Renato Attolini
Senatore
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Inserito - 08/07/2005 : 00:07:57
La riviera romagnola mi accoglie gaia e festosa come sempre, nel consueto turbinio di voci, colori e musiche. Le spiagge assolate e solcate da venditori ambulanti di cocco, “bomboloni” e oggettistiche varie pullulano di villeggianti accalcati l’uno all’altro, divisi solamente dai numeri che contrassegnano i “bagni” recanti i nomi dei gestori, ognuno con un proprio colore per distinguersi dagli altri, ma in tutto simili nell’offerta variegata di servizi alla clientela. L’industria delle vacanze trova in questi luoghi la sua massima espressione e se potesse godere di un mare un po’ più bello non avrebbe rivali in assoluto, grazie anche alla splendida organizzazione ed alla gentilezza genuina e calorosa dei suoi abitanti. Sovente trascorro qualche week-end in una di queste località ma è la prima volta che torno in questi paraggi dopo quarantacinque anni, da quando bambino, vi trascorrevo tutto il mese d’agosto con la mia famiglia. Allora non c’erano alberghi ma si soggiornava in casa di pescatori che affittavano una parte della loro abitazione ai vacanzieri. Non tutti avevano l’automobile e noi partivamo in treno, mettendo tutto l’occorrente in un grosso baule che si spediva dalla stazione Centrale di Milano e si andava a ritirare a quella di Rimini. Mia madre spesso diceva che, anche calcolando la spesa per l’affitto, si spendeva meno vivendo in quei luoghi che non rimanendo in città. La nostra meta preferita era Viserbella, a quel tempo un piccolo borgo con poche case e ancora meno stabilimenti balneari e i miei ricordi profumano di pesche, verdure, pesce fresco che ci veniva portato direttamente a casa nonché di gustosissime cozze che noi bambini raccoglievamo sugli scogli per portarle a nostra madre che, dopo averle accuratamente pulite, preparava delle ghiottissime zuppe o dei saporiti sughetti con i quali condire la pastasciutta. Qualche volta, dopo pranzo, i miei genitori per farci un regalo, ci portavano a Torre Pedrera, al confine con Viserbella, dove c’era una pasticceria nella quale si potevano gustare delle paste davvero deliziose e noi bambini ci sedevamo al bancone imbrattandoci la bocca di crema, cioccolato e squisitezze varie. Ma erano soprattutto quelle paste a forma di pesca ricoperte di zucchero che sono rimaste impresse nella mia mente. In tutti questi anni ho sempre associato al nome d Torre Pedrera quella pasticceria di cui non ricordo il nome ma di cui ho sempre avuto presente l’ubicazione: subito dopo Viserbella sulla destra, lato mare. Ritorno per la prima volta in questa cittadina dopo quarantacinque anni e nonostante tutto sia cambiato, nonostante non si trovino più case di pescatori spazzate via dagli alberghi a due, tre stelle, pensioncine varie, gelaterie, boutiques e sale giochi, l’ondata dei ricordi mi travolge. Tutto è cambiato, io sono cambiato logicamente, i miei genitori non ci sono più ma guardando quegli scogli mi sembra di sentire ancora la voce di mia madre che ci ordina di andare a raccogliere le cozze. La prima cosa che faccio è quella di andare a cercare la pasticceria ma non c’è verso, non riesco a trovarla. Eppure ho ben presente dove potrebbe essere. Telefono a mio fratello maggiore per chiedergli dove la posso cercare e lui, anche se abituato alle mie stranezze, mi risponde leggermente perplesso ma dandomi lo stesso delle indicazioni. Sono le stesse che conoscevo io, ma non c’è niente da fare. Forse è chiusa, data l’ora, e quindi non vedo l’insegna. Più tardi mentre sorseggio una birra in un locale, mi metto a scrutare il proprietario: è sicuramente del posto e ha un’età tale che certamente potrà darmi delle risposte esaurienti. Infatti è così e vengo a sapere che quella pasticceria ha chiuso da parecchi anni, da quando è morto il proprietario. Sono un po’ deluso ma in fondo me l’aspettavo. Gli anni passano per tutti ed è impensabile ritrovare le cose come le abbiamo lasciate, soprattutto se è passato tanto tempo. Torno in albergo e vado a dormire: l’indomani mi aspetta una giornata di sole e di mare. Il sonno però non viene e passo parecchie ore nel dormiveglia. La mia compagna e la bambina dormono profondamente perciò decido di uscire a fare quattro passi. Non ho la benché minima idea di che ore siano ma deve essere mattina presto, perché vedo qualche movimento in giro. Ho una strana sensazione che non riesco a spiegarmi, come direbbero i francesi di “dejà vu” ma è probabilmente la mancanza di sonno che si fa sentire. Non faccio che pochi metri quando vedo un cartello con una scritta familiare: <Qui paste fresche!> e poi vicino la tanto agognata pasticceria. “Quel vecchio è proprio rintronato, peggio di me!” penso con un po’ d’irritazione per l’informazione errata, irritazione che però subito svanisce per far posto ad un sentimento di gioia che mi pervade da cima a fondo. Sono proprio contento d’averla rintracciata. Mi siedo al bancone ed un giovanotto che deve essere il nipote del vecchio proprietario, in virtù della notevole somiglianza, mi chiede affabilmente cosa desidero. Mi faccio servire un po’ di bignè e qualche “pesca” che d’allora non mangiavo più. Mi tuffo ingordamente in quelle delizie, quando mi sento una mano sulla spalla ed una voce che dolcemente mi rimprovera: “Dai, Renato non t’abbuffare!”Mi volto e rimango impietrito. Mio papà e mia mamma giovani, belli e sorridenti mi stanno fissando. “Cos’hai da guardare a quel modo?” mi dice mio padre con un tono falsamente burbero, celando a fatica l’ilarità “Guardati tu piuttosto come sei conciato!” Meccanicamente volgo lo sguardo sul grande specchio dietro il bancone che riflette la mia immagine: quella di un bambino dell’età apparente d’otto anni con la bocca impiastricciata di zucchero e cioccolato.
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