Victoria era nostra sorella adottiva. I miei genitori l’avevano adottata un anno prima che Daniel nascesse.”
“E’ vero. Questo non lo ricordavo.”
“Dunque ammetti che c’era Kevin.”
“E allora? C’era un sacco di altra gente.”
“Ma Kevin stava assieme a Viola, prima che lei si mettesse con Danny.”
“Se n’erano gia tutti andati, quando Viola è morta!”
“Tu che ne sai di quello che è successo, se in realtà dormivi come un ghiro?”
“Si, ma questo che cosa c’entra? Dove vuoi arrivare?”
“Sto solo cercando di farti notare che c’erano altri potenziali assassini, quella notte.”
“Ma uno solo era il padre del bambino che Viola portava in grembo.”
“E allora? Daniel l’amava.”
Era quello che avevo pensato anch’io fino ad allora, a dire il vero. Ma l’ostinata decisione con cui Daniel aveva rifiutato di darmi spiegazioni aveva fatto morire in me ogni dubbio gia parecchi anni prima. Scossi il capo, e mi avvicinai alla finestra. Erano cose a cui avevo gia pensato, perché ora Estelle insisteva a tirar fuori una faccenda sepolta da tempo?
“Ma come fai a difenderlo? Ricordo, nonostante abbia sempre cercato di dimenticare, i modi bruschi con cui mi aveva svegliato quella notte, chiedendomi di aiutarlo. Io l’avevo seguito senza capire, poi, arrivati lì, mi aveva mostrato il …il corpo di Viola. E io l’ho aiutato a portarlo fino alla fossa, capisci?” terminai in maniera quasi isterica. Per tutta risposta, lei assunse un’aria composta e disse: “Va bene. Capisco che è ancora troppo presto, per te.”
Nelle settimane che seguirono ci vedemmo praticamente ogni giorno; ma la dolce spontaneità che ci aveva accompagnati il primo giorno non tornò più. Avrei voluto chiederle il perché, ma sapevo bene qual’era il motivo. Non volevo toccare l’argomento ‘Daniel’, perché tutte le volte che questo capitava litigavamo. Era sempre lei a intavolare il discorso, sembrava quasi che volesse lasciar trapelare qualcosa dalle sue frasi, senza però volerlo esprimere in maniera esplicita. Io, dal canto mio, morivo dalla voglia di chiederle notizie degli ultimi mesi di vita di Danny; e soprattutto, morivo dalla voglia di urlare, a lei e al mondo intero, che nonostante tutto ciò che avessi detto, o fatto, quando ancora Danny era vivo, lui era sempre stato, ed io continuavo a considerarlo, il mio migliore amico. Un amico che mi aveva deluso, e che non avevo saputo perdonare, né forse comprendere. E il solo pensiero mi faceva stare maledettamente male.
“E Victoria?” chiesi un giorno ad Estelle mentre pranzavamo assieme in una trattoria “Come sta?”
“E’ ricoverata in una clinica psichiatrica.” Rispose.
“Cosa? Oh, mi spiace…”
“Ma figurati. Adesso che la mamma è morta non ho più il dispiacere di vederla soffrire per lei, almeno. Come vedi” proseguì sarcastica “la nostra famiglia ha avuto un destino tutt’altro che felice.”
“Anche la famiglia di Viola.” Sbagliai a dirlo. Estelle si irritò.
“Pensi che questo non sia stato un ulteriore motivo di dolore, per noi? Viole era la mia migliore amica, era la fidanzata di Daniel….”
“Sul suo rapporto con Daniel preferirei non fare commenti. Va bene, mi dispiace che sia successo tutto questo, ma che posso farci ?”
“Potresti” il suo tono sia addolcì “credermi quando ti dico che Danny era innocente.”
Sospirai. “Non posso. E’ stato orribile ciò che ho visto quella notte.”
“Allora vuol dire che non mi ami come dici.”
“Per favore, Estelle, non possiamo dimenticare ciò che è successo quella notte?”
