Renato Attolini
Senatore
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Inserito - 02/02/2006 : 18:05:07
Definirlo “Bar” forse è un terminologia impropria. E' qualcosa di più o forse di meno, sicuramente di diverso da quei locali comunemente definiti in questo modo. E’ tavola calda, pizzeria, mini-discoteca, c’è un po’ di tutto insomma. Lo si può trovare a Guanabo, Ciudad de la Habana, nei pressi della spiaggia di Santa Maria, playa del Este, Cuba e rappresenta il sogno di tutta la mia vita. Alle soglie della pensione, infatti, ho abbandonato il mio paese, il mio lavoro, tutto ciò che avevo per trasferirmi definitivamente in questo luogo. Addio per sempre allo stress da metropoli, ai programmi spazzatura della TV, alla gente acida, aggressiva pronta a sbranarti per una precedenza non data, per una percentuale infinitesimale d’interesse su un’operazione finanziaria, per un rigore non concesso, per per…si potrebbe andare avanti per chissà quanto tempo. Guardo il mio “pub” a quest’ora della notte affollatissimo di gente che beve, urla, mangia, balla, avvolta in nuvole di fumo degne della peggior nebbia milanese. Qui non esiste un Sirchia che ha fatto approvare una delle migliori leggi degli ultimi anni in Italia, qui si fuma e alla grande. Io potrei farne a meno, mi basterebbe respirare, ma ogni tanto mi concedo il gusto di una “popular”, sigaretta nazionale cubana senza filtro fatta con puro tabacco, lo stesso che usano per i sigari. Al mattino quando mi sveglio, tra accessi convulsi di tosse che meriterebbero un ricovero immediato in un sanatorio in alta montagna, giuro che non ne toccherò mai più una ma alla sera non so resistere, soprattutto se accompagnato da qualche bicchiere di rum indigeno, liscio. Ogni tanto mi prende la nostalgia del mio paese, specialmente quando le note di “Mi tierra” di Gloria Estefan si diffondono nell’aria e coprono il rumore delle voci: “La tierra donde naciste no la puede olvidar, porqué tiene tus raices y lo que deje atràs!” La terra dove sei nato non la puoi scordare, perché là ci sono le tue radici e tutto quello che hai lasciato dietro! Nonostante questo, qui mi son fatto passare per francese, con l’aiuto della mia “erre” tipica dei transalpini e tutti mi chiamano così: il francese. Il motivo? Semplice. I clienti sono, nella stragrande maggioranza, italiani che vengono qua per il “safari”, a caccia di “chicas”, di ragazze, anche se di solito sono loro che cercano i turisti. Non ho la puzza al naso, ma preferisco tenere le distanze, non si sa mai. Quasi nessuno se n’è accorto, di francesi veri e propri non se ne vedono quasi mai, tranne una volta, mi ricordo. Questo turista dopo un po’ che parlavamo mi ha detto: “ Tu parles trés bien le français, mais pas aussi bien qu’un français”. Gli ho strizzato l’occhio e ho messo il dito sulla bocca, in segno di complicità. Lui ha sorriso, ha fatto spallucce e mi ha sussurrato: “Pàs de problémes”. In ogni caso due ore dopo era talmente sbronzo che potevo avergli detto d’essere un canguro australiano, che se lo sarebbe dimenticato. Certo i miei amici più cari, Majito per esempio, in onore del quale ho dato il nome al locale, la mia compagna, una valente dottoressa di Las Tunas che ha lasciato la stimata professione per seguirmi in quest’avventura, lo sanno ma stanno al gioco. Guardo questi turisti e mi chiedo se sanno veramente qualcosa di Cuba, non solo di quel medico argentino Ernesto Guevara detto “El Che” per il suo intercalare quasi ossessivo nella sua parlata, tipica della sua gente, della battaglia di Santa Clara ma anche di José Martì, il poeta eroe nazionale della lotta di liberazione contro i spagnoli, (è da lì che ha preso nome il famoso cocktail “Cuba Libre”) che ha scritto la famosa “Guantanamera”: “Yo soy un hombre sincero de donde crece la palma…y antès de morir me quiero échar mis versos de la alma!” Io sono un uomo sincero e vengo da dove crescono le palme..e prima di morire voglio gettare i versi della mia anima!”