Lo psichiatra
La tenda si chiuse, tagliando fuori dalla vista di Miranda le immagini del palazzo collocato dirimpetto allo studio. Era stato il dottor Delacroix a chiuderla, ma il suo tocco era stato così leggero, e l’atmosfera di quella stanza era così intrigante che le era quasi sembrato che la tenda si chiudesse sotto la spinta di una forza invisibile.
Roman Delacroix premette l’interruttore, e dalla lampada un cono di luce si proiettò sulla superficie, dalle venature ben evidenti, del tavolo rustico in legno di mogano. In quella luce lievemente soffusa i suoi occhi azzurri assumevano un colore davvero inquietante; davano quasi l’idea del cielo giusto prima che scoppiasse un temporale, pensò Miranda.
Quegli occhi si soffermarono su di lei per un istante, come per invitarla a cominciare. Miranda abbassò il viso sulle mani di Roman, tenute intrecciate sopra il tavolo. Poi cominciò.
“E’…è successo un’altra volta.”
Roman annuì.
“Ed era…era così reale.” La voce della giovane era tutta imbevuta di angoscia.
“Mi racconti.”
“Stavo per andare a letto, quando mia madre mi ha chiamato perché al telefono qualcuno mi voleva. Mi sono chinata per cercare la pantofola finita sotto il letto, e come ho sollevato il bordo del copriletto…- si fermò per riprendere fiato -…l’ho visto. Lui…lui era lì.”
Le mani di Miranda presero a tremare sul suo grembo.
“Lui chi?”
“Non lo so, non l’ho visto bene in faccia, ma c’era un uomo. Un uomo dal volto pieno di cicatrici, e dai capelli rasati. L’ho visto quando…quando gia avevo allungato la mano per prendere la pantofola.”
Deglutì, chiudendo gli occhi per un lungo istante.
“E allora, cos’è successo?” domandò Roman.
“Ha afferrato la mia mano. E l’ha stretta. Forte.”
La parola “forte” venne pronunciata con una tale veemenza che Miranda fu quasi sul punto di piangere.
“Io allora ho urlato, e ho cercato di divincolarmi, ma lui mi stringeva con una forza incredibile e poi….- Miranda cominciò a agitarsi – e poi io ho iniziato a urlare, con tutta la voce che avevo in gola, e lui….”
“Lui cosa faceva?”
“Lui stringeva. Stringeva e stringeva. Ho avuto paura che mi risucchiasse via con sé.”
“E sua madre? Ha detto che l’aveva chiamata perché al telefono la desideravano.”
“Oh, credo che mi abbia preso per pazza. E’ salita su in camera e mi ha trovato che urlavo e mi dimenavo ai piedi del letto.”
“Non si è accorta di niente? Voglio dire, dell’uomo che lei ha visto?”
“No. E dopo un po’ era sparito. Neanch’io lo vedevo più.”
Miranda tacque per un attimo.
“Era…era così reale.”
“Sta prendendo i farmaci che le ho prescritto, Miranda?”
“Si. Ma non sto certo migliorando.”
“E…relativamente a quelle che lei chiamava “assenze”?”
“Non ne ho più avute.”
“Quindi, in questo settore un certo miglioramento c’è.” Disse in tono di incoraggiamento Roman. Miranda non parve entusiasta del commento del suo psichiatra. Forse perché lei non si sentiva affatto migliorata. Era solo che il motivo che l’aveva spinta a recarsi dal dottor Delacroix era passato, per così dire, in secondo piano, sovrastato da un altro più importante.
Miranda sapeva – grosso modo – cos’erano le assenze in neurologia, come sapeva di non aver mai sofferto di epilessia. Eppure, da un po’ di tempo a questa parte, la sua vita aveva subito una tragica svolta, senza che lei lo volesse, né sapesse come fosse possibile che accadesse. Inizialmente aveva avuto paura che gli altri se ne accorgessero; ora non più. La sua paura era divenuta che durante questi attimi – che per Miranda potevano essere secondi, minuti o secoli – le capitasse qualcosa.
