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Gabriella Cuscinà
Senatore
Italy
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102 Gold
230 Punti Rep. |
Inserito - 10/03/2007 : 08:24:02
“Elena a New York” (romanzo a puntate di Gabriella Cuscinà)1 Era nata e cresciuta in un povero paese siciliano e il padre faceva da sempre il muratore. Elena aveva cinque fratelli e lei era la più piccola. Era stata inattesa e indesiderata, come già la madre le aveva fatto capire da tempo. Viveva in una condizione di miseria poiché i soldi non erano mai sufficienti per sfamare l’intera famiglia. Non era stata mandata a scuola, ma egualmente aveva imparato a leggere e a scrivere con l’aiuto del fratello maggiore che aveva goduto del beneficio di frequentare le elementari. Si chiamava Giacomo ed era il solo che le volesse veramente bene. Tutti gli altri la consideravano un peso, un ingombro, un’inutile presenza. Povera Elena! Mai una parola gentile da nessuno, mai un gesto d’affetto. La ignoravano e allora si era creata un mondo tutto suo, segreto, fatto di sogni e di fantasie inconfessate e strane, quasi morbose talora. La sua era una di quelle famiglie siciliane povere dove tutti spesso restano digiuni, ma devono possedere assolutamente i più moderni elettrodomestici esistenti sul mercato. A sei anni, aveva saputo che la madre era scappata da casa con il suo nuovo amore. Era rimasta sola con il padre e tre fratelli, poiché le due sorelle più grandi già si erano sposate non ancora maggiorenni. Quando aveva compiuto quindici anni, già dimostrava tutta la sua bellezza. Era una ragazza dalle forme armoniose, longilinea, di carnagione chiara, con la fronte spaziosa, le sopracciglia arcuate, gli occhi grandissimi e color camomilla. Elena possedeva una grande abbondanza di capelli castani e aveva sempre le spalle coperte da molti riccioli ribelli. Non aveva mai mangiato molto, tuttavia risplendeva di salute. Tonino la guardava da sempre. Abitava di fronte e spesso le aveva chiesto di diventare la sua ragazza. Ma lei sognava ben altro che un povero operaio. Fu così che un giorno il ragazzo, avendo ricevuto l’ennesimo rifiuto, la violentò. Era andato a trovarla mentre era sola in casa. -Un momento!- aveva gridato Elena, quando lui aveva suonato. C’era molto caldo ed era mezzo svestita. Si era ricomposta in tutta fretta, ed aveva aperto. Lui si era avvicinato richiudendo la porta, e di nuovo l’aveva pregata di volerlo accettare. Gli aveva rivolto un rifiuto secco e perentorio. Aveva dovuto lentamente indietreggiare ed era rimasta schiacciata contro il muro. Dalla scollatura del vestito s’intravedevano i seni. Le gambe tornite erano disegnate dalla stoffa sottile. Aveva intuito il pericolo e aveva urlato. -Che cosa vuoi! Vattene!- Si era divincolata, aveva cercato di urlare, ma tutto era stato inutile. Rimase immobile, dopo, senza potersi muovere, con i vestiti arruffati e senza più capacità di connettere. Aveva saputo, da quel momento, cosa volesse dire essere posseduta da un uomo e ne aveva conosciuto tutta la brutalità. Non si era confidata con nessuno. La vergogna e il dolore erano troppo forti. Pensava che avrebbe potuto togliersi la vita. In fondo, nessuno l’avrebbe pianta molto. Di tutto ciò, nella sua famiglia, non si seppe mai nulla e la vita continuò a scorrere monotona, triste e grigia. Poi compì sedici anni. L’unica novità fu un malore di suo padre, che un giorno, tornò all’improvviso dal lavoro trasportato da alcuni uomini. Il medico affermò che doveva stare a riposo perché aveva il cuore mal ridotto. Invece lui riprese subito a lavorare. Così di lì a poco, lo riportarono in fin di vita. Non ci fu niente da fare. Morì entro due giorni. E il suo cadavere fu posto nel soggiorno, già tutto vestito, dentro la cassa funebre. Povera Elena! Proprio sfortunata! In fondo voleva bene a quel padre sempre assente, ma che nella vita si era massacrato per la famiglia. Don Mario venne a dargli l’estrema unzione e rimase tutta la notte, solo con Elena, a vegliare la salma. Era un sacerdote giovanissimo, alle prime armi, alto e magro, bello, con gli occhi vellutati e con una leggera barba scura sulle guance. Lo conosceva ormai da più di un anno ed era l’unico uomo che le fosse mai veramente piaciuto. Aveva denti forti e bianchi che davano al suo sorriso una bellezza virile. Quando lo aveva visto la prima volta, n’era rimasta affascinata. Adesso, tutte le volte che lo vedeva, il cuore le balzava in petto. I fratelli, quella notte, si erano dovuti necessariamente assentare per lavoro, ma sarebbero ritornati l’indomani per il funerale. Durante la veglia, i due tacevano pregando mentalmente e guardandosi ogni tanto di nascosto. Avevano l’aria stanca ed affranta di chi deve stare tante ore davanti ad un morto. Don Mario si passò una mano sulla fronte. -E’ la vita! Bisogna accettare la volontà di Dio.- Elena sospirò e chinò la testa. I vetri delle finestre erano aperti, ma le persiane invece chiuse. C’era poca luce, prodotta da una piccola lampada. Fuori tutto era silenzio. Nella stanza, si udì lo scricchiolio di un mobile. Elena impressionata, si alzò di scatto. -Non fare così, - disse lui. -Vieni, siediti qui, accanto a me.- La ragazza lo ascoltò, ma ben presto si avvide che dovevano stare troppo vicini. Si sarebbe voluta alzare poiché il sedile era molto stretto. I gomiti si toccavano, le gambe si sfioravano, il turbamento era profondo, l’anima piena d’angoscia, quel contatto le produceva un vago senso di preoccupazione. Ciò nonostante restava seduta e non sapeva nemmeno lei il perché. Per il giovane sacerdote l’attrazione era troppo forte. Egli aveva fatto voto di castità, ma quella promessa gli era pesata sempre moltissimo. Tra l’altro, Elena era tra le più belle ragazze del paese e Don Mario l’aveva sempre guardata con mal celata ammirazione. Ma c’era la castità da rispettare e questo pensiero si faceva ogni giorno più tremendo, più angosciante, più opprimente. La sofferenza per quel voto aumentava, la monotonia della vita sacerdotale si faceva insopportabile. Lei si era ritratta su se stessa. Le ore trascorrevano lunghe ed interminabili. Aveva reclinato il capo ed era stata colta dal sonno. Poi d’improvviso, la sua testa si era ripiegata inavvertitamente sulla spalla di lui. -Sei stanca?- aveva chiesto Don Mario. -No, no, - aveva detto la ragazza raddrizzandosi d’un balzo. Ma nel silenzio, di nuovo il sonno l’aveva afferrata e nuovamente il suo capo era finito sull’omero dell’uomo di chiesa. Il sonno della giovinezza è difficile da controllare. I capelli le ricadevano sul collo, dalla bocca il respiro usciva regolare, facendo innalzare i seni. Com’era bella Elena! La forma delle gambe era ben visibile sotto la gonna leggera. Stava sognando di lui, di quel bel sacerdote che le sedeva accanto. Egli rimase immobile, frenava il respiro per paura di svegliarla. Avvertiva il battito del cuore e delle tempie. Dopo un po’, la ragazza si destò, portò le mani agli occhi e si riscosse vergognosa. -Il sonno è più forte di me, - disse. -Già, - rispose l’altro. Continuavano a sedere accanto con i corpi che si toccavano. Cercavano entrambi di non pensare e intanto una sorta d’ebbrezza li travolgeva, loro malgrado. Il sacerdote sapeva che si sarebbe dovuto alzare e invece restava lì, immobile. Rimanevano zitti, non si muovevano, stavano là con gli occhi fissi ed il cuore in tumulto. Improvvisamente un soffio di vento caldo, afoso, entrò dalle persiane provocando in loro un forte languore. Allora, nello stesso momento, si guardarono trasognati e l’uno fu nelle braccia dell’altra. Si strinsero, ad occhi chiusi presero ad accarezzarsi e rotolarono sul pavimento. Don Mario conobbe quaggiù il paradiso e l’inferno Elena, per la prima volta, assaporava la voluttà di un amplesso desiderato. Quando le prime luci dell’alba li sorpresero, in fretta si rivestirono e, continuando a tacere, lui scappò via. Pareva inseguito dai fantasmi, allucinato, inebetito. Non lo rivide più neppure al funerale. Cominciò a pensare e a convincersi di avere sognato tutto. E se la volta precedente la vita era ricominciata grigia e triste, questa volta lo sconforto la prendeva ogni giorno di più. Dipendeva in tutto e per tutto dai suoi fratelli, dalla loro carità e dalla loro volontà. Essi spesso la esortavano a cercarsi un marito, ma questa era l’unica cosa che Elena non voleva fare.
Trascorsero così altri due anni. Poi un giorno, su una rivista di fotoromanzi, che ogni tanto una vicina le prestava, lesse di un concorso a premi che prevedeva un viaggio in America. Non ci pensò due volte. Si fece dare i soldi per la lettera di partecipazione e la inviò. In seguito, ebbe la sorpresa insperata e inaspettata di scoprire che aveva vinto quel concorso. Poteva partire, le avrebbero pagato il viaggio ed il soggiorno. Nella sua mente, l’idea era chiara: sarebbe partita e non sarebbe mai più tornata. Aveva sempre sognato di visitare New York. Ora l’avrebbe fatto, sarebbe andata in quella città di cui tanto aveva visto e sentito parlare in televisione. Avrebbe lasciato un biglietto per spiegare la sua decisione ai fratelli, avrebbe raccolto i suoi pochi e miseri averi e sarebbe andata via per sempre. Avrebbe trasformato quella sorpresa nell’occasione della sua vita.