“Tu l’hai dimenticato?”
“Ci sto provando, ma tu me lo impedisci.”
“Ci stai provando da dodici anni. Mia sorella è pazza, mio fratello è morto e tu pretendi che io dimentichi!”
“Estelle….” Si alzò, in preda ad un attacco d’ira, e gettò alcune banconote sul tavolo. Si precipitò verso l’uscita, e uscì sbattendo la porta alle sue spalle. Non si accorse, mentre attraversava la strada, dell’auto che circolava nel pieno irrispetto delle norme di sicurezza; non si accorse di me che la chiamavo, né dell’urlo accorato di un passante che in quel momento gridò: “Attenta!” Bastarono pochi minuti, una brusca frenata seguita da un colpo di sterzo, ed Estelle si ritrovò scaraventata sull’altro capo della strada. Cadde su un fianco e perse i sensi; uno sciame di gente si affrettò attorno a lei; io fui il primo che accorse, come un disperato, sul luogo dell’incidente. La chiamai invano, perché non mi rispose. Quello che accadde dopo, fino a quando arrivammo in ospedale, lo ricordo come una specie di incubo. Ero quasi stordito, udivo i commenti della gente, alcuni dicevano che era morta, altri che era solo svenuta. Le scuse concitate dall’automobilista imprudente, la sirena dell’ambulanza, le voci della folla giungevano alle mie orecchie come un lontano brusìo. Le prime parole che ricordo di aver udito distintamente, e che mi fecero tornare in me furono quelle del medico che visitò Estelle appena arrivata –in uno stato di semicoscienza, a dire il vero- mi disse che c’era bisogno di qualche accertamento, rassicurandomi con un: “Non si preoccupi, signore. Sua moglie non sembra avere nulla di grave.”
Stetti fuori ad aspettare; persi la nozione del tempo. Credo fossero passate ore quando un infermiera, tutta sorridente, venne verso di me con in mano alcuni fogli e mi disse : “Può andare a casa, signore. Sua moglie ha solo una contusione sul fianco sinistro; ha perso conoscenza al momento dell’incidente. Ma ora sta bene.”
“E’ sveglia?”
“A dire il vero si è addormentata poco fa. Ma prima, mentre le facevamo le analisi, ha scritto per lei questa lettera, e mi ha chiesto di consegnargliela.”
Mi porse alcuni fogli, accuratamente piegati.
“Un’altra cosa, signore. Suo figlio è fuori pericolo.”
“Cosa?” domandai meravigliato.
“Bè…sua moglie ci ha detto di essere al corrente del fatto di essere incinta. E’ al primo mese.”
Rapidamente ripensai al giorno del nostro incontro: erano due giorni dopo il compito in classe, quindi il sette. E quel giorno era esattamente il dieci. Si, ci stavamo frequentando da un mese!
Aprii la lettera e mi persi nella larga scrittura di Estelle.
“Caro Peter,
quando leggerai questa lettera avrai sicuramente scoperto che aspetto un bambino. Mi spiace che tu l’abbia saputo così; ti giuro che avrei voluto dirtelo prima, ma tutte le volte che ho avuto intenzione di farlo, è successo qualcosa che mi ha fatto cambiare idea. Forse…forse avevo paura della tua reazione; sai, non hai dimostrato di nutrire molta stima nei confronti della mia famiglia, così ho temuto che non accettassi la notizia di un unione così profonda fra noi e te. Del resto, dopo il processo di Daniel la gente ci ha sempre trattati con una sorta di fredda cortesia che celava a malapena il disprezzo che provava per noi. Questo mi ha fatto molto soffrire all’inizio; poi mi ci sono a poco a poco abituata, come ad una condizione naturale a cui comunque non ci si può sottrarre. Era normale e prevedibile che la massa reagisce così di fronte ad un crimine commesso da un membro della grande e stimata famiglia Robbins,prima tanto osannata ora tanto detestata. Oh come vorrei, un giorno, essere giudicata solo ed esclusivamente per quello che sono, senza che nessuno mi disprezzi o mi rispetti per il cognome che indosso, ma solo perché sono Estelle. Credo, dopo l’esperienza che ho avuto, che questa resterà solo un’utopia.
