July
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Inserito - 06/08/2006 : 08:54:18
Un’immensa bugia
Una mattina di un giorno di giugno del tutto uguale a tante altre mattine di tanti altri giorni di giugno, un ragazzo di nome Tom Berry si metteva in viaggio in aereo assieme alla madre, la quale si sarebbe tranquillamente potuta descrivere come una sobria, elegante signora di mezz’età. Si dirigevano, assieme, a casa di parenti. Il giorno dopo una cugina di Tom – riguardo la quale Tom non aveva la minima idea del colore degli occhi o dei capelli, della statura e del numero di cellulare – sarebbe convolata a nozze, e come di dovere, Tom e la mamma, rispettivamente vedova e figlio dello zio defunto della giovane sposa, si apprestavano a prender parte alla cerimonia. Tom aveva circa sedici anni, lo sguardo inquietante ed una voglia matta di sguizzare fuori come un pesce da quell’assurdo completo giacca e cravatta con cui la madre l’aveva obbligato a partire.Invece – per un motivo ben preciso che verrà reso noto più avanti - era costretto a starsene seduto in compagnia dei suoi pensieri, a rimirare le nuvole mentre a fianco a lui sua madre era intenta a leggere un libro che…come s’intitolava? Ah, si! “La verita’ del ghiaccio.” Doveva immaginare che ora quello stupendo nuovo scrittore avrebbe riempito l’universo delle letture della madre per un po’, spingendola ad impiegare tutte le proprie energie nella ricerca dell’ultima opera presso tutte le librerie che incontrava! “Hai letto questo romanzo, Tom?” Era la quarta volta che glielo chiedeva quel giorno. In altre circostanze Tom sarebbe stato incerto se esprimere o meno il proprio disappunto, ma sapeva che quel giorno di quel mese di quell’anno NON ERA IL CASO di esprimere il proprio disappunto. Decisamente, non era il caso. “No, mamma. Non l’ho letto.” “Dovresti farlo, tesoro. E’ un libro stupendo.” Tom viveva da solo con la madre da quando aveva tre anni, anno in cui il padre era morto. Si chiedeva spesso cosa sarebbe successo se il padre non fosse morto o se avesse avuto almeno un fratello o una sorella coi quali condividere il peso delle numerose piccole ossessioni della madre. Le pattine da indossare rigorosamente nel momento in cui ci si affacciava a casa Berry; i fiori da innaffiare, costasse quel che costasse, alle sette del mattino, il tappeto dritto e posto in modo che la scritta “Welcome” salutasse gli ospiti entranti, era ovvio, per l’amor di Dio, Tom, non penserai che se ne possa fare a meno!!? Tutte queste piccole ossessioni, e la vita di Tom Berry era sistemata per 365 giorni all’anno. E intanto si chiedeva, mentre partiva presso lidi lontani, in virtu’ del ruolo di cui il destino l’aveva caricato rendendolo orfano e figlio unico, che sapore avesse l’amore. Se l’era chiesto tante volte, ma era difficile scoprirlo, vivendo con sua madre. L’unico amore che aveva potuto conoscere fino ad allora era quello che cresce inerpicandosi per le pareti, che deve stare attento affinché non venga soffocato dalle spine dei compiti e delle regole. Lui aveva finito per odiare le regole, sempre e comunque; aveva finito col perdersi nel sognare una vita fatta per essere vissuta, così, alla giornata. Dove le imposizioni fossero solo mera utopia. Dove esistesse un giardino fatto apposta perché i desideri e la volontà di ciascuno fossero liberi di spaziare, ed estendersi come un’enorme chiazza dai contorni ondulati. Dove egli fosse libero di far parlare la voce del cuore. C’era stato un momento, nella sua vita, in cui aveva pensato che soddisfare i propri bisogni personali fosse solo un sogno destinato a svanire. Era successo circa sei mesi prima, o per meglio dire quella era la data in cui tutto era iniziato. Era stato allora che aveva accettato di farsi. Prima si era trattato di hashish, consumato in mezzo alla goliardia della compagnia degli amici; inizialmente alle feste, sprofondato in mezzo a fumi dall’odore improbabile, travolto dal brivido dell’incoscienza e della trasgressione. In seguito l’aveva fatto anche da solo, giurando a sé stesso che si sarebbe fermato lì, che non avrebbe mai sniffato come facevano tutti gli altri, ma erano pensieri che già si erano dileguati da tempo, e che neppure ricordava di aver avuto quando per prima volta…. Poi arrivò la cocaina …sniffò. Come di rituale, lo fece assieme agli amici, trepidante come uno scolaro al suo primo giorno di scuola… E così venne la seconda volta …tutti gli amici erano in cerchio ad osservarlo sparire dietro quel mucchietto di polvere