2 Sbarcò all’aeroporto Kennedy una fredda mattina di febbraio. In pieno inverno, New York era stupenda. Tutta ammantata di neve e brillante di ghiaccioli ad ogni angolo, destava ai suoi occhi un senso di meraviglia infinita. Difatti Elena nella sua vita, aveva visto assai poca neve. L’impressione di splendore e di grandezza era ovunque. La ragazza si guardava attorno e aveva la sensazione di trovarsi dentro un telefilm. E così cominciò ad amare quella città particolare, modernissima, allegra, cosmopolita. ‘E chi torna più!’ si diceva. Ma doveva anche trovare l’espediente per poter restare senza incorrere in sanzioni penali. In fondo, lì era solo una turista e con un permesso di soggiorno breve. Avrebbe potuto fare la clandestina per un po’, e poi? Le capitò di entrare in una pizzeria italiana nel quartiere di Little Italy dove cercavano delle cameriere. La assunsero e, con un contratto regolare di lavoro, ebbe anche rilasciato un documento di immigrazione. Ormai era a posto, doveva solo cercarsi un’abitazione. Trovò anche quella casualmente; era un appartamento fatto solo di tre stanze, bagno e cucina. Ma aveva un particolare interessante: chi l’aveva abitata precedentemente, vi aveva lasciato, accatastati, centinaia di libri. Erano scritti tutti in inglese e sarebbero diventati un vero tesoro, una fonte inesauribile d’informazioni. Furono il suo abbecedario per apprendere veramente la lingua e, in seguito, per conoscere tante cose sui costumi di quel popolo così diverso dal suo. Ogni sera, al ritorno dal lavoro, si sedeva a leggere e vi riusciva a stento, anzi non ci riusciva sulle prime, ma si sforzava caparbiamente. Si era acquistato un vocabolario inglese. Successivamente, con i primi risparmi, si era comprata un traduttore simultaneo, di quelle macchinette elettroniche che convertono istantaneamente la lingua. Se la portava sempre dietro e in breve, fu in grado di masticare le espressioni più comuni dell’idioma statunitense. La sera trascorreva il suo tempo a tradurre, ad interpretare. Insomma studiava moltissimo. E, adagio adagio, faceva a meno del vocabolario e del traduttore. Leggeva saggi, romanzi, racconti, testi scientifici, testi filosofici. Insomma, poco per volta la sua cultura si ampliava. A propria insaputa, la mente le si apriva verso nuovi orizzonti intellettuali. Elena era una di quelle persone molto intelligenti, il cui intelletto era rimasto sempre bloccato dal contesto sociale in cui era stata costretta a vivere. Adesso finalmente poteva spaziare, poteva soddisfare la sua sete di conoscenza. E lo faceva tranquillamente come autodidatta. Aveva pure trovato il coraggio di scrivere ai fratelli e raccontare della sua nuova esistenza. Era stato come dare un calcio al passato, come siglare per sempre la nuova svolta della sua vita. Invece sul lavoro, oltre che servire ai tavoli, si era trovata a doversi occupare della cassa. Quindi aveva dovuto familiarizzare con il computer. Quest’ultimo era divenuto improvvisamente il suo nuovo amore. Aveva raccolto i soldi con sacrifici e se n’era comprato uno. Ancora una volta aveva imparato da sola. Ma lo faceva agevolmente, giacché a spingerla era un senso di rivalsa verso la vita. Frequentava, nel tempo libero, la biblioteca di New York e si faceva prestare testi di letteratura americana classica e moderna. Dopo sei anni, la sua cultura era divenuta davvero vasta e aveva dimestichezza con la lingua più di una statunitense doc. Curava poco la sua persona, ciò nonostante era oggetto delle attenzioni di molti uomini, poiché conservava intatta quella sua bellezza mediterranea, attraente, procace, sensuale. Ma Elena non se ne curava, aveva perso l’interesse per il sesso maschile. Tutta la sua smania verteva per lo studio, voleva apprendere sempre di più, voleva arricchirsi di un bene insperato, qualcosa che mai nessuno avrebbe potuto sottrarle. Non aveva bisogno né di titoli, né di attestati culturali. Là in America, risultava perfettamente analfabeta. E questo non la riguardava, anzi la divertiva, la faceva star bene. Talora, l’unico rimpianto che la coglieva era quello per il proprio paese. La classica nostalgia dell’emigrante. Il vago senso di lontananza dalle proprie origini, dai propri affetti dell’infanzia. E, strano a dirsi, ora come non mai, Elena aveva ripensato alla propria madre. A quella strana donna che l’aveva abbandonata ancora bambina. Se prima un senso di odio e di rancore aveva accompagnato quel nome e quella immagine, adesso, se mai pensava a lei, lo faceva con malinconia, con un sorriso triste. Mamma! Poche volte aveva potuto pronunziare quel nome. Chissà cosa faceva adesso. Avrebbe potuto chiederne notizia ai fratelli, ma non ne aveva il coraggio, poiché per loro quella donna era morta. Eppure come sarebbe stato bello rivederla! Ogni tanto guardava il mare e sapeva che al di là di esso c’era il suo paese. Allora un’amarezza infinita la coglieva, una voglia di piangere tremenda. Ma si diceva che l’aveva voluto lei, che quella era la vita che si era scelta, che doveva continuare per quella strada. E lavorava, stava alla cassa della pizzeria da mezzogiorno sino a tarda sera. Era divenuta responsabile dell’amministrazione e guadagnava discretamente, ma qualcosa le mancava. Non era né un affetto e neppure un’amicizia. Infatti, di amici ne aveva tanti, sia americani, che emigrati italiani. Le mancava un vero scopo dell’esistenza, come qualcosa che la gratificasse veramente. Aveva letto da qualche parte una frase famosa: < L’inverno del mio scontento si è trasformato in gloriosa estate>. Ecco le mancava proprio questa trasformazione. Non sapeva cosa, né come, ma sapeva che ancora mancava un tassello alla svolta della sua vita. Un giorno lesse su un quotidiano che una casa editrice bandiva un concorso per aspiranti scrittori. Si trattava di inviare un racconto che rispettasse determinate prescrizioni e indicazioni. Elena si sentì solleticata a provare. Non aveva niente da perdere e si sentiva in grado di scrivere e di creare. Fu così che si mise incessantemente dinanzi al suo computer e iniziò a comporre. Scriveva la sera, quando tornava a casa. Batteva i tasti, usando la videoscrittura e il racconto pareva nascere da solo. Narrava delle sue terribili esperienze giovanili ed esprimeva, tangibili per chi leggesse, tutte le sensazioni provate per l’abbandono della madre, per la violenza subita e per il suo amore profano. Lo scritto rispettava pedissequamente le regole imposte dagli editori. Lo inviò, ma subito dopo se ne pentì; aveva proprio fatto qualcosa di assurdo! A chi mai poteva interessare la storia della sua vita! Così dimenticò il racconto. Riprese a frequentare la biblioteca nel tempo libero. Ormai oltre al lavoro, solo la lettura riempiva le sue giornate. Le capitò d’incontrare, seduta accanto a lei, un’anziana signora. Nel silenzio della sala, si scambiarono dei sommessi convenevoli, poi fortuitamente, si ritrovarono all’uscita. La donna si presentò e disse di essere un’insegnante in pensione. Elena precisò d’essere italiana e scoprì con piacere che anche la signora lo era. Veniva da un paese siciliano vicino al suo. Si abbracciarono e promisero di rivedersi. Infatti s’incontrarono nel medesimo luogo silenzioso, ma vollero uscire per poter parlare liberamente. La sua nuova amica raccontò di aver lasciato l’Italia sessant’anni prima e che si era sposata là in America. Adesso il marito era morto e lei era rimasta molto sola giacché non aveva avuto figlioli. Aveva sempre fatto l’insegnante nella vita ed era stata a contatto continuamente con i ragazzi. -E l’Italia? Il tuo paese in Sicilia? Come sono, come li hai lasciati?- -Io sono sempre rimasta nel mio paese. Sembra ancorato all’epoca medioevale. Qui a New York, pare di essere su Marte, a confronto.- Eppure era bello confidarsi con quella brava signora; era un po’ come assaporare il piacere di avere una madre, quella che a lei era sempre mancata. Così iniziò a narrarle tutte le vicissitudini della sua triste esistenza e, più parlava, più vedeva negli occhi dell’altra la benevolenza, la solidarietà, la partecipazione, la simpatia. Nacque tra le due un vero affetto con l’andar del tempo, un’amicizia fatta di comprensione, complicità e fiducia. -Oggi ho settanta anni- cominciò un giorno a raccontare la sua amica -e spesso penso ancora alla mia vita d’insegnante. Per esempio, penso sovente ad un ragazzino di nome Mike. L’avevo conosciuto quando aveva circa undici anni ed era un mio piccolo alunno. Era stato adottato a sei anni da una coppia senza figli. Due signori che lo avevano preso da un orfanotrofio dove era stato abbandonato.- -E che fine ha fatto oggi Mike?- chiese Elena. -E’ divenuto un magistrato molto importante qui a New York, ma io lo ricordo sempre perché è stato il caso più difficile e l’allievo più ribelle che abbia mai avuto nella mia lunga carriera. Una volta o l’altra, te lo farò conoscere. L’ho incontrato di nuovo qualche anno fa e non lo avrei mai riconosciuto.- -Per quale ragione?- -Anni fa, dovetti affrontare un problema giudiziario riguardante la casa in cui abito. Mi recai al palazzo di giustizia, convocata per testimoniare. Non sapevo a chi rivolgermi e dove andare tra quel labirinto di corridoi. Quindi mi aggiravo come un’anima in pena. Poi, improvvisamente, fui avvicinata da un uomo bellissimo, alto e aitante. Mi guardava con occhi languidi e fare ammiccante. Cercavo di guardare altrove, ma lui seguiva il mio sguardo. Non sapevo cosa pensare, ma di lì a poco si avvicinò e: -Signora!- disse -Ma davvero non mi riconosce? Sono Mike!- E come potevo riconoscerlo; si era trasformato, era divenuto un tipo virile e muscoloso, completamente diverso dal ragazzino che avevo conosciuto.- Elena ascoltava Olga, questo era il nome dell’amica, con interesse sempre crescente. -Ricordo la prima volta che affrontò una prova di scrittura. Un vero disastro! A stento riusciva a tenere la penna in mano. Quando era in vena di confidenze, raccontava che all’orfanotrofio, gli altri ragazzi lo picchiavano sempre e non sapeva difendersi perché era troppo piccolo e nessuno si preoccupava di lui. Povero Mike! Assetato d’affetto e di comprensione! Gli ho voluto bene in modo particolare, e lui se ne rendeva conto e mi cercava sempre. Quando entravo in aula, notavo che aveva un moto di gioia in quei suoi occhi da arabo. Ma era molto irrequieto e talora proprio insopportabile.- -Forse perché non si era mai sentito amato,- fece Elena. -Sì credo, anzi sono stata sempre convinta di questo. Affermava di voler diventare fortissimo fisicamente in modo da non dover mai più soccombere agli altri ragazzi. Secondo me, era un modo per farsi apprezzare e voler bene. Comunque il suo padre adottivo lo aveva iscritto ad una scuola di Karate e in una palestra di culturismo. Ben presto mostrò una muscolatura invidiabile.- -Doveva essere proprio un bel ragazzo.- -Infatti. Diventava sempre più bello ed attraente.- -E come andò in seguito a scuola?- - Non molto bene all’inizio. Crescendo però s’impegnò nello studio. Più cresceva, più ce la metteva tutta per imparare. Diceva che avrebbe fatto il giudice per poter arrestare tutti coloro che maltrattano i bambini.- -E la questione giudiziaria come andò a finire?- -Me la risolse in men che non si dica. Talora mi telefona e mi racconta di sé.- -Si è sposato? Ha figli?