Ecco, mi è sembrato di sentire il nostro bambino muoversi dentro di me….ma forse non sono che illusioni, perché è troppo presto, e se mi sembra di sentirlo muovere, è perché in realtà sono io che lo vorrei.
Vorrei tanto che fosse un maschio, perché sia uguale a te, ma è un male che te lo faccia sapere; sei gia anche troppo pieno di te! Per tanti anni, infatti, hai pensato che fossi all’oscuro della morte di Viola, e che tu e la mia famiglia foste riusciti nel vostro intento, cioè quello di proteggermi. Invece, mio caro, non avevi capito proprio niente. Primo, perché io quella notte non dormivo, ma fin qui poco male; secondo, perché per anni hai ritenuto Daniel colpevole di un crimine che non ha mai commesso, e questo mi fa venir voglia di aprirti quella tua testolina bruna per vedere cosa c’è dentro! Poi, però, non posso fare a meno di ricordare, e provare una gratitudine immensa nei tuoi confronti per questo, che al processo tu l’aiutasti, mentisti per lui; e questo, lo sai, può significare una cosa sola: tu gli volevi bene. Solo, ciò che hai fatto non l’hai fatto per lui, ma per un’altra persona: Victoria. Quella che tu ricordavi essere nostra sorella era, sì, una sorella nei nostri cuori, ma non c’era alcun legame di sangue fra noi e lei. Era stata adottata quando aveva tre anni; sua madre era una psicolabile, suo padre era in carcere per omicidio. Lei ha ereditato un po’ da entrambi, e così veniamo al dunque.
Daniel alimentava nei suoi confronti niente più che un affetto fraterno; lei invece se n’era innamorata, convinta di essere ricambiata. Anche se alla festa aveva ballato con te, non aveva staccato un attimo gli occhi da lui; ma non pretendo certo che tu te ne fossi accorto, visto che non ti sei accorto neppure di me che non staccavo gli occhi da te.
Quando tutti erano ormai andati via, i miei genitori erano a letto, tu dormivi e io, stanca di aspettarti, guardavo annoiata fuori dalla finestra, vidi due figure illuminate dalla fioca luce della veranda: erano Victoria e Viola. Viola era di spalle, non poteva vederla. In seguito seppi che aveva appena detto a Danny di essere incinta, e lui le aveva chiesto di sposarlo. Poi, non so per che cosa, era entrato in casa, non sapendo che Victoria li aveva spiati, e aveva sentito tutto. Viola era sicuramente al settimo cielo; chissà, forse stavano programmando di andare subito dai suoi genitori a annunciare loro la notizia del bambino e delle nozze, invece……ciò che ho visto è stata una breve scena che non potrò mai dimenticare: Victoria si era avventata contro la povera Viola cogliendola alle sue spalle, colpendola con qualcosa che doveva essere un sasso. Poi ero corsa giù, e giunta sulla soglia avevo visto Victoria come impazzita prendere a calci il corpo di Viola, che sicuramente era subito morta, e strapparle i vestiti. Gridava cose indistinte, e io, ti giuro, in quel momento ho avuto una tale paura di lei che non sono riuscita a fare nulla, se non rimanere, impietrita, dov’ero, ad assistere a quella scena straziante. Poi era arrivato Danny dalla porta sul retro, aveva urlato, ma subito, comprendendo la situazione, si era ammutolito. E’ stata quella la cosa peggiore, Peter: vederlo soffocare il suo dolore, per cercare di calmare Victoria che appena l’aveva visto era come rinsavita e aveva smesso di prendersela col corpo di Viola. Non ti so raccontare altro, perché sono scappata dentro a piangere per l’atrocità di cui ero stata spettatrice. Ma ci pensi, Peter, che ho visto mia sorella