bianca… Poi la terza, poi la quarta, poi la quinta ….e mentre il recinto della sua coscienza si allentava all’infinito, aprendosi in una nuova dimensione che un anno prima non avrebbe mai pensato di visitare, a Tom venne in mente una frase letta su un libro di Stephen King, appartenente alla saga “La Torre Nera” in un mondo che va all’inferno a testa in giù cosa c’è di tanto basso nel tirarsi su Ricordava esser stato il pensiero di un personaggio di nome Eddie, un tempo, ora era appena divenuto la preziosa giustificazione in un mondo che va all’inferno a testa in giù cosa c’è di tanto basso nel tirarsi su con la quale egli faceva il suo debutto nel in un mondo che va all’inferno a testa in giù cosa c’è di tanto basso nel tirarsi su mondo della droga… E intanto il colore delle pareti tutto d’un tratto cambiava, e le forme si facevano allungate, strane, e gli odori penetranti, e le situazioni divertenti, molto più che divertenti, Santo Dio non ricordava di essersi mai divertito tanto in vita sua, tanto che non l’avrebbe nemmeno sfiorato il pensiero di cosa avrebbe detto sua madre quando un poliziotto alto e barbuto le avrebbe detto: in un mondo che va all’inferno a testa in giù cosa c’è di tanto basso nel tirarsi su “Signora Berry, è al corrente del fatto che suo figlio fa uso di stupefacenti?” Se egli fosse stato presente, e se l’effetto della marijuana fosse stato ancora in corso mentre sua madre, impallidita e quasi rattrappita sulla sedia, con la borsetta stretta in grembo, fingeva di essere a suo agio e chiedeva: “Che tipo di stupefacenti, signore?”, si sarebbe rotolato per terra dal ridere per alcuni minuti divenendo paonazzo. “Che noi sappiamo, fino ad ora Cannabis e cocaina, signora”, aveva risposto grave il poliziotto, a la madre aveva annuito affondando le unghie laccate sulla pelle della borsa, e dentro di sé ringraziando il Cielo, sebbene avesse capito subito che quello sarebbe stato il giorno più brutto, gretto e lugubre della sua vita, quello che d’ora in poi avrebbe ricordato sempre come gli abitanti di Atlanta ricordavano l’arrivo delle truppe di Sherman, quello in cui tutti i fantasmi e i demoni del suo animo diroccato si materializzavano in una macabra danza infernale di fronte a lei, che la parola “Eroina” non fosse stata pronunciata in quella sede. In silenzio aveva pagato la cauzione, aveva salutato Tom che sbucava da dietro le sbarre – luogo in cui aveva passato la notte dopo essere stato arrestato per guida senza patente e per di più in stato di ebbrezza assieme a due amici - grazie alle chiavi tintinnanti di un secondo poliziotto con un formale e freddo bacio sulla guancia, e con suo figlio si era diretto in auto. Tom, che non aveva avuto né modo, né tantomeno voglia di sbellicarsi dal ridere per l’accaduto, visto che ora che non c’erano di mezzo né la coca né la marijuana e la situazione si presentava per quella che era e cioè una GROSSA ROGNA aveva capito senza bisogno che sua madre proferisse parola. Era stato appena stipulato fra di loro un tacito accordo che lo obbligava a passare le vacanze con lei, oltrechè a fare tutto quello che lei gli chiedeva senza discutere. E questo era il risultato. Tom rifletteva su tutto ciò mentre sistemava la propria roba nei cassetti della camera – l’elegante camera, per dirla tutta – in cui i parenti li avevano sistemati. E in cui, dopo le nozze, sua madre accettò di sostare per il resto dell’estate. Aveva l’impressione che tutto ciò che sarebbe successo d’ora in poi sarebbe stato intriso della malinconia profonda, penetrante, che da anni oramai si portava dietro. E che adesso era resa ancora più intensa dagli ultimi, nefasti avvenimenti. Invece, a dispetto delle sue grigie previsioni, successe quello che non si sarebbe mai aspettato, e cioè che Tom perse la testa per la ragazza che gli serviva la colazione al bar sotto casa, dove egli si recava perché non aveva voglia di fare colazione assieme ai parenti quasi sconosciuti. Lei si chiamava Laura e vi era un solo aggettivo che le si potesse attribuire vedendola servire quantità industriali di tazzine di caffè, cappuccini e paste alla crema in mezzo a sedie e tavolini: silenziosa. Nessuna donna priva di tale qualità, messa sotto osservazione per due mesi, avrebbe svolto il proprio mestiere senza che i clienti avessero la benché minima idea di quale fosse il suono della sua voce, e fu proprio questo a far breccia nel centro del cuore di Tom. Dopo che l’ebbe tenuta sotto controllo come un animale da esperimento per sessanta giorni, per l’appunto. La