- -No, non si è sposato, e ne intuisco il motivo; bello com’è, avrà tutte le donne ai suoi piedi.- -Ma è davvero tanto bello?- -Guarda Elena, è un tipo poco comune; possiede una bellezza da arabo, con i capelli ricciuti e il viso perennemente abbronzato. I suoi occhi sono grandi, neri e magnetici, con il taglio all’orientale. I denti sono perfetti e bianchissimi; quando sorride, gli s’illumina il volto dai tratti perfettamente regolari.- -Da come lo descrivi sembrerebbe proprio un Adone!- -Quando lo conoscerai, mi darai ragione.- -Secondo te, perché non si è mai sposato?- -Perché teme di mettere al mondo dei figli e di non saper essere un buon padre. Il suo passato lo ha troppo segnato. Tra l’altro ha anche perso i genitori adottivi.- Qualche giorno dopo, Elena si sorprese a pensare a Mike, all’uomo di cui l‘amica le aveva tanto parlato e che aveva solleticato la sua fantasia. Se lo immaginava in tutta la sua prestanza fisica, simpatico e gentile. A poco a poco, pensava sempre maggiormente a lui; credeva di essere come le eroine del tempo antico che s’innamoravano dei loro cavalieri per sentito dire. Ad Olga non riuscì di farli incontrare, poiché il giudice in questione era impegnato di continuo. L’alone di mistero e la curiosità crescevano quindi sempre più. Ma un nuovo avvenimento doveva distogliere Elena dalle sue fantasticherie. Difatti un giorno alla pizzeria, si presentò Giacomo, il maggiore dei suoi fratelli. Sorpresa! -Giacomo! Sei proprio tu! E che ci fai qui? Che piacere rivederti!- -Elena! Ti ho trovata finalmente! Che gioia! Sapessi quanto ti ho cercato!- Si abbracciarono e si baciarono, accorgendosi che era la prima volta che lo facevano nella loro vita. -Ma perché sei qua a New York? E’ successo qualcosa di grave?- -Be, al paese tutto a posto. Ma io m’ero sposato e mia moglie è improvvisamente morta di tumore. Non abbiamo avuto figli e sono rimasto completamente solo. Sai, anche gli altri fratelli si sono sposati.- -Mi dispiace, Giacomo, chi era? La conoscevo?- -Era la figlia della zia Marietta, quella che abitava vicino la fontana.- -Ma chi? Luigina? Avevi sposato lei? Ed è morta! Oh poverina! - -Per questo ho pensato di venire anch’io qua. Lavorerò e mi rifarò una vita. Ho i documenti di immigrato in cerca di lavoro.- -L’hai già trovata un’occupazione, se vuoi, puoi lavorare qui nella pizzeria, ti assumeranno di certo. E per quanto riguarda l’alloggio, verrai a stare da me. Non preoccuparti Giacomo, non sarai più solo.- -Grazie Elena, sapevo che avrei potuto contare su di te.- Fu così che il fratello entrò a far parte della sua vita quotidiana. Si dimostrò un onesto e zelante lavoratore. Inoltre cercò di non dare fastidio come ospite e volle contribuire all’affitto della casa. Caro Giacomo! Era sempre stato il suo preferito. Quello che le aveva insegnato a leggere. Si ricordava pure che era un tipo cui non dispiaceva fare delle burle. Proprio un simpatico, insomma. Al paese infatti, sovente si era beffato di molti amici. I suoi scherzi erano divenuti proverbiali. Gli scherzi di Giacomo! Ne parlavano tutti. Ma erano sempre burle scanzonate, innocue infondo. Ben presto fece amicizia con Don Carlo, il proprietario della pizzeria. Questi era divenuto come un padre per Elena, e spesso l’invitava a casa sua , tra moglie e figli. Quindi cominciò ad invitare anche Giacomo. Questi, l’ennesima volta che fu invitato, sentendosi ormai a suo agio, pensò bene di perpetrare uno dei suoi scherzetti: essendosi chiuso nel bagno, lo fece ritrovare tutto rivestito di carta igienica. Un’altra volta, finse di essere un ispettore delle tasse e si travestì, si presentò alla pizzeria e disse a Don Carlo che doveva pagare molti milioni di dollari arretrati. Al poverino, per poco, non veniva un colpo apoplettico! Ma Giacomo era così e bisognava prenderlo com’era. La sorella era felice d’averlo per casa. Buono d’altronde, generoso e sempre pronto ad aiutare tutti. Aveva invitato, una sera, il suo datore di lavoro in un pub per bere qualcosa di diverso dalla solita birra. Ma il suddetto pub si rivelò ben presto malfamato e capirono che vi spacciavano droga. -Andiamo via, Giacomo.- -Per caso ha paura che arrivi la polizia? Figuriamoci! Noi siamo incensurati e non abbiamo nulla da temere.- -Dovremmo veramente andare.- -Siamo appena arrivati Don Carlo! Guardi, le assicuro che non verrà nessuno e poi anche quando, noi possiamo sempre squagliarcela.- -Non dire sciocchezze e andiamo.- -Sa, ho già individuato la porta da cui potremo scappare.- E Giacomo era allegro e divertito. -Io non sono mai scappato nella mia vita.- -E’ quella porta dietro di lei, a un passo dal nostro tavolo. Penso di poter dire che se anche accadesse il peggio…......- Ma quello che avrebbe potuto dire se fosse accaduto il peggio era destinato a andar perso per la posterità, perché in quel momento una voce stentorea disse: -Fermi tutti per favore!- Era la polizia. La confusione fu improvvisa. I due si guardarono ed eludendo le forze dell’ordine, si alzarono e si diressero velocemente verso la suddetta porta, quasi ridendo. Arrivarono in un cortile pieno di bidoni della spazzatura. C’era un muro che lo recingeva e capirono che avrebbero dovuto scalarlo. Il più giovane si sedette su un bidone. -Non stare lì come una lucertola al sole e aiutami a scavalcare il muro.- Giacomo obbedì e il suo amico, una volta lassù, rimase con una gamba da una parte e una dall’altra. -Te lo avevo detto che dovevamo andar via subito.- -Non avremmo potuto fare queste acrobazie- rispose l’altro sghignazzando. A questo punto Don Carlo perse l’equilibrio e precipitò dall’altra parte del muro. Ma per dissipare le ansie del suo compagno, annunciò che non aveva subito danni tranne una leggera abrasione ad uno stinco. Dopo che anche l’altro ebbe scavalcato il muro, si diressero velocemente verso le rispettive case, ancora ridendo e scherzando. L’accaduto si riseppe ben presto in tutta la pizzeria, e le risa e i lazzi furono innumerevoli. La vita di Elena aveva subito, nel frattempo, un nuovo scossone. Difatti la sua amica Olga era riuscita finalmente a farla incontrare con Mike. Una sera, l’aveva chiamata telefonicamente e le aveva comunicato che sarebbe andata alla pizzeria insieme al suo pupillo. Il cuore della ragazza ebbe un sussulto. Ora avrebbe visto finalmente il suo segreto e immaginario amore! Come sarebbe stato Mike? Degno delle sue aspettative? Oppure una delusione? Fu in apprensione fino al momento dell’incontro. Aveva fatto preparare un tavolo per tre, e lei era stata a lungo a farsi bella. L’uomo cui tanto aveva pensato, senza averlo mai visto, superò ogni aspettativa. Il giudice Michael Light arrivò puntualmente insieme all’amica e sfoderò uno dei suoi sorrisi da mozzafiato. -Piacere signorina! Olga mi ha parlato moltissimo di lei, e alla fine ci conosciamo!- -Già, eh…, molto piacere- fece Elena, cercando di non dare a vedere la sua emozione. Mike intanto la squadrava. Ma che gran bella ragazza! Procace e molto latina. Il genere di donna che poteva attrarlo; lui però aveva sempre badato di più alla bellezza interiore in una donna. Olga era gongolante. Era riuscita nel suo intento e adesso si sentiva come qualcuno che abbia assolto una missione. Trascorsero una piacevolissima serata, raccontando e ricordando ognuno migliaia di cose del proprio passato. Tra una facezia e l’altra, i due giovani ridevano allegramente. Una donna sa sempre quando ha fatto breccia agli occhi di un uomo ed Elena sapeva perfettamente di avere affascinato e conquistato Mike. Si erano dati del tu ed era rimasti insieme sino a tarda notte. Però qualcosa di lui l’aveva delusa e non sapeva bene cosa fosse. Forse quella strana severità dovuta alla professione. Oppure quel tono saccente malcelato. Insomma il suo supposto amore era in forte calo, anche se la piacevolezza dell’individuo era innegabile. Andando via, i due si impegnarono a rivedersi. L’indomani Olga le telefonò per aver confidate le sue impressioni. Elena elogiò tantissimo il giudice, ma l’istinto femminile fece capire alla sua amica che le nascondeva qualcosa. -Guarda che non mi incanti, cosa c’è che non va, qualcosa ti tiene dubbiosa, fa’ la brava e dimmelo.- -Ma niente! Figurati!- -Te l’ho detto, è inutile che cerchi d’ingannarmi. Parla e falla finita.- Qualcosa nel suo tono la convinse che spingere oltre la reticenza sarebbe stato scortese. Ma odiava doverle dire la verità perché sapeva che non l’avrebbe presa bene. Però ormai era con le spalle al muro. -Bene, se proprio vuoi saperlo, mi stavo domandando se non hai sbagliato a volermelo fare conoscere a tutti i costi.- -Ma perché, scusa Elena, che c’entra questo, perché dici così?- -Olga, secondo me si sarà sentito adescato e poi in fondo anche se è bellissimo, è un po’ troppo burbero ed arcigno.- -Ah! Questa è la verità! Non ti è piaciuto. E dillo, porca miseria! Non era obbligatorio che ti piacesse.- -Sì, e poi avrà pensato di te che stavi facendo la sensale di matrimoni.- -Questo no, Elena, lui non è cretino e non lo pensa. Sa che gli voglio molto bene.- -Siamo rimasti d’accordo che ci saremmo rivisti, io però vorrei evitare.- -Mi deludi; secondo me, dovresti conoscerlo meglio. Comunque fa come credi.- -Vedremo Olga, ti terrò informata.- -Non vorrei avere provocato qualcosa che possa addolorarlo per il futuro.- -Ma non preoccuparti! Userò moltissimo tatto con il tuo adorato pupillo e poi non è detto che non voglia più rivederlo.- Le due amiche, per il momento, non si sentirono più. Olga difatti, doveva partire per un breve viaggio. Un’altra cosa l’aveva delusa: Mike aveva ordinato del brodo e aveva iniziato a sorbirlo facendo degli strani rumori. Però, dopo le sue occhiate stranite, aveva continuato a mangiare con fare sommesso, mentre interloquiva e le rispondeva. Era rimasta un po’ sconcertata di questo fatto. Una sera, mentre lavorava per casa per le solite faccende domestiche, andò a sbattere con un piede contro un tavolino. Stava appunto massaggiandosi l’alluce, quando qualcuno bussò alla porta. Andò ad aprire e rimase immobile sulla soglia, spalancando gli occhi come due tazze da caffè. Era Mike. Toccò a lui parlare per primo. - Ciao Elena, scusa se arrivo inatteso, mi dispiace, forse t’ho disturbato.- -Ehi ciao, no no, non disturbi, solo che sei proprio inaspettato e mi trovi in disordine.- -Non preoccuparti, tu sei sempre bella. Ma allora, mi fai entrare o rimaniamo sulla porta?- - Oh scusa, certo, accomodati Mike. Trovi la casa sottosopra poiché stavo appunto facendo un po’ di pulizia.- -L’altra sera mi hai detto che hai un fratello. Non è qui?- -No è uscito, appunto per questo approfittavo per mettere un po’ d’ordine. Sai Giacomo è un gran confusionario.- -Ma non hai ancora cenato vedo. Posso invitarti fuori?- -Se vuoi possiamo mangiare qua a casa. Non ho gran che da offrirti, ma qualcosa la rimediamo comunque. Di solito faccio mangiare mio fratello e con il suo appetito non si scherza.- -Ma no Elena non disturbarti! Dai, andiamo, ti invito in un ristorante all’ultima moda.- La cosa la solleticava, ma non aveva voglia di imbellettarsi e di affrontare la rigida notte newyorkese. -Senti, non faccio complimenti, preferisco restare a casa.. So cucinare bene, vedrai.- -Come vuoi, ma mi devi assicurare che non ti do noia.- -Se così fosse, per gentilezza, non potrei neanche dirtelo, Mike!- ed Elena rise.