Qualcosa di brutto.
Qualcosa di tremendo.
Non aveva mai pensato che si trattasse di un qualcosa di organico, ma nonostante ciò si era rivolta ad un medico. Se si fosse trattato di una patologia, neurologica o psichiatrica che fosse, quasi quasi si sarebbe sentita confortata.
Ma il fatto era che sapeva di no, che sapeva che non era quello.
Vi era come un’inspiegabile consapevolezza, in lei. Sapeva che c’erano, e che non avrebbe dovuto parlarne con nessuno. E quando venivano era come se…se all’improvviso i confini del mondo si dileguassero attorno a lei, e di colpo le si aprisse davanti un buco, una specie di varco spazio-temporale nel fondo del quale si perdeva…e non esisteva più niente attorno a lei.
Il nulla la ingoiava con le sue fauci fameliche.
Veniva fagocitata in una specie di terra di nessuno, della quale al suo ritorno non serbava neppure un ricordo misero.
Si svegliava minuti – nei casi più felici – od ore più tardi. Ed era vuota. Vuota di tutto.
Proprio come andare a letto mentre stai lavando i piatti e svegliarti seduta sul sofà che guardi un documentario sulla natura.
O come chiudere gli occhi adesso e riaprirli fra tre ore.
Nessun esempio al mondo rendeva quello che erano le assenze per Miranda. Erano vuoti di vita, ecco cos’erano. Frammenti minutissimi del tempo che si perdevano, come i pezzi di un puzzle spazzati via dal tavolo da una mano violenta e caduti come pioggia sul tappeto. Solo che quegli attimi persi, Miranda non li avrebbe ritrovati mai più.
Era un pensiero che l’addolorava molto. Per quale motivo, infatti, il destino aveva deciso di privarla di una parte della sua vita? A volte, provava a chiedersi di quanto era in debito con la vita, o forse era più esatto dire di quanto la vita era in debito con lei.
Perché era lei quella che stava soffrendo.
E, col passare del tempo, Miranda aveva iniziato a chiedersi se tutto ciò fosse una sorta di anticamera a qualcosa. Se le stesse per succedere qualcosa. Se un giorno, anziché risvegliarsi, sarebbe rimasta intrappolata in quella terra bianca desolata.
Cosa ne sarebbe stato di lei, a quel punto?
Invece, a poco a poco il destino le stava svelando ciò che aveva in serbo per lei. Incontri con esseri misteriosi venuti da chissà dove, forse dalla stessa terra di nessuno in cui Miranda era finita durante le sue assenze, allungavano le loro mani viscide verso di lei e cercavano di trascinarla nel baratro.
“Dottor Delacroix, lei mi crede pazza, vero?”
“No.” Rispose flemmatico Roman.
“Non scherzi. Sta pensando che sono una povera psicotica.”
“Non lo penso affatto, Miranda. Però deve ammettere che questi episodi sconfinano un po’ da quella che è la normalità.”
“Lei pensa si tratti di allucinazioni, è così?”
“Sono allucinazioni, Miranda. Lo sono.”
Frances Parker, marito di Melanie e padre di Miranda, si svegliò all’improvviso e scorse attraverso la porta aperta della sua camera la luce soffusa proveniente dalla specchiera del bagno. Una specie di miagolìo lo turbò, ma subito ricordò che a casa sua non c’erano gatti. Lo rammentò nel momento stesso in cui si accorgeva che il miagoliò veniva del bagno. E che – prospettiva assai poco rassicurante – non si trattava del verso di un animale sofferente, ma del lamento di qualcuno. E chi poteva essere costui, se viveva solo con sua figlia e sua moglie e quest’ultima dormiva placidamente a fianco a lui?
Si alzò di scatto e si diresse verso il bagno, con la stessa foga con cui esattamente vent’anni, sei mesi e sette giorni prima si era precipitato in camera della piccola Miranda richiamato dal suo pianto stridulo, e l’aveva sorpresa rannicchiata nel letto in preda ai dolori di un’appendicite acuta, che se non fosse stato abbastanza pronto a portarla al Pronto Soccorso – da cui poi la bimba era stata fiondata con la velocità di un missile in chirurgia pediatrica – si sarebbe tramutata in una peritonite.
