Renato Attolini
Senatore
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Inserito - 30/07/2006 : 16:02:18
Era da poco passata l’una di notte e il 20 agosto aveva lasciato il posto al 21 agosto. Non era una data qualsiasi: quel giorno sarebbe passato alla storia. Karel Liptakov guardava dalla finestra aperta di quell’umida estate del 1968 la Via Vinohradska percorsa dai carri armati e dalle truppe sovietiche. Si udivano grida concitate e qualche volta anche degli spari. Karel buttò via il mozzicone dell’ennesima sigaretta. Erano senza filtro, forti ed aspre fatte in Cecoslovacchia ed avevano un sapore orribile, ma Karel, da incallito fumatore, non ne poteva fare a meno. Spesso, sognando ad occhi aperti, s’immaginava, sull’onda del “Nuovo Corso”, il suo paese aperto al libero mercato ed allora si pregustava una profumata “Marlboro” o “Muratti” o anche qualche altra sottomarca che sarebbe comunque risultata migliore di quelle stoppie che era costretto a fumare. In quel momento però i suoi pensieri erano rivolti altrove. Ciò che si temeva si era puntualmente verificato: il paese era stato invaso quella notte dalle truppe del “Patto di Varsavia” ponendo fine alla “Primavera di Praga” che tante illusioni aveva creato. “Il socialismo dal volto umano” moriva in quei momenti ed una feroce normalizzazione si sarebbe presto imposta. Karel si sedette alla sua scrivania appoggiando i gomiti e prendendosi la faccia fra le mani: quella notte era di turno e sarebbe toccato a lui l’ingrato compito di trasmettere la notizia. Si accese un’altra sigaretta sentendo la gola bruciata dal fumo, guardò l’orologio che segnava la una e trenta e poi accese i microfoni. “Qui è Radio Praga che vi parla. Per quei pochi che ancora non lo sapessero vi comunichiamo che stanotte le truppe del “Patto di Varsavia” hanno invaso il nostro paese. Sono segnalati scontri fra manifestanti spontaneamente scesi per le strade e gli occupanti. Non si hanno almeno per il momento notizie di vittime. Vi terremo informati sugli sviluppi, mentre siamo in attesa di un comunicato ufficiale del Partito.” Karel fece una piccola pausa e poi proseguì: “A titolo assolutamente personale consentitemi di esprimere una mia opinione. Qui non si tratta di Comunismo, Socialismo o altra forma di governo. Qui c’è in gioco il principio dell’autodeterminazione dei popoli, principio che questa notte è stato infranto, vilipeso e calpestato.” Dopodichè chiuse la trasmissione, si appoggiò alla schienale della sedia e chiuse gli occhi in una specie di trance. Da fuori rimbombavano ancora grida e spari, ma Karel non ci fece più caso. Rimase in quello stato di torpore fino alle quattro del mattino quando un individuo irruppe nella stanza facendolo sobbalzare. “Tieni compagno” gli disse perentoriamente porgendogli un foglio. “E’ il comunicato ufficiale del Partito, di cui sono un emissario. Leggilo subito.” Karel, senza obiettare, andò immediatamente in onda e cominciò a leggere: “Qui è nuovamente Radio Praga. Adesso leggerò un comunicato del Partito Comunista Cecoslovacco a firma del suo segretario il compagno Alexander Dubcek. “Compagni, cittadini cecoslovacchi. Mi rivolgo a voi col cuore colmo di amarezza e sconforto. Siamo stati invasi dalle truppe di paesi che ritenevamo amici e dai quali avevamo avuto assicurazioni che questo barbaro atto non si sarebbe mai verificato. Per quanto ovvio, affermo e ribadisco che questo è accaduto senza nostra conoscenza e contro la nostra volontà. Invito la popolazione alla calma e a non rispondere ad eventuali provocazioni. Il vostro segretario Alexander Dubcek” Letto il comunicato Karel, chiuse la trasmissione. Si affacciò nuovamente alla finestra in tempo per vedere un giovane che saliva su un carro armato