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 La puzza dell'amore - Capitolo II
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Luigi Mannori
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Inserito - 24/08/2006 :  22:31:08  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Luigi Mannori Invia un Messaggio Privato a Luigi Mannori

La puzza dell'amore

(Capitlo 2°)


La sorte, bighellona e dispettosa fino in fondo, aveva voluto frapporre fra noi e la nostra Teano un ultimo ostacolo: circa cinquanta metri prima della nostra meta, un’orchestra stava allestendo il palco per lo spettacolo cui avrebbe dato vita più tardi ma nulla di quanto gli occhi riuscivano a carpire, avrebbe potuto confessarci che non si trattava della nostra orchestra, né tanto meno la logica può suggerire l’esistenza in pieno inverno di due feste all’aperto, nello stesso paese immerso in un clima polare, in un ambiente che in fondo vanta una frequenza elevatissima di villeggianti, ma prevalentemente ammassati nel periodo estivo.
Ci eravamo accomodati, in paziente attesa della fine delle operazioni, su una panchina della piazza, mal riparata da una parentesi di contenitori per l’immodizia che le facevano corona, probabilmente per offrire riparo ai malcapitati in giornate tanto tartassate, ma che per il forte vento proveniente proprio dalla loro direzione, riuscivano solo a ricordare l’ambientazione di un attacco con i gas asfissianti, probito dall’Onu ma intercesso dal Sindaco.
E’ necessario indicare, che i capi orchestra (o Bossetti) che operano fra quelle parentesi del suolo italiano da dove proveniva il nostro “aspirante Istrione”, amano calzare un atteggiamento definibile “mafiosetto”, per cui sono tutti serviti da un vero e proprio “luogotenente” e da un paio, almeno, di “scagnozzi” che costituiscono il “nocciolo duro” dell’orchestra: gli altri vengono ingaggiati stagionalmente, di solito a rotazione, poiché la presenza del nocciolo duro riesce sempre a vilire il consolidarsi di rapporti umani, e ben pochi aspiranti riescono a rintracciare lo “stomaco” necessario per una seconda stagione.
Ciliegina sulla torta, coloro che riescono a far parte del nocciolo duro, non capiscono un’acca di musica ed hanno modelli di vita ben lungi dal rasentare la minima ipotesi di modernismo, per lo meno contemporaneo: molti di loro hanno casualmente impattato con esperienze pseudomusicali ma, allontanati anche in quei frangenti, hanno optato per il più consono incarico di “ruffiani”, capace per lo meno di procurar loro un guadagno stagionale, più o meno fisso.
Perfettamente padrona di questa prassi, Pupina, cercava di riconoscere fra gli orchestrali, in quel momento impegnati nella quotidiana submansione di facchini, qualche volto noto, cui poter chiedere di essere introdotti al cospetto del bossetto, ma nulla e nessuno riuscivano a ricollegarla ai personaggi previsti, della nostra compagnia.
Si doveva ringraziare la mia insistenza nel voler investire l’ eccedenza dei nostri averi, libera dal coprire le spese per il ritorno, se l’avevo convinta ad entrare in un bar, per sorbire un caffè, dandole al tempo stesso la possibilità di impattare in uno degli scagnozzi del nostro Boss, con il quale, chiarito ogni equivoco, ci eravamo diretti verso la nostra meta definitiva.
E la combinazione ci aveva fatto impattare proprio in colui che in quella stagione, avrebbe guadagnato il titolo di Luogotenente, che si era dimostrato felicissimo di rivedere Pupina e di sapere che avrebbero nuovamente lavorato assieme.
Chiarito il fatto che loro si esibivano un paio di piazze più a nord, ci aveva invitato a seguirlo, perché il “capo” ci stava aspettando e cammin facendo si era abbandonato con piacere a parlare delle esperienze condivise in passato e della sorella di Pupina, che era uno dei punti di forza dell’orchestra, ma che quella sera non era venuta con loro per una fastidiosa influenza che la aveva incollata al letto, già da alcuni giorni.
Avvisando che anche sua moglie stava sbrogliandosela con un’influenza, naturalmente, per dovere gerarchico, più fastidiosa di quella della sorella di Pupina, aveva approfittato per rendere noto che essa era La Soubrette, il nome di richiamo, insomma una sorta di Regina della compagnia, capace di rappresentare un punto di riferimento per la indiscutibile capacità di fornire al gruppo le scelte più artistiche, il gusto più raffinato, e la professionalità più espressiva e prorompente, sottolineata dalla indiscutibile bellezza, che col tempo rasentava il sublime.