Si piazzò davanti alla porta semiaperta del bagno e con le nocche bussò sul legno.
“Miranda, sei lì?”
In risposta una specie di sospiro, e poi la voce rantolante di Miranda rispose:
“Papà, sei tu?”
“Si, tesoro, che c’è?”
“Aiutaaaaa….” Miranda non fece in tempo neppure a terminare la sua richiesta d’aiuto che Frances prontamente aveva aperto la porta e l’aveva vista. “…miiii….” E, buon Dio, avrebbe di gran lunga preferito non vederla.
Era come se una forza oscura la tenesse piegata a metà, mentre lei cercava di stare ferma aggrappandosi al bordo del lavandino, con le ginocchia rivolte l’una contro l’altra e la pelle del viso sgualcita in un’espressione di dolore.
Ma, quel che era peggio, veramente peggio, era che c’era sangue dappertutto. Sangue sulla maglietta del pigiama estivo di Miranda, sangue sulle infradito di gomma e sul tappeto ai suoi piedi, sangue sul lavandino di marmo e – Madre di Dio, pensò Frances esterrefatto – sangue che fluiva a fiotti dalla bocca della sua bambina!
“Miranda, Mio Dio….”
Miranda guardò il padre con un’espressione devastata, perse i sensi e cadde a terra.
Nel frattempo, mentre Miranda sveniva e suo padre cadeva nel panico a qualche chilometro di distanza, in aperta campagna si era appena svolto un incidente. Due giovani moderatamente alticci, di nome Mark e David, avevano appena travolto una ragazza con la loro auto.
Entrambi corsero fuori dalla macchina e si precipitarono sul corpo che giaceva inerme a terra, sbalzato ai piedi di un olmo dopo l’urto. Una cascata di capelli che nella notte sembravano essere neri si spargeva sul volto della ragazza, e quando David li scostò si accorse subito di due cose. Uno, che la ragazza che aveva investito era bella come doveva esser stata Venere; due, che non poteva avere più di vent’anni.
Poi, osservandola nella sua interezza, vide che sul vestito di lino bianco che indossava affiorava, all’altezza delle ultime coste di destra, una chiazza di sangue.
I suoi occhi incontrarono quelli desolati di Mark, e la prima cosa che gli disse fu:
“Portiamola in ospedale.”
“Sei matto? Ci arresteranno per guida in stato di ebbrezza!”
“Preferisci lasciarla morire? Sempre che non sia gia morta…”
Le dita di David corsero sul polso della ragazza, e toccandole la pelle della braccia sentì la ruvidezza procuratale dai graffi dei ramoscelli e delle foglie del bosco.
“E’ viva.” Disse.
“Che intenzioni hai?” domandò Mark.
“La portiamo in ospedale.”
“Io non la porto da nessuna parte. – gli occhi di Mark si spalancarono in un’espressione di supplica – David, è stato un incidente.”
“Lo racconteremo lì, quando la porteremo.”
“E quando ci chiederanno se eravamo ubriachi, cosa diremo?”
“Mark, vieni con me o no?”
In quel momento, la ragazza emise un gemito. David d’istinto le toccò il viso, ma esso si contrasse in un moto di dolore.
“Penso che sia opportuno che qualcuno di noi vada a chiamare un’ambulanza. – disse – E’ meglio non muoverla di qui.”
Mark si diresse verso la macchina e prese il cellulare.
“Pronto?”
Tacque, incerto su cosa dire.
“Pronto?” ripetè la voce all’altro capo del filo.
“C’è…c’è stato un incidente. Qui, in periferia. Mandateci un’ambulanza. Subito.”
“L’ambulanza è appena uscita. Appena torna ve la invieremo.”
“Siamo in aperta campagna. Praticamente all’ingresso del bosco. E una ragazza sta male.”
“Altre persone stanno male.”