sovietico sventolando la bandiera cecoslovacca. Echeggiavano in lontananza slogans inneggianti al segretario del partito ed al presidente della Repubblica: “Dubcek, Svobodà!”, che tante volte si erano sentiti nelle manifestazioni di piazza in quei mesi. Fu colto da un moto di commozione che represse accendendosi un’altra sigaretta. Decise che era ora di andarsene: ormai non aveva più nulla da fare lì. Sua moglie Petra e sua figlia Lenka appena nata lo stavano aspettando. Non fece che pochi passi quando degli uomini in divisa armati irruppero nella stanza gridando in russo. Karel conosceva bene quella lingua: a scuola era obbligatoria. Un soldato gli puntò addosso un mitra e gli urlò: “Bastardo, hai finito di dire le tue ******ate.”. Altri cominciarono a rompere tutto ciò che capitava a tiro. Cercò in qualche modo di fermarli, ma uno di loro lo colpì violentemente alla testa col calcio del fucile. Il dolore fu atroce, Karel gridò forte con tutto il fiato che aveva in gola. Continuò ad urlare anche quando sentì due mani che lo scuotevano energicamente ed una voce che lo chiamava: “Papà, papà, svegliati! Svegliati per l’amor di Dio!” Aprì gli occhi e vide sua figlia Lenka che lo guardava con apprensione. “Credo…credo di avere avuto un incubo” riuscì a borbottare. “Oh, papà!” gli disse Lenka abbracciandolo con trasporto “E’ il solito vecchio incubo di quasi tutte le notti! Quando troverai un po’ di pace, papà mio adorato?” In quell’attimo la porta della sua camera si aprì di scatto con forza. Karel, al ricordo di quella terribile notte, represse un urlo angosciato. Due bambini, uno di dieci l’altro d’otto anni si buttarono sul suo letto. “Nonno, nonno!” lo chiamarono ridendo “Quando la smetterai di spaventarci con i tuoi urli?” “Tomas…..Vladislav! I miei nipotini” I tre si unirono tutti in un grande ed affettuoso abbraccio. Lenka guardò la scena commossa. “Papà ti preparo la colazione e dopo porta i bambini al parco. Oggi è festa e non c’è scuola!” “Evviva!” gridarono i marmocchi entusiasti. Karel guardò la sua famiglia e due lacrime gli scesero sulle guance. Quante cose erano successe da quel lontano 21 agosto 1968! Quante e quanto dolorose! L’edificio dove aveva sede “Radio Praga” fu teatro di sanguinosi combattimenti nel corso dei quali persero la vita 20 persone. Il giorno dopo l’invasione, l’emittente cominciò a trasmettere clandestinamente in una villa situata nel quartiere di Nusle sino a quando non fu snidata. Quella frase sull’autodeterminazione dei popoli gli costò il posto e grazie a Dio solo quello. La cosa più umiliante fu che prima di andarsene gli venne imposta quella che in gergo era chiamata “l’autocritica”. La sua ultima trasmissione, sotto il vigile e severo occhio di un funzionario del nuovo Partito, fu un atto di contrizione. Affermò che la propaganda imperialista gli aveva ottenebrato la mente e chiese perdono per aver infangato l’onore del paese.”. Dopodichè con gli occhi umidi e lo stomaco in preda alla nausea più violenta lasciò per sempre “Radio Praga” e andò a lavorare come operaio in una fabbrica. Gli era andata ancora bene. Aveva perso la dignità ma salvata la vita. Da quel giorno qualcosa si ruppe definitivamente dentro di lui e solo l’amore di Petra e Lenka riuscirono in parte a lenire le ferite del suo animo. Nel frattempo l’inverno della “normalizzazione” aveva fatto “tabula rasa” di tutte le belle idee e i principi che avevano infiammato quella splendida primavera. Il sacrificio dello studente Jan Palach bruciatosi vivo nella piazza san Venceslao il gennaio seguente non servì a nulla. Il mondo intero si commosse, protestò, minacciò, ma nessuno mosse un dito: gli equilibri politi erano troppo delicati. Gli anni passarono, Petra se ne andò troppo