uccidere la mia migliore amica in un impeto di follia? E poi il povero Danny si è accollato tutte le colpe agli occhi della mamma, perché sapeva che lei avrebbe speso fior di quattrini per difendere lui, ma temeva che potesse succedere qualcosa a Victoria. Io, obbediente, sono andata negli Stati Uniti come i miei hanno voluto,ma so benissimo di aver fatto male. L’ho fatto perché stavo soffrendo, perché avrei voluto fermare tutto e tornare indietro nel tempo, e poi perché se fossi stata presente al processo avrei finito col dire tutta la verità invece al processo era saltato fuori che io ero gia negli Stati Uniti quando Viola era morta, e nessuno mi aveva interpellata. Se fossi rimasta, forse Danny alla fine non si sarebbe ucciso. Mi spiace di aver detto che si è ucciso per colpa tua, però tu non ti sei mostrato tanto amico con lui. Io, solo quando è morto ho capito che il mio posto era a fianco a lui mentre veniva processato, assolto, ma poi linciato psicologicamente dall’opinione pubblica. Mi dispiace, e mi dispiace che alla fine chi ha pagato più di tutti è stato che aveva meno colpa.
Avrei voluto rintracciarti, dopo la morte di Danny. La mamma mi aveva raccontato di come tu eri uscito di scena, e allora ho capito quanto lui aveva sofferto anche per questo. Ho provato a cercarti per un po’, poi mi sono sposata e ho abbandonato la ricerca. Poi, dopo che mi sono separata, ho ripreso. Ti risparmio tutti i giri che ho fatto prima di arrivare a te, tanto avrai capito che quella del mio figliastro era una balla, vero? Si, insomma, è vero che mio marito ha un figlio, ma questi non è né allievo della tua scuola, né affezionato a me come ti avevo detto. Quando ti ho trovato, non mi ricordavo più quanto ti avevo voluto bene; pensavo solo a farti sapere, il più presto possibile, la verità. Non è esatto: io volevo sbattertela in faccia, la verità. Ma quando ti ho rivisto, ho sentito un’emozione nota, ma che da anni non provavo, palpitarmi nel petto, e ho capito che ti volevo ancora bene. Volevo che tu capissi da solo, per questo ti parlavo di Danny, per questo facevo un mucchio di discorsi strani, ma tu non mi hai capita (sei uno zero, amore!).
Ora, ti chiedo solo di dimenticare tutto, perché con te ho scoperto un mondo nuovo che non voglio abbandonare, ma dividere. Vorrei tanto poter condividere assieme a te anche la sensazione meravigliosa che avverto ogni volta che il bimbo si agita nel mio corpo, ma so che non è possibile.
Tua
Estelle”
D’un tratto mi resi conto di una cosa: io ero di Estelle. Ero appartenuto a lei per tutti quegli anni, anche se forzatamente me n’ero allontanato, e ora che venivo a conoscenza di tutte queste cose, non potevo che amarla di più, infinitamente di più, per la sua forza, perché aveva affrontato una vicenda orribile a testa alta, e perché, infine, mi aveva perdonato. Non mi serbava rancore per com’ero stato ingrato nei confronti di suo fratello, e mi amava con la fresca semplicità che solo lei possedeva, e per la quale l’adoravo. E come potevo ringraziarla di ciò?
Il mattino dopo la camera di Estelle venne riempita di rose rosse: gliene inviai cento. Ed entrando la prima cosa che vidi fu il suo volto luminoso di gioia.
Avevo pensato a tante cosa, formulato nella mente mille frasi da dirle, ma sul momento l’unica cosa che mi venne fu: “Ti amo, Estelle. Mi vuoi sposare?”
Rise.
“Certo che ti sposo! Ti ho ritrovato apposta!”
Risposi alla sua risata argentina.
“Anch’io voglio che sia maschio” commentai “Lo chiameremo Daniel.”