“Si, ma lei….sembra morta.”concluse Mark in un filo di voce.
Poco lontano, David chino sul corpo esanime della ragazza, con le mani le scostava i capelli dal viso, come per paura che nel suo sonno forzato ella non patisse il caldo. L’abito che indossava la ragazza era lungo quasi fino alle caviglie. D’un tratto, come spesso gli era capitato anni prima con ragazze appena conosciute, David fu travolto dal desiderio di baciarla lì, in aperta campagna.
Subito.
Alla luce della luna.
Mark si riavvicinò facendo dissolvere i suoi sogni lussuriosi.
“L’ambulanza è appena uscita. Dovremmo aspettare.”
“La porteremo noi.” Annunciò David. Mark sgranò gli occhi.
“Sei matto? Potrebbe avere qualcosa di rotto…”
“Presteremo la massima attenzione. Ma sta perdendo sangue, e non voglio che muoia qui, per colpa mia.”
Mark avrebbe voluto opporre resistenza, ma la sicurezza impavida ostentata dall’amico pose il veto a ogni suo eventuale tentativo orientato a tale fine.
“Apri la portiera, presto.” Ordinò David.
Sollevò da terra il corpo della ragazza e tenendola in braccio si avvicinò all’auto.
Per qualche istante, la luna ebbe la visione di un uomo alto e magro – dai capelli castani che risplendevano sotto i suoi stessi raggi – che camminava sorreggendo con le braccia muscolose il corpo di una donna – una donna dai lunghi capelli corvini e dalla pelle scura – simile ad una sposa in braccio al marito il giorno delle nozze.
E, proprio come una sposa, ella indossava un abito bianco.
La sirena dell’ambulanza ruotava luminosa nella notte emettendo il suono angosciante di un animale ferito. Al suo interno, Miranda giaceva svenuta sopra la barella montata dai soccorritori del luogo. Una sorta di pallore cereo si era steso sul suo viso in seguito all’ingente perdita di sangue, leggero come il velo di una sposa; sotto gli occhi dalle palpebre abbassate si delineavano i semicerchi lividi della sofferenza. I capelli umidi di sudore si appiccicavano sulla fronte imperlata.
Sul lenzuolo bianco dai bordi verdi si stendevano le braccia smagrite, e le manine diafane sembravano quasi gli artigli di un uccello. Melanie prese fra le sue la mano della figlia, fredda come un ghiacciolo, e, silenziosamente, cominciò a piangere.
La mano di suo marito le accarezzò i capelli.
Ella sollevò il capo, e con gli occhi colmi di lacrime gli domandò:
“Ma cos’è successo, come ha fatto a…?”
“Non so risponderti, Melanie. L’ho trovata così, e basta.”
Nonostante la calma imperturbabile che regnava nelle parole di Frances – calma che si era sforzato di acquisire – egli sapeva alla perfezione che ciò che era successo era assurdo.
Aveva in sé un qualcosa d’irreale.
Sua figlia raggomitolata contro il lavandino del bagno col pigiama inzuppato di sangue.
Senza che vi fosse alcun indizio attorno a lei che facesse pensare a una caduta o a un qualcosa che desse un senso a tutto ciò.
Non poteva immaginarsi incubo peggiore.
Almeno, non ora. Non ora che le trame dell’incubo respiravano attorno a lui come i fili sottili della tela di un ragno, tesi ai lati di un angolo di una soffitta immaginaria in cui lui e sua moglie erano come intrappolati. Un giorno, forse, l’angoscia che si consumava davanti ai suoi occhi devastati sarebbe stato un lontano ricordo, uno di quei ricordi sbiaditi che si confondono nelle pieghe sgualcite della memoria.
Ma per adesso l’incubo c’era.
E lui vi era immerso fino al collo.
Mark guidava cercando per quanto possibile di ignorare il mal di testa che gli pulsava nelle tempie madide di sudore.
Si sforzava di tenere gli occhi aperti, nonostante sapesse bene che stava entrando nella fase della sbornia successiva a quella euforica; quella che ti fa sentire come se le braccia e le gambe e tutto il resto ti si sbriciolassero piano piano riducendoti alla massa informe di un uomo ubriaco che chiede solo di dormire.
