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 LA VOCE DEL BOSCO
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zanin roberto
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Inserito - 06/08/2005 :  23:22:32  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
LA VOCE DEL BOSCO


La seggiovia che saliva lenta, nel silenzio immacolato delle abetaie, mi portava dal passo di Pampeago al Gruppo del Latemar, il cielo era celeste e profondo cosi avvolgente da sembrare infinito, l'aria fresca del mattino mi solleticava e il cigolio delle fune mi ricordava che ero sospeso a trenta metri dal pendio sottostante.
Il richiamo di due marmotte ruppe quel mistico equilibrio e i sonagli ramati di bovidi lontani squassarono i valloni intorno come un impune pirata cittadino che sferraglia con la moto nella notte.
L'odore di sfalcio saliva delicato con toni variegati di aromi or ora più intensi, or ora più accennati con alternanze di resina di conifera o di indecifrabili profumi floreali che chiazzavano di violetto pastellato fazzoletti e declivi dolci che seguivano un alternarsi misterioso.
Il vento sali di colpo e fu allora che il bosco parlò, il lamento era flebile ma nitido, un pianto sommesso che strideva di tanto in tanto e sembrava chiedere aiuto, mi sforzai di ascoltare con più chiarezza ma il silenzio dominava il tempo.
Scesi dalla seggiovia e salutai l'addetto, un ragazzotto dai tratti tirolesi con le guance vinaccia e i capelli rossastri, mi incamminai nello stretto sentiero non senza aver prima ammirato lo stupendo scenario del Gruppo del Latemar che mi abbracciava con quei suoi ghiaioni grigi e con quelle vette bianche, uno spettacolo che toglie il respiro, che mi faceva sentire piccolo e assoluto, impotente spettatore.
I ciottoli mentre avanzavo si rotolavano e sbattevano tra di loro, le mosche a corteo si posavano fastidiose ovunque, lucertole timide si nascondevano in mezzo ad arbusti di olmo nero, salivo ansando, aggiustandomi in continuo lo zaino, asciugandomi il sudore che scendeva dal collo, i fiorellini gialli si alternavano agli arancio, poi una chiazza di rosa di rododendro, una colonia di bianche campanule, di azzurre campanelle sbucare dalle erbe alte, poi quel magnifico cardo selvatico rompeva le forme esili per esplodere la sua morfologia agressiva.
Ero avvolto dall'ombra, sotto l'abetaia fitta, l'umido scendeva a crear disagio, i funghi timidi appena accennavano a uscire dal muschio della lettiera, le fragoline rosse quà e là mi facevano tenerezza, cosi piccole e cosi aromatiche, sentivo solo il rumore di un ruscello che scendeva a scavezzacollo lungo la parete a coprire i miei passi.
Mi sedetti su un masso di porfido grigio scuro e mi dissetai sorseggiando da una bottiglietta di acqua minerale, mi tolsi il cappellino e mi sistemai i capelli, uno strano silenzio si era impadronito di quel tempo. Poi netto, da dietro il sentiero, una voce femminile di giovane mi appostrofò come una ventata improvvisa, leggera,leggera al limite della comprensione: - " Raccogli fiori per me che sono triste! " -
Mi voltai curioso, ma non vidi che il plastico curvarsi dei rami delle conifere, mi schiarii la voce e risposi: - "Come?...Chi ha parlato? " -
Le formiche nere correvano in fila sulla strada di aghi di pino, il picchio forava il fusto d'un abete a pochi passi, la rugiada scivolava di petalo in petalo mentre apidi suggevano nettare, tutto scorreva religioso da secoli e il divenire della natura mai bugiarda mi consolava nella sua regolarità, mi rassicurai.
No, non c'era nessuno, ovvero c'erano tutti mi dissi, mi alzai scrutai lontano tra le fila di alberi, mi girai e il sentiero era vuoto,ripresi il mio andare ma con rinnovato ossequio, cercando di non disturbare quell'equilibrio divino.
Il sole filtrava ora con più audacia fino a che il sentiero si apri in un pianoro dove mi estasiai al vedere macchie di colore di varie specie floreali, dal giallo fluorescente al blù intenso, mi decisi a raccogliere un paio di fiori per ogni nuovo tipo che incontravo, ne feci un bel mazzetto.
Raggiunsi la sorgente d'un fiumiciattolo che sgorgava dalla fenditura d'una roccia avvolta da un muschio verde scuro, mi dissetai con quel nettare fresco e ristoratore, deposi il mazzo di fiori in una pozza d'acqua bassa perchè non appassissero.
A pochi metri mi incuriosi un grosso masso di arenaria che raggiungeva i tre metri d'altezza e che se ne stava in mezzo al prato quasi come un menhir preistorico o un monumento scolpito.
Ci girai intorno poi vidi con stupore una foto con una targhetta di metallo incisa e ossidata dagli anni, mi avvicinai e lessi:
- " In memoria di A.L. di anni 21 che qui perse la vita nel novembre del 1927 a causa di una tormenta di neve mentre rincasava dal lavoro"
Rilessi con meraviglia quella targhetta e guardai la forse bionda fanciulla sbiadita in quella foto in bianco e nero, mi rattristai e involontariamente mi feci il segno della croce.
Mi allontanai immaginando l'accaduto, il freddo, il gelo della notte, la bufera sferzante con la neve a penetrare ovunque, la giovane ragazza sola, debole e impotente contro il perversare della tormenta e il lento suo spegnersi lontano da ogni possibile conforto.
Ripresi il cammino scosso, poi mi fermai, ritornai sui miei passi, raccolsi i fiori e li sistemai in un barattolo di vetro che trovai ai piedi della roccia con i residui secchi di fiori pietosi, ora i colori vivaci si vedevano da lontano e l'arcobaleno composto dava proprio gioia allo sguardo.
Salii ancora nel silezio sacro della natura.
In quei giorni di passeggiate montane, di immersioni nella pace dell'anima, in escursioni alle alle quote, in rapimenti tra boschi e vallate vellutate, non giurerei che il vento di tanto in tanto non mi abbia vibrato con sottile complicità un grazie dal tono femminile.

di Zanin Roberto

   
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