in fretta lasciandogli una cicatrice mai rimarginata. Si trasferì a casa di Lenka, sposatasi nel frattempo con Pavel, un medico praghese. Circondato dall’affetto di figlia, genero e nipoti ritrovò un po’ di serenità. Solo che ogni tanto di notte riviveva in un incubo, attimo per attimo, quei drammatici eventi che sconvolsero la sua vita e quella di un intero paese. Erano passati quasi quarant’anni, ma Karel non riusciva a dimenticare. Prese per mano i suoi nipotini e uscì di casa. Il sole di maggio lo investì come una tiepida carezza e si fermò per un attimo inspirando a pieni polmoni l’aria primaverile. Si guardò in giro e non potè fare a meno ancora una volta di notare la differenza fra la Praga d’oggi e quella di un tempo. La normalizzazione nulla aveva potuto contro il vento impetuoso che aveva fatto crollare il muro di Berlino e con esso tutto un sistema e la Cecoslovacchia, ora Repubblica Ceka, era un paese completamente diverso. Si stupì ancora una volta di più nel vedere i fast-food, i negozi dalle vetrine multicolori e soprattutto le rivendite di tabacchi dove abbondavano le sigarette americane. Un tempo avrebbe dato chissà cosa per poterle assaporare in luogo di quelle porcherie nazionali ed adesso che le aveva a portata di mano, il medico gli aveva tassativamente proibito di fumare se non voleva raggiungere sua moglie Petra in molta fretta. Lui, a dire il vero, non chiedeva di meglio, ma ubbidì pensando a sua figlia ed ai nipoti. Ammirò le belle ragazze praghesi con i capelli color sabbia, e gli occhi azzurri che passeggiavano gustandosi dei coni gelato. Un tempo quando lui era un bel giovane, gli sguardi erano ricambiati anche con ammiccamenti, ma oramai non era che un settantenne proiettato ancora nel passato. Sorrise nel vedere le braccia e le gambe delle ragazze completamente senza peli e col pensiero andò a quegli anni bui in cui la depilazione era proibita in quanto considerata un segno della decadenza occidentale. Una cosa era rimasta intatta e invariata: le donne che vendevano fiori ad ogni angolo di strada. Quella bucolica visione fu come un balsamo sull’animo di Karel. Il profumo che emanavano misto al tepore della giornata lo rasserenò sia pure per qualche istante. Pensò con nostalgia a quell’irripetibile stagione del 1968, quando erano le idee che la facevano da padrone e non i falsi miti dell’era moderna ma ammise fra sé che quella che stavo vivendo in quel momento era in ogni caso una splendida primavera, un’altra splendida “primavera di Praga”.N.d.a. – alcune considerazioni a posteriori. Questo ovviamente è un racconto di fantasia, per il quale ho però preso spunto da eventi storici realmente accaduti. Alcuni particolari poi sono assolutamente veritieri come la frase: “questo è accaduto senza nostra conoscenza e contro la nostra volontà” inserita nel comunicato ufficiale, per il resto liberamente immaginato dal sottoscritto, del Partito Comunista Cecoslovacco. Se qualcuno di questi riferimenti è frutto di mie ricerche (come gli scontri con morti intorno a “Radio Praga”, il nome delle vie e gli orari delle storiche trasmissioni) qualcuno deriva direttamente dai miei ricordi di sedicenne che seguì col cuore in tumulto quelle vicende come milioni d’altre persone e questo è il caso della frase pronunciata da uno speaker, non mi ricordo bene se della radio o televisione a proposito dell’autodeterminazione. La descrizione degli angoli di strada pieni di fiori e l’accenno alla depilazione delle ragazze li ho presi da un viaggio in Polonia effettuato prima del crollo del Muro di Berlino, quando ancora c’era il regime comunista e ho immaginato che così fosse anche nella vicina repubblica cecoslovacca.
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