Ovunque, anela di dormire.
Anche in mezzo a una strada deserta, steso su un fianco con le braccia sull’asfalto caldo e le gambe divaricate come un bambino piccolo addormentato nella culla. Immagine inquietante, però eloquente.
Ma Mark sapeva che non poteva.
Sapeva che dietro di lui una donna di cui Dio solo sapeva il nome quella notte necessitava di cure. Al più presto.
David si era sfilato la maglietta e l’aveva stretta attorno al diaframma della ragazza per cercare, per quanto possibile, di tamponare la ferita. Non aveva osato toccarla ulteriormente.
Teneva la sua testa appoggiata nell’incavo del gomito, e la guardava con apprensione per esser certo che non si svegliasse. Non sapeva nemmeno lui perché, ma voleva che non si svegliasse. Era come se dentro sè non volesse che la prima immagine che la ragazza – semmai ci fosse stata una seconda e una terza – avrebbe conservato di lui fosse quella di un uomo ubriaco, stanco e sudato.
La guardò, deliziosamente avvolta nella luce soffusa della notte che pian piano si spegneva, e pensò che era bella.
Inaspettatamente, egli pensò che era davvero bella.
Il dottor Reede uscì dalla sala operatoria con un’espressione che a Frances parve incolore; a lui che si aspettava che il dottore uscisse lieto di annunciargli che sua figlia stava bene con un ampio sorriso stampato sul volto, quell’espressione parve incolore.
“Allora, dottore? Come sta Miranda?”
Il dottore fece ricadere su di lui un’occhiata glaciale che all’inizio Frances non comprese. Melanie, avvinghiata al marito, fece scorrere lo sguardo preoccupato da un viso all’altro dei due uomini accanto a lei.
“Adesso può considerarsi fuori pericolo. Ma ha due costole rotte, il diaframma lacerato e le abbiamo asportato un pezzo di fegato lesionato. In più ha una commozione cerebrale. E ha perso molto sangue.”
“Lo so.”
Il ricordo del sangue, rosso vivo, che imbrattava il lavandino ed il tappeto ai piedi della figlia si riaccese nella mente confusa di Frances...
La bottiglia a testa in giù della flebo lasciava trasparire attraverso il vetro le bollicine che si libravano in alto, parallelamente al liquido che si infondeva nelle vene di Clarissa – così si era scoperto che si chiamava la ragazza – e vi fluiva dentro ridonandole la vita.
Quello che David aveva creduto essere il grido della morte non era stato altro che una sorta di lamento levatosi al chiaro di luna, la voce dello sgomento di una donna che viene inesorabilmente travolta dagli eventi. E finisce per capitolare a terra, ferita.
O, meglio, in preda a una commozione cerebrale.
Ancora David non riusciva a capacitarsi di quando e come fosse successo. Ancora non riusciva a credere di aver visto il sangue allargarsi a macchia d’olio sull’addome di Clarissa, di aver stretto la propria maglietta consunta attorno al suo busto sottile, e che poi, giunti in clinica, non fosse rimasto niente di quella che aveva temuto essere una ferita mortale.
Era incredibile, ma era la verità.
Si, è vero, era ubriaco quando l’aveva visto, ma era pronto a mettere tutte e due le mani sul fuoco che era vero.
Continuava a ripassare mentalmente il replay dell’incidente, con gli occhi che si muovevano sul profilo della ragazza stesa sotto le lenzuola, soffermandosi sulla piega del seno, e poi sul viso, il dolce viso dai lineamenti morbidi che aveva fatto colpo su di lui sin dall’inizio.
I medici dicevano che le era andata bene, che non c’era di che preoccuparsi. Ma se ripensava all’impeto con cui aveva frenato, all’urto micidiale che aveva fatto rovinosamente capovolgere Clarissa fino a piombare svenuta almeno sette metri oltre….si, l’aveva proprio fatta capovolgere, Mio Dio, pensò.