curiosità di Tom era nata nel bel mezzo di un episodio in cui egli dapprima non trovava il portafogli per pagare il conto, in seguito lo cercava, e falliva ripetutamente nelle ricerche; poi si rassegnava e le domandava di fargli credito; infine veniva richiamato da un altro cliente che si accorgeva che aveva lasciato il portafogli sul tavolo. Tutta questa sequenza di eventi si era dispiegata senza che Laura spiccicasse mezza sillaba; la ragazza era incredibilmente riuscita a cavarsela annuendo e scuotendo il capo a seconda della circostanza!! Da allora Tom aveva preso a domandarsi che voce avesse, e per scoprirlo aveva deciso di far si, strategicamente, che ogni giorno gli servisse la colazione lei. Ma l’impresa si rivelò ben presto tutt’altro che facile, e soprattutto nel frattempo ebbero modo di emergere altri punti interrogativi, fra i quali quanti anni avesse la ragazza che le colleghe chiamavano Laura, dove abitasse, se vivesse da sola, e tante altre innocenti curiosità che vengono spontanee quando un uomo si innamora. Se Laura fosse felice, ad esempio. Se amasse il lavoro che faceva. Se dividesse la sua vita con qualcuno. Un bel giorno Tom prese il coraggio a due mani e disse alla giovane donna che batteva lo scontrino – era strano ma non aveva mai parlato neppure per dirgli quanto era il conto, lasciava carta bianca all’immaginazione di Tom!- e le domandò: “Cosa deve fare un ragazzo per sentire la tua voce?” Laura sollevò il viso su di lui assumendo una tinta che avrebbe fatto invidia ad un campo di papaveri. Poi, come ricordandosi che in fin dei conti il suo ruolo, lì, era quello di barman, e che aveva di fronte un cliente che forse si stava lamentando, disse, finalmente rivelando una voce acuta di usignolo: “Ehm…scusa. Non ti ho detto quant’era…” “E cosa deve fare un ragazzo – la interruppe Tom– per uscire con te, la sera?” Una seconda ondata di rossore le coprì completamente il viso, mentre rimaneva interdetta, davanti ad una cassa ancora aperta piena di banconote e monete ammucchiate, e con alle sue spalle uno sfondo di bottiglie di liquori e bicchieri allineati sugli scaffali. Laura iniziò a guardarsi attorno, curandosi che gli altri clienti non si fossero accorti di nulla; il bar era gremito di persone sedute attorno ai tavolini, o appoggiate contro il banco, che parlavano e chiedevano, entravano e uscivano in un movimento incessante. Non badavano a lei, e questo la confortò. Tom sorrise affettuosamente per lenire un po’ il suo imbarazzo. “Allora? – le domandò, piano – ti va di uscire con me?” Laura abbozzò un timido sorriso. “Si. – rispose – Perché no…” Quella stessa sera Tom e Laura passeggiavano sul lungomare, al chiaro di luna, mano nella mano. I tempi in cui aveva deciso di lanciarsi nel mondo delle droghe sembravano a Tom lontani come i ricordi impressi sulle pagine dei quaderni delle elementari. La luna proiettava sull’acqua, resa oscura dalla notte, una stria di luce che si allargava sulla riva, dai contorni ondulati che brillavano come percorsi da tanti lumini. La luce dei lampioni sulla passeggiata rendeva più chiaro il colore metallico del ferro battuto di cui erano fatti, e rischiarava la sagoma delle panchine dalla forma sinuosa. Seduti su una panchina, Laura e Tom si guardarono. Laura aveva i capelli raccolti, tranne che per due treccine che le accarezzavano le tempie; la pelle abbronzata del petto contrastava col bianco del top e dei pantaloni alla pescatora. Tom fissava i suoi occhi con i propri, col proprio sguardo profondo che avrebbe avuto tante cose da dire, eppure… Senza dire niente, i due si baciarono. Le mani di Tom corsero sulle sue braccia, un tocco caldo e tenero che Laura non aveva mai provato prima di allora; e di risposta, con la mano, prese a carezzare i capelli di lui, regalandogli un sottile brivido che rendeva ancor più elettrica l’atmosfera della sera. Si staccarono per un attimo, perdendosi ciascuno nello sguardo acceso dell’altro. Poi presero a baciarsi di nuovo, con una forza e una passione ancora maggiore, che nessuno dei due – e non solo Laura – aveva ancora assaporato nella vita. Era niente, al confronto, se non un’enorme frottola, un’immensa bugia, una storia ingannevole raccontata di nascosto dal compagno di banco, il piacere dato dalla coca. Una folata di vento spirò sui capelli biondi di Laura, e carezzò le sue spalle nude, mentre sprofondati nel buio i loro cuori fremevano, e palpitavano, per l’emozione del proprio nuovo, giovane amore…
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