. Non solo di loro ma se capiscono qualcosa di questo meraviglioso popolo o e se gli interessano solo le “chicas”. Sbaglierò ma propendo per la seconda ipotesi. Dopo un po’ che fai questo lavoro, i tuoi clienti sia maschi che donne non hanno più un volto, o meglio ne hanno uno solo. Mi viene in mente quella canzone di tanti anni fa “Albergo ad ore” di Herbert Pagani: “Io lavoro al bar di un albergo ad ore, porto sul il caffé a chi fa l’amore, coppie sempre fisse, sempre uguali non le vedo più manco con gli occhiali!”. In effetti, è così, mi sembrano così tutti somiglianti, le ragazze con minigonne vertiginose che s’abbracciano a maturi e panciuti turisti che danno libero sfogo a tutta la voglia di esagerare repressa in vite grigie e monotone di là dell’oceano, spesso dando in escandescenze e presentando spettacoli poco edificanti. Ecco perché io sono “il barman francese”. Ma come nella canzone di Pagani anche a me una sera capitò di vedere qualcuno, il cui volto si stagliò nitido nella folla anonima. Era decisamente molto bella, ma non fu solo quello che attirò la mia attenzione. Al contrario delle sue colleghe che ridevano, sorridevano in modo stereotipato, lei era muta, silenziosa e i suoi occhi erano profondamente tristi. Stava in compagnia di un grassone sudaticcio e ubriaco che cantava a squarciagola e ogni tanto l’attirava a sé, baciandola sulla bocca e infilandole le mani dappertutto. Lei lo lasciava fare ma si vedeva che era sopraffatta dalla nausea. Sinceramente veniva anche a me, ma chiaramente dovevo assolutamente far finta di nulla. Non mi ricordo dove l’ho letto, ma un barman deve guardare senza vedere e ascoltare senza parlare. Mi ritrovai però a scuotere la testa ed incontrai lo sguardo disapprovante della mia compagna e del mio amico Majito che allargò le braccia profferendo un “Es todo una mier..!” Approfittando dello stato d’ebbrezza del suo compagno e contravvenendo alle regole d’oro del mio mestiere m’avvicinai a lei e la studiai. Dio mio, quant’era giovane! Poteva essere mia figlia! La guardai negli occhi e le dissi: “Porqué lo haces!” Perché lo fai? Lei sembrò destarsi dal suo torpore, mi fissò senza cambiare espressione e mi rispose: “Tengo hambre, ho fame, capisci…italiano!” Aveva terminato la frase nella mia lingua, dunque lei sapeva, ma sembrava assolutamente indifferente a questo, anzi era indifferente a tutto. Rimasi colpito e anche un po’ amareggiato, anche se non avrei dovuto sorprendermi in quanto è una situazione abbastanza frequente a Cuba, è una delle sue tante contraddizioni, ma il ritmo incalzante e frenetico della serata m’impedì di pensarci. Arrivarono le prime luci dell’alba e le coppie ormai formate si stavano dirigendo verso luoghi più appartati come l’alberghetto che era proprio adiacente al mio locale. Vidi anche lei che vi si dirigeva, mentre quel disgustoso essere, più ubriaco che mai, la stringeva lascivamente e la baciava sul collo, incurante della sua apatia. Adesso eravamo rimasti completamente soli io e la mia compagna, erano andati via tutti. Osservai il caos ed il disordine terrificanti e mi sentii mancare. Optai per un sonno immediato: a mettere a posto ci avrei pensato dopo, molto dopo. Mi buttai sul letto esausto e m’addormentai di schianto. Non so quante ore passarono, mi sembrarono un’eternità, ma fui svegliato di soprassalto dall’ululato d’alcune sirene. Indossai velocemente un pantalone ed uscii all’aperto. L’aria calda del mattino cubano m’avvolse, ma fui percorso da un brivido vedendo alcune auto con i lampeggianti accesi ed un’ambulanza fuori dell’ingresso dell’alberghetto. In quel momento uscì una barella che portava un corpo che s’intuiva di una persona molto grassa coperto interamente da un lenzuolo bianco macchiato di sangue e pochi istanti dopo vidi lei, discinta, scarmigliata ed in manette in mezzo a due agenti che la portavano via. Come la sera prima, sembrava non le importasse nulla di tutto quello che c’era attorno. Incrociai il suo sguardo e finalmente sembrò rianimarsi un po’. “Perché lo hai fatto?” le mormorai sconvolto. Lei mi sorrise, un sorriso triste, amaro e poi mi sussurrò piano, ma con un tono che mi fece gelare il sangue nelle vene : “Sai..italiano..a volte nella vita ci sono cose più importanti che mangiare!” Dopodichè fu spinta violentemente in un’auto della “Policia” che partì a sirene spiegate.
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