Se non era morta, poteva ritenersi un miracolo vero e puro.
Aveva visto il suo corpo volare nel nulla, l’aveva soccorso, e aveva visto il sangue espandersi come un fiore che sboccia nel mezzo del bianco del suo vestito.
Quello era un miracolo.
Di nuovo, gli occhi di David presero a contemplare il corpo inerme coperto dal lenzuolo pulito, ed il suo viso emaciato. Studiò per qualche istante i lineamenti delicati, in cui in qualche modo prendevano vita i ricordi di certe immagini della Madonna dei quadri d’altri tempi,e in un attimo…
Successe
…ella aprì gli occhi.
Inaspettatamente
Aprì gli occhi e lo guardò…..
senza che egli potesse in qualche modo essere pronto
….i loro sguardi si incrociarono per un minuto lunghissimo…
a trovarsi lì di fronte a lei, che si svegliava e vedeva lui per primo
…forse ella si chiedeva chi fosse quel giovane….
prima di ogni altro, in quella realtà che si spalancava dinnanzi a lei come un mondo nuovo in cui tornava alla vita
…mentre poco distante da loro, qualcuno forse la lasciava…
“E’ morta.”
Il dottor Delacroix sgranò gli occhi, come di rado gli capitava.
“Cosa?”
“La signorina Parker è morta qualche minuto fa. Si è aggravata improvvisamente ed è morta.” Ripetè l’infermiera con una maggior dovizia di dettagli.
“Ma….ma non può essere. Ho parlato coi genitori, e mi hanno detto…”
L’infermiera storse il labbro e replicò:
“Se le hanno dato qualche illusione non era certo la verità.”
Roman percepì subito la sottile malizia che impregnava le parole della donna. Non insistette a domandarle niente. Lasciò che ella si allontanasse, poi uscì fuori.
Il sole splendeva luminoso nel cielo sereno, e gli alberi con le fronde lussureggianti lo riempivano di colori vivaci. La vita continuava a scorrere, ma Miranda non c’era più.
Era stata ricoverata lo stesso giorno, e nello stesso piano in cui era stata ricoverata la ragazza che suo fratello aveva investito durante una notte di baldoria; e per un bizzarro scherzo del destino, era morta lo stesso giorno che Clarissa si era svegliata.
Ciò che David gli aveva raccontato gli era parso assurdo in un primo momento; poi, alla luce di ciò che i genitori di Miranda la sera prima gli avevano detto, la faccenda aveva cominciato a assumere un aspetto diverso. I racconti fondati su teorie magiche e gli eventi soprannaturali di cui spesso aveva letto da ragazzo emergevano nella sua mente e nei suoi ricordi in una sorta di amalgama inquietante.
Cominciò a camminare con le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni, e ripensò al primo colloquio avuto con Miranda. E poi al secondo e al terzo, e a sé stesso che pensava che era addirittura peggiorata anziché migliorare o rimanere stazionaria. Prima c’erano solo le assenze, poi le allucinazioni. Perché lui le aveva considerate tali.
Di colpo si fermò; un pensiero impetuoso lo travolse: le allucinazioni erano sopraggiunte dopo che si era recata da lui. Prima, Miranda accusava solo questi vuoti, di vita – come sosteneva lei – o di memoria che fossero.
Era stato come se egli avesse aperto una porta, come se col suo intervento davanti a Miranda si fossero spalancati i cancelli di una realtà parallela. Una realtà parallela in cui si svolgeva però la vita di qualcun altro.
O forse…
Un pensiero ineluttabile sfiorò la mente di Roman, che non riusciva a credere di esserne l’autore.
…forse quella realtà parallela era il corpo di un’altra persona, la cui identità si era temporaneamente scambiata con quella della sua giovane paziente.
Ma comunque fossero state le cose, egli era stato il mediatore di quest’arcano processo.
E cosa mai sono gli psichiatri, se non dei mediatori fra le nostre menti e quelle di altre persone, anche se noi poi volgarmente chiamiamo questi contatti allucinazioni?
Giuliana carta