E non aveva potuto esimersi dal sottolineare che anche lui, in fin dei conti, aveva fatto carriera ed era diventato praticamente il “Vicecapo”, con tutte le relative responsabilità che tale carica comporta, tipo il verificare la costante funzionalità degli impianti, l’ allestire gli appartamenti che dovevano ospitare gli elementi della compagnia durante la stagione, espletare le pratiche con la S.I..A.E.(Società degli Autori ed Editori alla quale bisogna render conto di quello che si suona) e l’Enpals (Sindacato e Mutua degli orchestrali, all’epoca), mantenere revisionati i mezzi di trasporto, portare le divise del Capo in lavanderia, tutto, tranne che voci inerenti l’argomento musicale.
Mentre parlava, esibiva un atteggiamento da professore universitario cosciente del proprio livello di superiorità culturale, e sottolineava le parole con una mimica adeguata, che avrebbe anche potuto essere convincente, se non avessero provveduto a smentirla, le infinite sequele di “castronerie” dialettali e gli incontabili errori di grammatica e sintassi che sostenevano i confusionari concetti, che riuscivano a evadere dal labirinto dei suoi discorsi.
Il suo sistema di approccio ai discorsi stessi, denunciava una testa talmente vuota, che se fosse stato sottoposto ad una TAC, anche la più sofiticata macchina, dopo mezz’ora di attenta analisi, avrebbe detto, rivolgendosi ai sanitari di turno, “…embèh? E il paziente, quando me lo date!”.
Esteticamente lasciava intendere che il passato lo aveva trascorso meritando l’appellativo di “piacente”, ma col tempo, schiena e pancia si erano abbarbicate su una colonna ormai esausta, tanto da assimilarne i contorni alle più aspre “gicane” di Formula uno: il profilo, eccessivamente informe, suggeriva l’ipotesi di un coinvolgimento in un violento tamponamento a catena, fra autotreni di stazza superiore ai 95 q.li.
In compenso ben interpretava una assoluta rigidità del busto e del relativo collo che quando parlava, e purtroppo capitava sovente, accompagnava con rotazioni e rivoluzioni delle braccia che ricordavano le imitazioni dei “Pupi sicilani” di Franco Franchi, che di per sé non rappresentavano un eccessivo disturbo, ma costringevano l’interlocutore ad una distanza di sicurezza, precauzione necessaria se sforniti di particolari abbigliamenti protettivi.
Dato che tutto l’insieme denunciava una inevitabile dipendenza dalla moglie e rispettoso delle nobili qualità che con tanto ardore le aveva attribuito, non ho saputo rinunciare a riconoscerlo, in queste pagine, se non con il nome di Regino, né altro avrei potuto adattare alla moglie, diverso da Regina, suggerendo così anche l’immagine di una coppia evidente e praticante.
Mentre stavamo raggiungendo la piazza, nostro reale ed ultimo obiettivo, gli orchestrali del nostro gruppo stavano smaltendo gli ultimi scampi delle loro quote di facchinaggio e si apprestavano ad arrembare quell’oretta di riposo che rimaneva a disposizione.
Il Boss, in conclave con gli “impresari”, ci aveva notati da lontano e si era premurato di salutarci con la manina, a mo’ di acchiappamosche, completando il gesto con la classica rotazione del ditino, per significare che ci saremmo parlati poco dopo.
Concretizzato il poco dopo, si era concesso alla nostra presenza ed aveva proposto che ci fermassimo a mangiare una pizza, visto che loro si accingevano a tanto: trovandoci consenzienti ci aveva pregati di accomodarci, indicandoci la pizzeria che stava allestendo una tavolata all’uopo, che lui avrebbe fatto alcune telefonate e ci avrebbe raggiunto.
Prima di lui, arrivò il gruppo degli orchestrali, disposto a semicerchio, in formazione compatta, incurante delle difficoltà ad attraversare la porta di accesso e la sala eccessivamente ricolma di seggiole e tavolini, senza alterare la formazione stessa, serrata per gravità generata dalla presenza, al centro del semicerchio, di una figura femminile, che rappresentava l’unico esemplare di cantante, scampata alla ferocia dell’influenza.
Questa, era una ragazza giovane, fortemente ossigenata, piccola ma proporzionata, che gestiva la sua innata femminilità, caricandola con i modi di chi sa emulare le star malate di divismo sfrenato, disturbata da una “tosse maleducata” che la obbligava a violenti rossori, completati da convulsioni ed annaffiamenti a 360 gradi, cui comunque non dava molta importanza, o forse la noncuranza era ispirata dal gruppo dei suoi personali avventori.