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Inserito - 15/03/2007 : 17:46:43
3 Aveva nel frigo, tutti gli ingredienti per una spaghettata come quella del paese. L’avrebbe fatta assaggiare al signor giudice. Veramente la tentazione sarebbe stata quella di metterlo alla prova con altro brodo, ma la prudenza la induceva a desistere. E poi gli spaghetti erano un’altra cosa! Si mise all’opera. La sua cucina era attrezzata all’americana, ma vi erano delle cose e degli strumenti che ricordavano i suoi luoghi d’origine. Per esempio il mortaio, di quelli all’antica di legno massiccio. Cominciò a schiacciare l’aglio, battendo e facendo un gran fracasso. -Ma stai piantando chiodi?- Mike era apparso sulla soglia. -No, ah ah ah, no, sto solo pestando l’aglio. Sai, ti sto preparando degli spaghetti tipici delle mie parti. Li condirò con olio, prezzemolo, tonno, pomodori pelati e appunto l’aglio. Ti piace la pasta vero Mike?- -Non sono abituato a mangiarla, ma quelle rare volte che l’ho fatto, mi è piaciuta. Posso guardare mentre la prepari?- -Ma certo! Anzi devi restare qui perché dobbiamo cenare in cucina. La mia casa è piccolissima e modesta. Te ne sarai accorto.- -Mi sono accorto che ovunque si sente la presenza di tuo fratello. Ho proprio curiosità di conoscerlo. E’ un tipo mediterraneo come te?- -Oh, Giacomo è molto più bello! E’ alto, robusto, con le mani e le spalle larghe. Ha sempre fatto l’operaio nel passato. E’ diventato una specie di Ercole, ma non ha perso quella sua aria scanzonata. E poi è tutto bruno, con i denti bianchissimi e la mascella volitiva.- -Prima o poi lo conoscerò. Però è difficile essere più piacente di te.- -Cos’è questo un complimento?- Si sentiva leggermente imbarazzata. Mike era sopraggiunto alle sue spalle e osservava ciò che stava armeggiando. Si era fatto molto da presso e ne avvertiva tutta la maschia presenza. -Io cerco di dire quel che penso nella vita privata. Sono troppe le volte che sul lavoro, devo sottacere il mio pensiero.- Ma perché ancora non le piaceva fino in fondo? Era stata la questione del brodo oppure lo aveva troppo idealizzato?
Mentre stava ancora pestando, improvvisamente Elena si schiacciò un dito; mandò un piccolo grido e cominciò ad agitarlo. Il giudice le afferrò la mano e la strinse fortemente. -Ferma Elena, vediamo cos’hai.- Non era assolutamente niente di serio, ma lei avvertì la calda sensazione della sua stretta e Mike la guardò con dolcezza. -Non è niente, dai, lasciami continuare altrimenti non mangiamo più.- Riprese a preparare il condimento e lui rimase lì ad osservare, sempre con quella espressione di dolcezza sul volto. Ma perché non era lo stesso dei suoi sogni? Talora era rude e serissimo e poi era dolce come adesso. Mangiarono, anzi divorarono gli spaghetti. -Credo di non aver mai mangiato niente di più buono.- -Adesso non esagerare, Mike.- -Allora forse è la tua compagnia che li rende deliziosi.- -Mike! Ma cos’è? Hai deciso di sedurmi, di corteggiarmi o cos’altro?- -Cerco solo di essere galante perché tu mi piaci Elena e lo sai, quindi non dico niente di falso. Ma non hai mai avuto un marito, un fidanzato?- -No, sembra strano lo so, ma delle brutte esperienze giovanili mi hanno tenuta lontano dagli uomini e non ci posso fare niente.- -Perché cosa ti è successo?- E qui Elena dovette raccontare della violenza subita e dell’amore sacrilego con un sacerdote. Il giudice stava ad ascoltarla assorto, rattristato. Era come se un improvviso dolore lo avesse scosso. E fu così che ebbe la certezza di amarla come mai gli era capitato fino a quel momento. Amava quella piccola siciliana tutta riccioli e dagli occhi topazio. Ci voleva una povera ragazza siciliana per far capitolare l’illustre magistrato. La guardava, partecipando a tutte quelle disgrazie con tenerezza e comprensione. -Ma un uomo che ti volesse veramente bene, non lo vorresti proprio?- “Attenzione! E ora, cosa rispondere? La verità. Sempre meglio la verità.” -Vedi Mike, ritengo che sarebbe molto più importante che fossi io a volergli bene.- -Certo hai ragione; dunque non hai più incontrato l’amore?- -No, temo di no. Forse quelle esperienze mi hanno segnata troppo. Amici ne ho molti, ma nessuno che mi interessi più di tanto.- -Non vorrai mai nessuno? Pare incredibile in una donna giovane come te.- -La vera fortuna, secondo me, è riuscire a conoscere quel sentimento tanto decantato che chiamano amore. Provarlo per una persona reale, che sappia coinvolgerti totalmente, per cui ti senta sempre pronto a sacrificarti, che ti faccia capire cosa voglia dire abnegazione. Chi è toccato dal dio dell’amore è davvero fortunato, credo. Quindi penso che il vero stato di grazia sia di chi ama, non di chi è amato.- -A questo non avevo mai pensato. Dunque ritieni che non sia neppure importante essere ricambiato?- -No, non dico questo, ma pensa Mike, non è peggio se sai di essere amato e tu non ami?- -Certo non è la posizione ideale, però neppure amare senza speranza deve essere divertente. Io per esempio, nei tuoi confronti ho molte velleità. So che per ora tu non mi vuoi, che vedi in me solo un grande amico. Sento che qualcosa ti ha deluso e ti tiene lontana. Lo avverto con la sensibilità dei sentimenti più forti. Poiché io non sono mai stato innamorato di una donna come lo sono di te. E adesso l’ho detto. Non credo che desisterò tanto facilmente qualunque cosa tu dica.- -Io non ti dico proprio niente perché sai tutto. Una cosa però l’aggiungo, ed è che non vorrei perdere la tua amicizia, Mike. Ma scusa, come mai finora non ti sei sposato?- -Donne ne ho avute tante, fidanzate, semifidanzate, amiche, amichette, ma quando arrivavamo a parlare di matrimonio, io mi tiravo subito indietro, poiché ho sempre paventato la condizione di marito e di padre. Con te è diverso, non so perché, ma mi sentirei pronto a sposarti domani e ad essere padre di un figlio tuo dopodomani.- -Piano, andiamo piano, ripeto che non dico niente, e non per tenerti in sospeso, ma perché non riesco ancora a decidermi.- L’indomani alla pizzeria, Elena era molto radiosa. Ai suoi occhi il cielo splendeva più azzurro che mai, gli uccelli cinguettavano con più brio. In realtà era il suo cuore che esultava, poiché le parole di Mike l’avevano resa felice, anche se ancora non si sentiva di impegnarsi. Avrebbe voluto telefonare e raccontare tutto ad Olga, ma non l’aveva fatto perché temeva un predicozzo. Don Carlo si era accorto di quell’aria estatica ed aveva chiesto: -Cosa c’è di nuovo Elena? Sembri molto contenta.- -Contenta?- -Sì contenta.- -Io?- -Sì tu.- -Io? Contenta?- Al buon uomo venne voglia di chiederle se si credesse un’eco delle montagne, ma preferì tacere. Poco dopo, entrò Henry con la sua sedia a rotelle. Era un ragazzo che conoscevano ormai da tempo e che spesso andava lì a mangiare. -Ciao Carlo, Ciao Elena, come va?- -Ma guarda chi si vede!- fece Elena andandogli incontro. Come al solito, il ragazzo era accompagnato da Gim, suo amico inseparabile, che sempre spingeva la carrozzella. Erano ormai trascorsi parecchi anni da quell’incidente che lo aveva reso paraplegico. I medici dell’ospedale gli avevano salvato la vita, ma non l’uso delle gambe. -Carlo, come sta tua moglie? E’ guarita dall’influenza?- -Si, grazie Henry, adesso sta bene.- Ma che caro ragazzo! Tutti gli erano affezionati. Certo, per lui, non era bello trovarsi in quelle condizioni, ma se n’era fatto una ragione. Stava in compagnia, andava al mare che lui adorava. Aveva tanti amici, ma più di tutti gli era affezionato Gim, un ragazzo pieno di salute, alto, bello, riccioluto e scuro di pelle. Fra i due, l’amicizia era più che fraterna, indissolubile. Passeggiavano e parlavano lungo la baia dell’Hudson. Henry talora taceva assorto nella contemplazione del paesaggio e dell’immensa distesa del mare. Prima della disgrazia non dava significato a molte cose che dopo gli erano diventate importanti. Aveva più tempo per rifletterci sopra e la vita aveva assunto una luce diversa. -Che hai fatto recentemente bellezza?- Elena verso di lui era sempre affettuosa. E poi l’appellativo era appropriato al busto aitante, il viso mascolino, non perfetto, ma molto attraente, con le fossette sulle guance che si accentuavano non appena sorrideva. -Oh, sai, ho partecipato ai campionati di basket per paraplegici!- -Bravo Henry! Avete vinto?- -Sì, la mia squadra ha vinto.- Una volta, Elena gli aveva detto: -Se capitasse a me quello che è successo a te…….- -Ti ci abitueresti! Ci si abitua a tutto, Elena. Il fatto è che vedi le cose sotto un’altra luce, come se qualcuno ti aprisse improvvisamente gli occhi. Allora ti accorgi dell’egoismo della gente, della povertà e della miseria morale che ti circonda. Improvvisamente ti accorgi dell’insensibilità degli altri.- Lui stava bene solo vicino al mare. Lì dimenticava tutto, non gli mancava niente. E poi era bella la vita per chi era stato ad un passo dalla morte. Henry l’apprezzava più di tanti altri. Guardava il sole, il mare, i fiori, e sapeva con esatta cognizione cosa voglia dire essere sul punto di non rivederli mai più. Trascorsero insieme qualche ora e i due ragazzi consumarono panini e birra. Per Elena erano dei cari amici. Poi salutarono e si avviarono per la loro consueta passeggiata. Gim spingeva la carrozzella e chiacchieravano, paghi ognuno della compagnia dell’altro. Ogni tanto qualche automobile li superava rombando. Si erano già allontanati parecchio e si trovavano in una zona isolata. Ad un tratto, il paraplegico gridò: -Attento!- Aveva scorto un’auto che correva a velocità verso di loro. Sbandava paurosamente con un sibilo di pneumatici che stridevano sull’asfalto. Fu questione di un momento. Gim avvertì anche lui il pericolo e fece appena in tempo a spingere di lato la sedia a rotelle, prima di essere investito dal veicolo impazzito, che continuò la sua corsa. -Ah! Ah! Gim! Gim, rispondimi!- gridò Henry. L’amico giaceva a terra, senza sensi, piegato su se stesso. Un rivolo di sangue gli colava agli angoli del mento. -Oh povero me! Gim! Aiuto! Aiuto! Aiutatemi!- Henry gridava, ma non c’era nessuno. Aveva in tasca il telefonino e compose in fretta il numero del Pronto Intervento: -Fate presto! Fate presto! Mandate subito un’ambulanza alla Avenue….. Correte presto! C’è un ferito che perde sangue!- Spense il cellulare e, a questo punto, gli venne in mente Elena che era stata l’ultima persona che aveva visto: -Pronto Elena, è successa una cosa terribile! Hanno investito Gim! E’ a terra e perde sangue. Pronto, pronto Elena, pronto…-, ma era caduta la linea. Dall’altra parte della linea, l’interlocutrice era più terrorizzata di lui. -Pronto, pronto, pronto Henry dove sei? Per carità rispondi!- Pareva impazzita, lasciò tutto e corse fuori, ma non sapeva dove stava andando. Sul luogo dell’incidente, trascorse solo qualche minuto prima che arrivasse l’ambulanza Si udì la sirena che si avvicinava, ma l’attesa per Henry era stata interminabile. Gli infermieri li caricarono entrambi sull’ambulanza e via, a sirene spiegate. Il paraplegico intanto parlava e raccontava l’accaduto. Parlava, parlava e guardava Gim pallido come un morto. Poco dopo, questi cominciò a lamentarsi e l’infermiere, che l’aveva controllato e gli teneva il polso, disse laconico: -Ha delle costole rotte e qualche grave frattura, ma se la caverà.- Li portarono a sirene spiegate all’ospedale. Qui il ferito ricevette i primissimi soccorsi e fu messo sotto osservazione. Henry non lo abbandonò un secondo. Si allontanò per qualche minuto, solo dopo aver avuto l’assicurazione dei medici che l’amico non correva alcun pericolo di morte. Doveva telefonare ai familiari di Gim. Annunziare la terribile notizia a quei poveri signori sarebbe stata un’impresa difficile. Si fece coraggio e compose il numero. -Pronto, signora, sono Henry? E’ accaduta una cosa gravissima. Gim è stato investito da un’automobile, non è grave, ma i medici lo vogliono tenere sotto osservazione. Siamo al Pronto Soccorso dell’Ospedale……- Dall’altra parte, silenzio assoluto. -Pronto, signora mi sente? Gim è ferito, ma non è grave.- A questo punto, sentì rispondersi: -Stiamo arrivando.- E fu tolta la comunicazione. Conosceva bene la madre del suo amico. In quel momento era come tramortita. Poveretta! Questo perché Gim aveva voluto innanzi tutto salvare la vita di Henry. “La vita! Era proprio strana la vita! Ma bellissima. Un sentimento meraviglioso aveva spinto Gim ad agire così, spontaneamente. Non aveva pensato ad altro che a lui, a Henry. Non aveva pensato per niente a se stesso. Ma adesso doveva anche telefonare per tranquillizzare Elena.” Lo fece lasciando un messaggio a Don Carlo, alla pizzeria.
4
Dalla camera di rianimazione uscì, dopo mezz’ora, una bella ragazza in camice bianco. Era un’infermiera. Vedendo Henry annunziò subito: -La prognosi è riservata. Ciò che preoccupa i medici è una leggera lesione alla colonna vertebrale.- Il ragazzo sentì una fitta dolorosa al cuore; qualcosa di fisico che gli stringeva la gola e non lo faceva respirare. “La colonna vertebrale! Le gambe! Come lui, proprio come lui. Se la lesione fosse stata irreversibile, Gim sarebbe stato condannato anche lui su una sedia a rotelle! Lo stesso destino. Ed Henry conosceva troppo bene il significato di quel destino. Sentì che le lacrime lo stavano assalendo, ma non doveva piangere. Aveva già da tempo imparato a non piangere su se stesso. Adesso doveva sforzarsi, doveva vincersi e frenarsi. Non doveva piangere neppure per Gim. Ma era molto più difficile. Il suo amico era l’immagine della salute, della gioia di vivere! Aveva vent’anni ed era molto bello, con una carnagione eternamente abbronzata e dei capelli nerissimi, corti e sempre spettinati. Gim, che rideva sempre, che sapeva tenerlo allegro con le sue battute irresistibili. Gim, che gli voleva bene e glielo aveva sempre dimostrato. Adesso aveva persino rischiato la vita per lui. “Non piangere Henry! Non devi piangere. Lo devi fare per Gim” si diceva il ragazzo. Ma era un bel dire e un bel pensare: lacrime copiose gli scendevano per le guance mentre lui teneva la testa reclinata verso la sedia a rotelle. -Non pianga- gli fece una voce -il suo amico non morirà di certo, non è gravissimo.- Era l’infermiera di prima che cercava di fargli animo. Gli sorrideva incoraggiante e quel sorriso era dolcissimo, sincero. -Temo che possa aspettarlo la stessa mia sorte, vede- replicò Henry asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, -sarebbe terribile! Non è possibile! No, per Gim non è possibile.- -Ma che dice! Chi l’ha detto che potrebbe perdere l’uso delle gambe?- ribatté la ragazza -La lesione alla colonna è lievissima e al momento non si può dire nulla.- -Quando sono divenuto paraplegico, qualche anno fa, fu proprio a causa di una lesione alla colonna vertebrale.- Ricordando quei fatti, Henry era divenuto pallidissimo. -Mi dispiace molto, ma di certo il suo danno sarà stato devastante ed irreversibile, non sarà così per il suo amico.- -Dio lo voglia!- L’infermiera lo guardava. Erano castani o dorati quegli occhi? In ogni caso Henry li fissava incantato. Erano l’unica cosa che riuscisse a distoglierlo dalle sue preoccupazioni. E poi era sollecita, gentile e disponibile. Pure una gran bella ragazza. E doveva avere all’incirca la sua stessa età. Di lì a poco sopraggiunse Elena. Era stravolta, ma si tranquillizzò appena seppe che il ferito non correva pericolo di morte. Arrivarono i genitori di Gim. Pallidi e tremanti non chiesero nulla a nessuno, ma i loro occhi erano rivolti a Henry. Occhi sgranati, atterriti e in cui una sola domanda era presente: -E’ vivo?- Il ragazzo si fece loro incontro con la carrozzella. -E’ vivo, cosa credete? I medici lo tengono sotto osservazione perché ha una leggera lesione alla colonna vertebrale, ma non c’è nessun pericolo di morte.- Ebbe l’impressione di veder tornare un po’ di colore su quei due visi. Sì certo. La cosa importante era che fosse vivo. Ma lui aveva anche accennato al pericolo che correva Gim. Però ormai lo sapeva: era meglio su una sedia a rotelle che morto. Ma era proprio vero? I due signori lo subissarono di domande. Volevano sapere tutto: le ferite riportate, le fratture, se c’era trauma cranico, e infine, com’era successo. Henry non sapeva rispondere a quei particolari, se non in generale. Poi iniziò a narrare la successione degli eventi. Quando giunse a raccontare dell’auto e di come Gim avesse voluto salvarlo, i genitori ammutolirono nuovamente. Con la testa china, nascondevano le proprie lacrime: -Che ragazzo!- sbottò il padre -che ragazzo, questo mio figlio!- La madre adesso singhiozzava. -Non pianga signora, sa ,non dovrà mai farsi vedere piangere da Gim.- -Hai ragione Henry, ma adesso vorrei proprio vederlo.- Ritornò l’infermiera di prima. -Siete i genitori? Tra breve lo trasferiranno in ortopedia. L’elettroencefalogramma ha dato esito positivo, al cervello non ha nulla.- -E la colonna vertebrale? -fecero in coro i due signori. -Appunto, va in ortopedia per essere controllato.- Poco dopo infatti, su di una lettiga spinta da un altro infermiere, apparve Gim. Era irriconoscibile, col viso tumefatto e i capelli tutti insanguinati. Appena però si accorse della presenza dei suoi genitori, si affrettò a salutarli facendo un tremendo sforzo: -Ciao papà, ciao mamma.- Quest’ultima fece: -Gim!- E cercò di sorridere. Via di corsa. L’infermiere lo spinse verso l’ascensore dicendo: -Eroe, stiamo andando al reparto dei fratturati, ringrazia che non dobbiamo andare in rianimazione.- “Se dovevamo andare lì, non me lo dicevi. Io non ti avrei sentito”. Pensò il ragazzo. Arrivarono al reparto e si sentivano dei gemiti sommessi. Adesso Gim cominciava ad addormentarsi. Stava benissimo quando dormiva. Era solo quando riprendeva coscienza che soffriva e avvertiva dei tremendi dolori ovunque. Ma perché si erano affannati a tenerlo sveglio? Voleva dormire, e non pensare, non sapere. Anzi quando era successo, si era sentito improvvisamente come trasportato fuori da se stesso e stava meravigliosamente. Tutto era come lontanissimo e si affannavano attorno a lui senza sapere che stava bene e che avrebbe preferito lo lasciassero in pace. Erano arrivati il padre, la madre ed Henry, ma Gim dormiva. Dopo un po’ si udirono delle urla altissime e il ferito aprì gli occhi. Il padre se n’accorse e s’avvicinò. -Papà non preoccuparti! Me la caverò. Tuo figlio è coriaceo.- Ma una fitta di dolore lo attanagliò al torace e lo fece tossire mentre stringeva gli occhi. -Stai zitto figlio, non parlare.- Prima di chiudere di nuovo gli occhi, il ragazzo si era accorto che il padre piangeva. Quel papà sempre scherzoso, che non piangeva mai, adesso pareva una fontana. “E perché? Cosa aveva saputo? Di certo lui le gambe non le sentiva più. Anzi le sentiva, ma non riusciva a muoverle. E poi che dolori al petto! E alla schiena e alla fronte! Eroe, lo avevano chiamato eroe, ma perché? Ah! Sì, ora ricordava: aveva voluto spingere di lato la carrozzella di Henry e non aveva più guardato la macchina che arrivava. Accidenti a quella macchina! Correva che pareva un razzo! Ma chi c’era là in fondo? Guarda un po’, era Elena! Cara Elena! Era venuta. Forse aveva saputo in qualche modo dell’accaduto. Però che dolore, porca miseria, che dolore!” Ma Henry stava benissimo, e questo lo faceva sentire importante. Il dolore stava aumentando. Più tornava la coscienza e più aumentava il dolore. “Ma perché non lo avevano lasciato in santa pace! No, invece tutti attorno a svegliarlo. E adesso i dolori li sentiva lui. Tra poco sarebbero divenuti insopportabili, anzi già lo erano”. Cominciò a lamentarsi. Capiva poco, sapeva solo che quel dolore generale era tremendo. Sentiva un bruciore in tutto il corpo. Era come se avesse fuoco in testa. Voleva trattenere i gemiti, ma quelli uscivano da soli. La madre gli fu accanto: - Gim, tesoro adesso chiamo l’infermiera.- Sopraggiunse la solita infermiera con un sedativo. Gli praticò un’iniezione e il ragazzo si tranquillizzò e s’addormentò. Furono effettuati su Gim tutti i controlli del caso e risultò che aveva entrambi i femori rotti, una clavicola e due costole fratturate e la famosa lesione alla colonna vertebrale. Di quest’ultima però, non si poteva ancora stimare l’entità e la gravità. Per giunta era meglio non farne cenno al ferito. Non ci fu giorno che Henry non gli fosse accanto. Anche quando lo operarono per ridurre le fratture, non lo lasciò mai. Sempre fuori della sala operatoria in attesa. Anche Elena si dimostrò un’amica affezionata e tornò molto spesso. Le operazioni andarono tutte benissimo. Però aveva sempre dei fortissimi dolori alla schiena. I medici gli dicevano che ancora non poteva muoversi per via delle costole rotte. Un giorno l’ammalato chiese a bruciapelo: - Henry cosa ho alla schiena?- La carrozzella era vicinissima al letto di Gim. -Hai le costole a pezzi e devi stare immobile affinché si rinsaldino.- Però la voce di Henry tradiva la bugia. -Perché allora mio padre e mia madre sono sempre tristi, in fondo sta andando tutto bene.- -Ma perché non è certo bello quello che ti è successo, che domande!- -Henry, tu non hai mai saputo mentirmi, anche questa volta ci riesci male, dai, dimmi la verità, cosa ho alla colonna vertebrale?- Com’è la vita? Bella o brutta? In questi casi è orribile. Ad un amico non si può dire: -Guarda che forse resterai anche tu su una sedia a rotelle!- -Gim non domandarlo a me, chiedilo ai dottori.- -Ho capito, ho qualcosa di brutto alla schiena.- Henry taceva. -Anzi, ho qualcosa alla colonna vertebrale.- L’amico continuava a tacere con la testa bassa. -No! - urlò Gim - non è possibile! No, no, no!- Accorse la solita infermiera. -Cosa è successo? Gim che hai?- e guardò l’altro, aspettando una risposta. -Dice di avere qualcosa alla colonna vertebrale.- Henry era pallidissimo e stringeva con le mani i braccioli della carrozzella. -Hai ragione Gim, i dottori hanno riscontrato una leggera lesione alla colonna vertebrale.- Emily, questo era il nome della ragazza, era seria e un po’ triste, ma non guardava il ferito con compassione. Questi cercò di sollevarsi dal letto e gridò: - Anche io, vero? Anche io resterò su una sedia a rotelle?- -No, non è detto, la lesione non è grave. - Emily sorrideva. Adesso erano rimasti soli e l’ammalato le aveva afferrato la mano. -Stai mentendo, vuoi illudermi!- -No, e perché? Per prenderti in giro? E’ vero, i medici dicono che non è grave, ma che bisogna attendere il decorso generale dello stato di salute ed il decorso della lesione. Solo allora si potrà dare un responso ufficiale.- Il ragazzo voleva crederle, doveva crederle. Ora sorrideva. Con quei suoi denti perfetti e bianchissimi, Gim era proprio bello. Ma chissà perché, Emily preferiva Henry. Sarà stata forse compassione o senso materno di protezione, ma l’infermiera provava una fortissima attrazione per il paraplegico e le sue simpatie erano rivolte a lui. Henry se n’era accorto. Si sentiva lusingato per questo. D’altra parte, come si faceva a restare indifferenti a una così bella ragazza? Qualche istante dopo, ricomparve accompagnato da Elena. -Allora eroe, ti sei tranquillizzato?- -Sì, Emily è riuscita a tranquillizzarmi.- L’ammalato la guardava con occhi adoranti. Questa era una novità. Fino a quel momento, Gim l’aveva osservata solo con molta ammirazione. La ragazza gli si avvicinò: -Hai visto Henry? Adesso è sereno, ha capito che deve aspettare e pazientare.- Gli occhi di Gim esprimevano gelosia. “Ma che strana faccenda! Il suo amico si stava innamorando di Emily. E lui? Lui non era già forse invaghito di quella ragazza dagli occhi verdi e dolcissimi? Una ragazza come poche, disponibile, che considerava il suo operato come una missione. Per quella ragazza ci voleva un uomo sano e robusto. Ci voleva un tipo come Gim, amante della vita, solare, bello.” Nel frattempo, Elena aveva osservato tutta quella scena con grande curiosità e aveva intuito tutto. Dopo aver scambiato qualche chiacchiera con l’ammalato, aveva salutato e se ne era andata. All’improvviso l’infermiera aveva detto: -Henry mi offri un caffè?- “Come rifiutare?” -Si, certo! Gim torniamo subito- e gli occhi di quello erano ancora colmi di gelosia. Si recarono al bar dell’ospedale e consumarono due caffè. Emily adesso aveva l’atteggiamento di una ragazza che vuole farsi corteggiare perché prova simpatia e attrazione per chi l’accompagna. Ma come faceva a provare attrazione per un paraplegico come lui? Le strade del cuore sono proprio strane! Non si rendeva conto di quanto fosse bello, con il suo mezzo busto aitante, il suo viso mascolino molto attraente, con le fossette sulle guance che si accentuavano quando sorrideva. Henry sarebbe piaciuto a qualsiasi ragazza, se solo fosse stato sano e normale. -Sai- fece l’infermiera -mi piacerebbe qualche volta uscire con te, prendere il posto di Gim e accompagnarti in giro per la città? Ti piacerebbe?- “Caspita se gli sarebbe piaciuto!” -Sì certo, mi piacerebbe, ma questo vorrebbe dire sostituirti al mio amico.- -Che c’entra! Lui resterebbe sempre l’amico che ti accompagna quando può.- -Guarda che Gim poteva sempre.- -Ho capito, niente da fare! Preferisci la compagnia di Gim alla mia.- -Ma che dici, sarei un vero scemo o altro….., se così fosse!- -Allora quando usciamo?- -Per ora verrò qui ogni giorno; quando si saprà qualcosa di sicuro, allora decideremo.- -D’accordo, intesi, sono proprio contenta.- E’ strana la vita, è proprio strana! Quella ragazza così bella era contenta di uscire con un paraplegico! Tornarono dall’ammalato e lo trovarono un po’ imbronciato, ma sollevato di rivederli. -Henry sai che mi sento meglio? Mi sento più forte, sarà la continua vicinanza di Emily!- Sorrideva scherzoso. In quel che diceva però, si intuiva l’esatta realtà. -Questa sì che è una bella notizia!- fece l’amico -Vedrai che tra poco ti sentirai in grado di camminare.-
Quella sera, alla pizzeria, videro entrare la carrozzella. Elena gli andò subito incontro: -Ciao amico dell’eroe! Che notizie ci sono?- -Quando l’ho lasciato diceva che si sentiva molto più in forze.- Lo fece sedere ad un tavolo e restò con lui. Aveva capito che il ragazzo aveva bisogno di confidarsi. -Certo che hai fatto proprio una bella conquista!- -Ma lasciami stare, a me pare che Gim si stia innamorando di Emily.- -E allora? Guarda che queste cose succedono. Tu che puoi farci? Lascia che sia lei a decidere.- - No. Assolutamente no. Io sono un paraplegico. Per me si può avere solo commiserazione.- -Ma che dici! Scusa, ti sei mai guardato allo specchio? Tu sei un bel ragazzo e quelle che non puoi muovere sono solo le gambe, credo.- Elena aveva un fare malizioso e ammiccante. -Sì, è vero, sono un uomo normale per il resto, ma nessuno può sacrificare la propria esistenza per me, e poi io non lo permetterei.- -Henry, sei in errore, moltissime donne fanno ben altro per amore. Secondo me, in questo caso non dovresti essere altruista, e dovresti invece lasciare che le cose vadano come devono andare.- Per tutta la serata, Elena cercò con varie argomentazioni, di convincerlo, ma il ragazzo sembrò sempre irremovibile e fermo nei suoi convincimenti.
L’indomani era puntualmente con Gim. -Come va? Come ti senti oggi?- -Sempre meglio, davvero, sempre meglio. Spero che i medici presto si pronuncino in senso positivo.- -Succederà, vedrai che presto succederà.- Henry esprimeva tutta la sua solidarietà. Arrivò Emily. Quando c’era il paraplegico, la ragazza pareva materializzarsi all’improvviso. Ma anche questo dava un po’ fastidio a Gim. Che brutta cosa la gelosia! Uccide i sentimenti più nobili! -Ragazzi, una bella notizia! Oggi rifaranno la radiografia alla colonna vertebrale e, se la lesione si è saldata perfettamente, controlleranno tutto il resto. Insomma, le cose si stanno mettendo proprio bene!- Il viso dell’ammalato espresse una gioia grandissima. -Vieni Henry, oggi te l’offro io il caffè.- In pochi attimi invece, lo stesso viso si era rabbuiato. “Porca miseria! Ma com’era possibile tutto ciò?” -Senti Emily, oggi non mi va di prenderlo, scusa sai, fai conto che lo abbia accettato.- Arrivarono gli infermieri per trasportare l’ammalato in radiologia. Emily dovette seguirli ed Henry restò solo a rimuginar: “Sì, era così, il suo amico si era innamorato di quella bella ragazza”. Trascorse circa un’ora. Quindi ritornarono tutti. Gim era radioso: la lesione, dopo tanti giorni d’immobilità, si era perfettamente rinsaldata, e questo anche grazie alla sua giovane età. -Adesso rifaranno di nuovo tutti i controlli-, disse Emily -ma le aspettative sono delle più incoraggianti.- Oh! Finalmente! L’incubo stava per finire. Henry voleva andare via, sentiva il bisogno di restare solo. Tra l’altro voleva lasciare soli quei due. -Dai Henry, ora dobbiamo proprio andare a festeggiare- ed Emily era invitante e affettuosa. Come dirle di no? Ma tutta la gioia era scomparsa dal volto di Gim. -Va bene, un caffè e poi vado via. Gim sono proprio contento. Tornerò più tardi.- L’amico non rispose. Chissà, forse avrebbe voluto dirgli: - Per me puoi anche non tornare.- Quel caffè, infatti, gli andò di traverso. Salutò la ragazza che lo guardava stranita e se n’andò. Ritornò dopo ventiquattro ore. Avevano già fatto tutti i controlli e la notizia era strepitosa: non c’era nessun altro danno; di lì a pochi giorni, il degente avrebbe potuto iniziare la fisioterapia per la rieducazione degli arti inferiori. Abbracciò l’amico che era ritornato sereno e sorridente. A questo punto, si sentì abbracciare da Emily: - Hai visto Henry? Tutto a posto! Ve l’avevo detto io!- Il viso di Gim era tornato buio. Da quel momento in poi il suo stato d’animo sarebbe dipeso dalle azioni e dal comportamento della ragazza. Henry restò con loro tutto il giorno, ma aveva preso la sua decisione: non sarebbe più tornato in ospedale. Verso sera abbracciò l’amico fortemente. Quella, sarebbe stata l’ultima che lo vedeva, ma Gim non lo sapeva. -Ciao Henry ci vediamo domani.- -Sì certo,- mentì. Diede la mano ad Emily. Non l’avrebbe più rivista. La ragazza avvertì qualcosa di strano in quel saluto, ma non disse niente. “Nei giorni successivi, lo avrebbero cercato, lo avrebbero subissato di telefonate, ma non lo avrebbero mai trovato. Alla fine si sarebbero stancati, e chissà, forse avrebbero anche capito!” Pensò ad Elena: “ Avrebbe detto che era un pazzo e che stava sbagliando tutto, ma lui voleva ascoltare solo la sua mente e il suo cuore”. Fu fuori all’aria aperta, con la sua carrozzella, solo. D’ora in poi sarebbe stato sempre solo, senza Gim. Portava avanti la sedia a rotelle con la morte nel cuore. Non si era mai sentito così disperato. Aveva tanto sofferto per la sua condizione, ma la vicinanza dell’amico era stato sempre il miglior toccasana. All’improvviso, si accorse di avere di fronte la baia dell’Hudson, lungo la quale, come due sentinelle sempre all’erta, si stagliavano le Twins Towers. “No, non era solo! C’era il mare! Ci sarebbe stato sempre il mare! Il suo mare, il mare di New York!” 5
Elena aveva ricevuto una telefonata di Olga che le comunicava d’essere stata sul punto di morire per un attacco di ischemia cerebrale. -Sarà stata l’età o forse la pressione alta che non ho mai ben curato,- aveva detto. -Ma adesso come stai, Olga?- -Sono a letto all’ospedale, ma sto meglio. Ho una paralisi al lato destro, ma i dottori hanno assicurato che potrò riabilitare tutti i movimenti con lo sforzo e la buana volontà.- -Oh! Accidenti! Mi dispiace! Non sai quanto mi dispiace!- -Che fai Elena, piangi? No cara! Non piangere piccola, la tua amica ce la farà, vedrai!- -Tu sai quanto bene ti voglio, vero Olga?- -Lo so, per questo ti ho subito telefonato, appena ho potuto .- -Ma qual è l’ospedale? Ti vengo immediatamente a trovare.- Glielo comunicò ed Elena si apprestò a raggiungerla. Riferì prima l’accaduto a Don Carlo, e questi: -Beh ragazza, coraggio. In questo periodo stai perlustrando gli ospedali di New York! Auguri per la tua amica.- Era vero, pensava, mentre guidava l’auto, in quel periodo non aveva fatto altro che andare in ospedale. Mah! L’importante era che Olga stesse veramente meglio e si potesse riprendere bene. Mai, come in quel momento, Elena si era accorta di quanto fosse affezionata all’anziana signora. Rimuginava che bisogna essere sul punto di perderla una persona, per rendersi conto di quanto l’amiamo. Olga l’aveva sempre trattata come una figlia, la figlia che non aveva mai avuto. Nel frattempo, era arrivata. Chiese informazioni e raggiunse la stanza della degente. -Elena! Sei già qui? Vedi, sto meglio, il pericolo è passato! Mi dispiace averti spaventata!- Ma il suo aspetto non era per niente incoraggiante. Aveva il lato destro del volto contratto e piegato lateralmente. Infatti parlava con le labbra stirate e la bocca contorta. -Olga! Ma com’è successo? Perché? Quando ti sei sentita male?- Elena era sconvolta nel vederla così. Non riusciva a controllarsi e piangeva. -Sei venuta per darmi conforto o per farmi abbattere di più, sciocca italiana?- -Sì, hai ragione, devo controllarmi. Ma quando è successo?- -Dieci giorni fa, mi sono sentita male, mi cadevano gli oggetti dalle mani e mi sentivo mancare; ho fatto appena in tempo a chiamare il pronto soccorso e ad aprire la porta, poi non ricordo altro. Quando mi sono riavuta, ero già qui in ospedale.- Teneva, fuori delle lenzuola, solo il braccio sinistro e lo muoveva appena. Il lato destro del corpo, invece, risultava assolutamente inerte. Elena però non piangeva più, era riuscita a dominarsi e adesso cercava d’incoraggiare l’amica. -E i medici cosa hanno detto? Qual è stata la diagnosi esatta? Ti riprenderai presto, vero?- -Beh sì, speriamo, loro dicono di sì, ma credo che l’affermino soprattutto per non farmi deprimere. Si è trattato di ictus cerebrale e a quanto pare, con i farmaci sono riusciti a salvarmi.- Adesso Olga appariva proprio depressa e stanca. Aveva i lineamenti ancora più alterati e profonde occhiaie sotto gli occhi. Era pallidissima e chiudeva gli occhi. -Dai su Olga, certo che ti riprenderai! Se lo dicono i dottori, sarà così, devi crederlo!- -Già devo crederlo, voglio crederlo.- E intanto teneva gli occhi chiusi. -Ora cerca di riposare. Ti sei affaticata abbastanza.- Ma l’amica già dormiva, in preda ad un torpore indotto dai sedativi che le somministravano. Elena chiese a un’infermiera e questa confermò tutto quanto già sapeva. Disse che sarebbe tornata e andò via. In auto, mentre guidava, si sentiva molto scoraggiata e abbattuta. Come avrebbe fatto adesso Olga? Da sola! Senza nessuno che potesse aiutarla! Calde lacrime le coprivano il volto e le appannavano la vista. Doveva aiutarla. Tornò alla pizzeria e pensò di telefonare a Mike. Anche lui sarebbe stato sconvolto e avrebbe aiutato l’ammalata. -Pronto Mike, sono Elena, purtroppo devo darti una brutta notizia. Olga ha avuto un ictus e si trova all’ospedale. E’ fuori pericolo, ma ha il lato destro paralizzato.- -Dove ti trovi, Elena?- -Qui alla pizzeria.- -E qual è l’ospedale?- -Mike, quando l’ho lasciata, dormiva, è inutile che tu vada.- -Voglio vederla.- Avendo saputo il nome del nosocomio, il giudice ringraziò e la salutò con dolcezza. Un’ora circa dopo, Elena lo vide comparire. Aveva l’espressione turbata e lo sguardo afflitto. -Dormiva vero? Come ti è sembrata? Ti hanno detto qualcosa?- -Sì dormiva, ma ha il volto contorto e s’intuisce benissimo la paralisi. Non posso crederci! Stava così bene! Quella donna significa tanto per me.- -Smettila, Mike, non farmi piangere anche tu!- Il bel viso era rigato di lacrime, ma era un pianto silenzioso, composto. -Scusami, hai ragione, dobbiamo farci coraggio e soprattutto dobbiamo pensare a come aiutarla.- -Sì appunto, anch’io lo pensavo, avrà bisogno di qualcuno che le stia vicino tutto il giorno.- -A questo penserò io. Tramite il palazzo di giustizia, riuscirò a trovare qualcuno che possa assisterla ventiquattro ore su ventiquattro. Però dovrà essere stimolata e incoraggiata a fare la rieducazione motoria.- -Questo lo farò io, non temere. Andrò spesso a trovarla e le farò il lavaggio del cervello. Con un bravo fisioterapista, potrà recuperare tutti i movimenti.- -Ci vuole molta forza di volontà e spirito di sopportazione per portare avanti una buona rieducazione.- -Tornerà come prima, vedrai Mike che ce la farà!- L’indomani Elena era al capezzale di Olga. La trovò sveglia e un’infermiera le stava facendo fare la colazione. Accennò un vago cenno con la mano sinistra. -Olga, stai mangiando. Brava! Fai con comodo, io entro dopo.- -No no Elena, sto terminando, puoi restare.- -Va bene, allora mi siedo.- Poco dopo, restarono sole. -Sai cara, ho da dirti una cosa importante e ti devo rivelare un piccolo segreto.- -Dimmi pure.- -Nel mio quartiere abita da sempre una ragazza di nome Sara. Anche lei è di origine italiana. Quand’era piccolissima, non è mai voluta andare a scuola e io le ho insegnato tutto. Per me è come una figlia, un po’ come te. Adolescente, perse entrambi i genitori e seppi che viveva prostituendosi. Quando le parlai, disse che guadagnava bene e non voleva fare la cameriera. Allora le feci conoscere un bravo giovane che lavorava come operaio, cui non importò del suo passato. S’innamorarono e si sposarono. Hanno avuto un bellissimo bambino. Ora, da qualche tempo, ho saputo che lui ha un’altra e ha lasciato la famiglia.- Appariva stanca, come se il lungo discorso l’avesse spossata. -Ho capito, desideri che la informi di ciò che ti è successo.- -No Elena, desidero che ti occupi di capire come vive e cosa fa.- -Okay Olga, lo farò, però adesso riposa. Dimmi solo l’indirizzo ed il suo cognome.- Seppe entrambe le cose e andò via. Come se non fossero bastate le preoccupazioni! Ora le toccava pure pensare alla ex prostituta. L’avrebbe fatto però. Avrebbe fatto tutto ciò che Olga le chiedeva. Si recò all’indirizzo indicatole. Si trovava in un caseggiato dello stesso quartiere dell’amica. Bussò, ma nessuno venne ad aprire. Dopo un po’, un visetto apparve dietro la porta d’ingresso. Era un bimbetto di circa sei anni; gli occhioni immensi e spauriti, i capelli biondi e riccioluti erano tutti arruffati. La guardava a bocca aperta e non diceva nulla. -Ciao piccolo! Io sono una amica di Olga. Non c’è la tua mamma?- -No, è uscita. Non c’è.- -Ho capito, lo sai quando torna?- -No, non lo so.- -Va bene, non preoccuparti. Ripasserò.- Tornò alla pizzeria e vi trovò Giacomo che stava sbellicandosi dalle risa, mentre parlava con Don Carlo. -Che c’è da ridere tanto. Hai saputo che Olga ha avuto un ictus?- Il fratello tornò improvvisamente serio. -Sì Elena, l’ho saputo. Mi spiace. Come sta?- -E’ fuori pericolo, ma è malandata, ha bisogno di aiuto e conforto. Ma voi perché stavate ridendo?- -Giacomo ha fatto uno dei suoi soliti scherzi. Questo mi sembra proprio esilarante.- -Sentiamo, cosa hai combinato fratellone?- -Da qualche tempo, ho conosciuto un tipo borioso che si vanta di essere un attento conoscitore di oggetti d’antiquariato. Ha una moglie belloccia, ma un po’ stordita. Credo che ogni domenica, i due si rechino da qualche antiquario alla ricerca di pezzi antichi e rari. Domenica scorsa, hanno avuto la ventura d’incontrare me.- -Poveri loro!- fece Elena sull’avviso. -Li ho incontrati proprio da un antiquario dove avevo visti esposti degli oggetti tipicamente italiani. I due erano alle prese col rivenditore per un orologio d’oro, antico. Il marito m’informò, sommessamente, che stava cercando di fare un affarone! Faceva finta di sottovalutare l’oggetto, ma si capiva che ne era molto interessato. Alla fine, si misero d’accordo per un prezzo, a mio parere, esagerato. Comunque lui, Jak, non finiva più di autocelebrarsi, di dire quale grosso affare avesse fatto! Mi congratulai e ci separammo, ma tutta la faccenda mi aveva solleticato troppo- -Sono sicura- intervenne Elena -che ti sei beffato di loro. Giacomo, Giacomo, ma non cambierai mai?- -Jak credeva di aver comprato un capolavoro. Invece, secondo me, aveva acquistato una schifezza. La moglie poi, sembrava al settimo cielo, come se avessero fatto l’affare del secolo!- -E a te cosa interessava, scusa?- -Bisognava in qualche modo sottrarre a Jak l’orologio, facendoglielo poi naturalmente riavere.- -L’hai fatto? Giacomo non dirmi che l’hai fatto!- -Avevo bisogno della complicità di qualcuno. Chiesi al figlio di Don Carlo di andare a casa dei due, quando lui non c’era, e di farsi dare l’orologio dalla moglie, spacciandosi per un dipendente del marito. Io le avrei telefonato imitando la voce di Jak e avrei confermato tutto. Quella donna è proprio svanita, avrebbe bevuto tutta la faccenda.- -Sei tremendo, sei peggio di un ciclone!- Elena era esasperata. -Comunque, per rendere la cosa più plausibile, le feci anche credere che il consorte voleva fare valutare l’orologio da un loro amico antiquario. In poche parole, eccolo qua!- Così dicendo, Giacomo aveva estratto dalla tasca un oggetto d’oro, di stile antico. Il famoso orologio aveva la cassa e le lancette grandi. Era di dubbio gusto e molto vistoso. -Ma è proprio brutto!- esclamò la sorella -Hai ragione è una schifezza, ma non dovevi sottrarglielo. Ora che farai?- -Ho già telefonato per restituirglielo, ma quando ho spiegato lo scherzo, ha chiuso il telefono. Comunque andrò subito a riportarglielo.- Ridacchiava e uscì dal locale mentre Elena scuoteva la testa rassegnata. Si rivolse a Don Carlo: -Una volta o l’altra, mio fratello passerà qualche guaio per questa sua mania continua di fare scherzi alla gente.- -Però è un tipo spassoso. Lascialo stare! Cosa vuoi che gli succeda!- Cominciò ad informarlo su ciò che riguardava la protetta di Olga. -Ti mancava pure questa! Ad ogni modo, potresti proporle di venire a lavorare qua.- -Grazie Don Carlo, era quello che volevo chiederle.-
Quella sera stessa., tornò nel quartiere ove era già stata, bussò in attesa di veder comparire la testolina bionda. Invece aprì una giovane donna dai capelli rossi. -Ciao, sei Sara? Io sono Elena, un’amica di Olga. Posso entrare?- -Salve! Un’amica di Olga? Come mai non ha telefonato?- -Purtroppo ha avuto un ictus cerebrale e si trova in ospedale. Ha mandato me ad avvisarti.- La donna apparve affranta e interdetta, poi senza parlare, fece cenno ad Elena di entrare. La guidò in un appartamento molto modesto e tutto in disordine. -Ma quando è successo? Come sta adesso?- -Sta meglio per fortuna. E’ fuori pericolo. Io l’ho saputo soltanto due giorni fa. Ha una emiparesi, ma i medici assicurano che si riprenderà. Tuo figlio è un bambino bellissimo. Come si chiama?- -Mi chiamo George- fece una vocina -e tu sei Elena. Ho visto una tua fotografia. L’aveva Olga. Perché è all’ospedale?- -E’ stata male, ma la rivedrai presto. Le vuoi bene George?- -Oh sì, mi porta i cioccolatini e mi fa giocare.- Era un bimbo paffutello e con gli occhi blu. I suoi lineamenti erano armoniosi e delicati. -Quanti anni hai? Vai a scuola?- -Ho sei anni e vado in una scuola qui vicino, sono molto bravo.- -George vai a giocare- intervenne la madre. -Ciao Elena, saluta Olga e dille che l’aspetto.- -Okay George, ci vediamo, ciao.- La madre era una donna di provocante bellezza. I suoi capelli rossi brillavano, le labbra erano vermiglie, gli occhi azzurri, sfavillanti e vivaci. Non erano però quel genere di occhi che si accompagnano ad un’anima mite e modesta. Sembrava una di quelle ragazze la cui presenza consiglia a stare in guardia. -So che sei rimasta sola poiché tuo marito se n’è andato da casa,- fece Elena - ti passa gli alimenti o hai trovato lavoro?- -Mi da una miseria quel vigliacco! Sto cercando di lavorare, ma sinora non ho trovato nulla.- -Potresti venire a lavorare da noi alla pizzeria. Dovresti servire ai tavoli. La paga non è eccezionale, ma ti consentirà di tirare avanti.- -Grazie! Va bene. Dove si trova il locale? Domani verrò e lascerò George tutto il giorno a scuola.- Si misero d’accordo e, andando via, Elena sentiva di aver aggiunto un tassello ai guai della sua vita. Appena rientrata a casa, andò con la mente a Mike. Chissà se conosceva Sara. Lui di Olga sapeva tutto, ma non le aveva mai parlato di quest’altra protetta. Lo chiamò al telefono. -Ciao Mike. Come va? Oggi ho visto la nostra ammalata e sta sempre meglio.- -Elena! Ciao! No, oggi non sono potuto andare in ospedale, ho avuto troppi impegni in tribunale. Però le ho telefonato e sono aggiornato sul suo stato di salute.- La voce del giudice diveniva sommessa quando parlava con lei. -Mike, tu conoscevi Sara? Me ne ha parlato Olga. Sono andata a trovarla per avvisarla di quanto è accaduto e per cercare di aiutarla.- -Aiutarla? Perché, cosa le è successo?- -Il marito l’ha lasciata. Allora tu la conoscevi.- -Da sempre. Per Olga è stata una specie di figlia, un caso da redimere. C’era riuscita; però ora se il marito l’ha piantata, non lo si può biasimare. Sara non è mai stata una santa.- -Pare che lui abbia un’altra. Io le ho offerto di venire a lavorare alla pizzeria. Ha accettato perché stava appunto cercando un impiego.- -Sei generosa Elena, però dovrai stare attenta con un tipetto come Sara. Sei stanca? Ti va di cenare con me? -Sono stanca e non mi va di uscire, però se vieni qua, mangeremo insieme. Ti aspetto Mike.- -Okay, sto arrivando.- Prima di mettersi ai fornelli, Elena diede una rapida scorsa alla posta e la sua attenzione fu attratta da una busta che recava l’intestazione di una casa editrice. L’aprì velocemente e stentò a credere ai suoi occhi! Lesse che lo scritto che aveva inviato tempo addietro, era stato considerato il migliore e che aveva vinto il concorso bandito da quegli editori. Rimase con la lettera tra le mani e non si mosse più per qualche istante. Dava l’impressione di essere divenuta una statua di sale. Non aveva più pensato a quelle dieci pagine scritte al computer e che aveva inviato senza alcuna velleità. Il concorso! Le mandavano a dire che aveva vinto, che volevano contattarla per consegnarle il premio e per conoscerla. Si riscosse e sentì il cuore in festa. Cominciò a muoversi confusamente e non sapeva più bene cosa dovesse fare. Ah sì, doveva preparare la cena. Era ancora in quello stato confusionale, quando arrivò il giudice. -Mike! Mike! Sapessi cosa è successo!- -A guardarti, si direbbe sicuramente qualcosa di bello. Ma, dolcezza, al telefono non mi hai detto nulla.- -Mi ha scritto la casa editrice!- -Quale casa editrice, scusa Elena?- -Ah già, non te l’ho mai detto. Molto tempo fa, ho partecipato ad un concorso per giovani scrittori e ho inviato la storia della mia vita. Adesso, mi hanno mandato a dire che ho vinto e che mi vogliono conoscere!- -Ah, ah, ah, Elena! Da te c’è d’aspettarsi di tutto! Brava, complimenti!- Lei era eccitata e continuava ad andare avanti e indietro. -La novità mi fa provare come un tremito interno, sai? Non sono ancora riuscita a cucinare.- -Di solito, o si è bravi scrittori, oppure si è validi cuochi. Non preoccuparti dolcezza, mangeremo quello che c’è.- Quella sera, per due volte, lui l’aveva chiamata dolcezza, e ciò le procurava un insolito languore. Per di più, mentre gli volgeva le spalle, intenta ad arrostire la carne, Mike si erano avvicinato e adesso il suo viso le sfiorava un orecchio. -L’odorino è buono! Ma il tuo profumo è anche migliore.- -Mike smettila di corteggiarmi!- però avrebbe voluto dire l’esatto contrario. -Lo sai che non ci riuscirò mai, vero Elena?- Ma già si era allontanato. Finalmente si sedettero a tavola. -Che impressione ti ha fatto Sara? Ne conosci tutta la storia?- -Sì Olga me l’ha raccontata. E’ una gran bella ragazza, però forse un po’ troppo provocante. In ogni modo sto cercando di aiutarla. Ha un bambino meraviglioso.- -Quelle rare volte che l’ho vista, mi ha dato l’impressione di qualcuno che voglia atteggiarsi a diva dello schermo. Poi, se hai notato, spesso la sua voce acquista note stridule e acute. Comunque sembrava che la nostra Olga fosse riuscita a metterla sulla buona strada e il matrimonio pareva ben riuscito. Tu farai bene a stare attenta con quel tipo per il locale.- -Voi uomini siete oltremodo critici nei confronti di certe povere donne. Tendi ad esagerare signor giudice!- Mike le afferrò la mano: -Non esagero dolcezza e te n’accorgerai.- E tre! Nel passato, l’aveva già chiamata in quel modo, ma non così ripetutamente. Adesso avrebbe dovuto ritirare la mano, ma non ne aveva voglia. La sua stretta era calda e confortevole. -Sai Elena, sono stato invitato al matrimonio di un mio collega magistrato. Alla cerimonia saranno quasi tutti in coppia, io no. Verresti con me? Ti presenterò come la mia fidanzata.- -Cosa! Mike, ma che dici! Noi non siamo fidanzati.- -Ma potremmo esserlo- In quel momento, lo sguardo del giudice era intenso e fisso su di lei. I suoi occhi da arabo esprimevano speranza, fiducia, sentimenti profondi. -Potremmo esserlo, ma non lo siamo. Per ora, siamo solo due grandi amici.- Perché non riusciva a decidersi? Si sarebbe data pugni in testa! Forse aveva troppa fiducia in lui e nel suo affetto. -Ti presenterò come la mia migliore amica. Verrai Elena?- -Va bene. Quando e a che ora sarà? Dovrò comprarmi qualcosa di conveniente da indossare.- -Sarà domani l’altro, alle undici del mattino. Penso che si tratterà di un ricevimento elegante. Sarai la donna più affascinante.- L’indomani, di buon’ora, Elena era già alla pizzeria, in attesa di Sara. Avvisò Don Carlo e questi si dichiarò contento di conoscere la nuova assunta che sopraggiunse molto tardi e abbigliata in modo eccentrico e vistoso: un abito attillatissimo, di raso colore verde marcio. L’ampia scollatura mostrava dei seni floridi e le gambe slanciate erano abbondantemente scoperte. -Ciao Elena, scusa il ritardo, ma ho dovuto pensare a George. E’ grande questo locale! Chi è il proprietario?- -Vieni Sara, ti presento Don Carlo. Sì, la pizzeria è grande e si lavora molto.- Don Carlo era rimasto un po’ interdetto. Non si aspettava di vedere una ragazza così appariscente. Si raddrizzò con mossa energica, tentando di dissimulare l’impressione strana che avvertiva. -Piacere, benvenuta tra noi. Qui si fa spazio a chiunque abbia seriamente voglia di lavorare.- Nel frattempo, era sopraggiunto Giacomo. Alla vista della nuova arrivata, era rimasto fra l’incredulo e l’inebetito. -Ti presento Giacomo, mio fratello. Lei è Sara. Verrà a lavorare qui da noi e servirà ai tavoli. Lui invece lavora in cucina.- “Eccoli i guai!” Pensava Elena. Lo sguardo del fratello dava chiaramente ad intendere di essere stato folgorato da quella donna procace e provocante. Per giunta, lei se n’era accorta, e diceva ammiccante: - Giacomo! Sei Italiano! Io adoro gli Italiani!- Le ritornarono in mente le parole di Mike. Possibile che avesse sempre ragione? Moltissimi impegni l’attendevano. Non ultimo l’impegno con la casa editrice. -Sapete! Ho vinto un concorso per giovani scrittori! Dovrò andare alla casa editrice poiché vogliono conoscermi.- Il silenzio che seguì rivelò la sorpresa. Poi Don Carlo: -Scrittori, concorso, ma di che vai parlando Elena?- Dovette spiegare e raccontare ciò in cui si era cimentata. -Evviva! Ho una sorella scrittrice! Modestamente, in famiglia siamo dei geni!- - Calma Giacomo. Non sono una scrittrice e soprattutto non sono un genio. Ora vi lascio.- Prima, bisognava che si recasse da Olga. La trovò seduta in poltrona, intenta a leggere un giornale. Lo teneva con la mano sinistra. Appena la vide, s’illuminò. -Brava Elena! Hai vinto un concorso per giovani scrittori, ma non mi avevi detto niente.- -Tu come lo sai, scusa?- -E’ scritto qui sul giornale, in un trafiletto interno.- - Sul giornale? E’ pazzesco! Sai, avevo scritto la storia delle mie passate esperienze. L’ho inviata molto tempo fa e già non ci pensavo più. Olga, stamani è venuta Sara alla pizzeria per lavorare con noi.- -Sono proprio contenta! Grazie cara. Quella povera figliola è sfortunata. Bisognerebbe convincerla a riconciliarsi con il marito.- -Tu sei sicura che la colpa non sia sua? A me è sembrata una mangia uomini; non voglio criticarla, ma il suo atteggiamento è provocante.- -Per questo è necessario consigliarla!- -Vedremo. Ti trovo migliorata e sono contenta.- -Sì, a quanto pare, tra qualche giorno potrò tornare a casa. Mike mi ha detto di aver trovato un’assistente che sarà sempre a mia disposizione.- -Fammi sapere quando uscirai. Cercherò di accompagnarti e d’aiutarti.- -Sai Elena, nella vita abbiamo delle prove concrete di come Dio esaudisca le nostre preghiere. Nel passato, gli avevo chiesto la grazia di qualcuno che si prendesse cura di me. Mi ha mandato te.-
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Gabriella Cuscinà
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Italy
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Inserito - 15/03/2007 : 17:49:08
6Guidando la sua auto verso la sede della casa editrice, ripensava alle parole dell’amica. Elena aveva incontrato tante persone e tutte avevano assunto un ruolo ed un significato per lei. Al paese, alcune avevano rappresentato esperienze negative e distruttive. Qui in America, ne aveva incontrato di ogni razza, di ogni condizione sociale e culturale. “I destini degli uomini s’intersecano e s’intrecciano,” rimuginava, “come se Dio ponesse sulla nostra strada determinate persone per metterci alla prova, per indurci in tentazione, oppure per farci scoprire il nostro bisogno d’affetto, ovvero le pieghe nascoste e i meandri segreti del nostro altruismo. Alcune persone si rivelano insostituibili, segnano la nostra esistenza. Altre invece, sono come l’onda del mare che bagna e se ne va. Forse la vera fortuna, per ognuno di noi, consiste nel riuscire ad avere accanto sempre qualcuno che veramente amiamo. L’affetto che proviamo, per chicchessia, è una specie di mistero, una grazia del cielo.” