July
Emerito
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Inserito - 04/08/2006 : 15:49:32
Dentro il cuore di Anna.D’un tratto, Anna si sentì come se lo stesse perdendo per sempre. Seduta in mezzo ai cinque colleghi dei quali fino ad allora aveva ignorato l’esistenza, venne travolta da una sensazione tanto pesante quanto appiccicosa, invischiante, simile nella sua vischiosità ad un telo sporco. Un telo sporco che le veniva poggiato, sulle spalle e sulla schiena, da due mani invisibili, due mani aliene eppure familiari, che c’erano e non c’erano, che facevano e non facevano. Responsabile eppure innocenti di quell’atto così triste che la faceva sentire inesorabilmente, ineluttabilmente sola. La solitudine era la voce del telo, la stessa solitudine che tediava la vita di una bambina triste imprigionata in un letto lontano chilometri; quella solitudine che respirava a pieni polmoni nelle pareti e i pavimenti del teatro che ella conosceva bene, e della quale era schiava. Aveva accettato di andare a mangiare con loro pensando che anch’essi fossero attori, della stessa specie di quelli che conosceva. Ciò non la infastidiva, perché sapeva come stavano le cose; lo sapeva sempre, l’aveva sempre saputo. Poi, parlando con loro, aveva iniziato a scoprire, pian piano, che non era così. All’improvviso, in mezzo al mare e ai fiumi di frasi ed emozioni in cui, compagni di viaggio, galleggiavano tutti quanti, le si era parata davanti l’immagine del loro cuore; quel che ella aveva sempre sospettato esistere, ma che non aveva mai tastato. Forse sfiorato, timidamente, con la punta delle dita, che venivano ritratte subito per la paura di far male, ma mai toccato o accarezzato. Adesso non lo toccava, ma ne percepiva l’immagine, e le fattezze analoghe a quelle del suo, e soprattutto ne respirava l’odore. Inizialmente si trattava di un odore buono, che sapeva di borotalco; poi, quando iniziarono a parlare di lui, divenne acre e pesante, proprio come quello che aleggiava a casa sua. Ma di questo Anna non si accorse subito, e lasciò che l’odore, che intrideva le frasi e vibrava, con la propria dura acredine, nelle voci, disegnasse una sorta di cerchio attorno ai loro corpi, un cerchio che li racchiudeva tutti quanti, e tagliava fuori lui. Sapeva che avevano ragione. Parlare con lui era stato come avvicinarsi piano ad una bella giacca esposta in vetrina, rapiti dalla sua forma e sedotti dal suo colore, allettati dalla curiosità di studiarne i dettagli e le rifiniture; poi, a poco a poco, scoprire che la giacca era in realtà rovinata. Gli orli erano scuciti, le cuciture dei bottoni allentate. E le tasche erano finte. Era tutto vero, era la verità sacrosanta, ma nonostante ciò ancora dentro il cuore di Anna resisteva la forza motrice, la corrente impetuosa che l’aveva spinta all’inizio, che ora la spingeva a girare attorno a lui, alla ricerca vana del bello che vi aveva scorto in lontananza. Adesso sentiva che lo stava perdendo. Mano a mano che essi parlavano, colpo dopo colpo, sferzata dopo sferzata, ne demolivano l’immagine; e visto che lei era con loro, la demoliva anche lei. E dopo le prime sferzate dentro il cuore di Anna si creò una crepa, e si aprì delineando sulla morbida superficie una striscia irregolare dai contorni frastagliati; poi si formò una voragine, dalle cui pareti la terra nuda franava, ricadendo giù pesantemente, rovinosamente, in una pioggia di sassolini e di pietre che levavano, crollando, una nube di polvere. Ed ella sapeva che ogni volta che le pareti si sgretolavano, che la terra franava, si sgretolava anche lui. Lui che in tutto quel tempo era rimasto custodito dentro il suo cuore, seppure simile ad una giacca scucita e logora, e che coesisteva assieme a stormi di altre presenze, allineate dentro il suo cuore, che crollavano e si riedificavano ogni giorno. “No” pensò con amarezza. “Non voglio perderlo.” E non appena ebbe quel pensiero, l’infelicità si dissipò. Giuliana carta
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