Il gruppo aveva superato la sala senza elvato numero di inconvenienti, in ogni caso ignorati, grazie ad un “fair play” di interpretazione decisamente individuale, e si era proiettato sui sedili a disposizione, tentando di non modificare la sua complessa struttura: dopo una disputa di pochi minuti, aveva trovato sistemazione, agevolato dall’abbandono di chi era andato a lavarsi le mani o per altri motivi, generalmente considerati molto personali.
L’arrivo del capo non aveva alterato la conversazione, che si era indirizzata alla critica dei colleghi concorrenti, o di coloro che avevano abbandonato il gruppo, e per dire la verità, fioriva rigogliosamente di commenti che volevano dichiararsi spietati, ma riuscivano a risultare solo banali porcate, prive anche di quell’ironia che veniva tanto nominata, ma che probabilmente era riuscita a trattenersi altrove.
Nell’atto di sedersi, ilBoss, aveva spostato l’attenzione su di noi.
“E brava Pupina che vuole tornare a lavorare con noi!”
“Sai, mia sorella mi aveva confidato che stavi cercando un contrabbassista, e dato che Gigio al contrabbasso è molto bravo e che tu sei sempre alla ricerca di ragazze per il tuo spettacolo, pensavo che potremmo essere una coppia utile.”
“Canti anche, per caso?”
“Si, ho una ottima estesione ed una grossa esperienza sia come solista, che come corista: naturalmente leggo a prima vista .”
“Ah, bene”, quasi sorpreso, “Si, può essere utile: e che tipo di voce hai?”
“Sono baritono con intonazione bassa, ma riesco ad arrivare con sicurezza anche a un Fa. In basso scendo molto: il Do lo becco in scioltezza e se non fumo, posso guadagnare ancora un semitono o due.”
Pupina si era intromessa per elencare, con accentuato orgoglio, i miei lavori più importanti, e stava elencando i nomi delle più famose località di mezzo mondo, ove il lavoro mi aveva realmente portato, quando il Boss riprese a pilotare l’approfondimento.
“Sai guidare?”
“Si, ho la patente C e fra le altre cose, ho anche fatto il camionista.”
“Benissimo! Si, penso proprio che tu sia un elemento da tenere in considerazione.”
Chi si era immediatamente interessata, sentendo elencare Rio de Jeneiro, Puerto Rico, Miami, Haiti, Buenos Aires, ecc., era proprio quella con la tosse maleducata, che aveva cominciato a bombardarmi di domande, senza tuttavia rinunciare alle sue convulsioni, né all’irrigazione degli astanti, ed il Boss, probabilmente commosso da tanto impegno, aveva proposto di guadagnare il palco, per non dimenticare che avevano dei doveri da assolvere.
Sgomberato il campo con la sua democratica imposizione, il Capo mi aveva confidato di avere “dei soci” e, quantunque fosse lui a decidere, doveva pur’ redergli conto, pertanto mi avrebbe fatto sapere qualcosa al più presto.
Il Regino, cui era concesso di attardarsi con il Boss, si era appartato per accompagnare la borsa con gli spartiti del maestro, mentre questi accennava ad avvicinarsi alla cassa per regolare il conto.
Affascinato dall’idea di lanciare un ultimo siluro alla mia personale Potionkin, mimando con sicurezza il portar mano al portafoglio, mi ero proposto di offrire la cena.
Pupina, quasi colta da infarto, con due occhi sbarrati che sembravano voler cancellare quanto stavano iterpretando, disperatamente impegnata a rintracciare almeno un filo di voce che le permettesse di placcare la mia folle ed improponibile offerta, aveva sicuramente tirato un gran sospiro di sollievo, quando era giunta l’inevitabile risposta, “No, non lo permetterei mai, siete miei ospiti e per me l’ospite è sacro!”
Naturalmente non avevo insistito, ma ringraziando signorilmente, avevo porto i saluti e letteralmente trascinata fuori Pupina, ancora preda dei postumi dello sbandamento.
Avviandoci verso il furgone, una volta messe le nostre voci fuori portata agli orecchi indiscreti, non aveva saputo rintuzzare uno sfogo:
“Ma sei pazzo! Abbiamo solo i soldi per l’auostrada….”
“E allora? Alla fine ha pagato lui.”
“Ma se avesse detto si, grazie!”
“Cara Pupina, la vita non è fatta di ma e di se: un uomo come lui non poteva permettersi di fare una figuraccia lasciandomi pagare! Del resto, non sono mica stato scemo da insistere! Una volta che ha rifutato…ciao, è fatta e la mia bella parte rimane. Magari ne parla anche coi soci!”
Pupina, che aveva cercato di mantenere un tono severo, rilasciava gradatamente un sorriso di compiacimento, ed a questo punto del discorso, mi aveva abbracciato ed era riuscita a liberare il suo consueto cocktail di gioiosa serenità, di chi sa onorare anche le più piccole soddisfazioni.
Anch’io l’avevo cinta col mio braccio, e ci eravamo riavviati definitivamente, sghignazzando in crescendo, verso il nostro furgone, per un nuovo tentativo di rientro alla magione.

(continua)





   
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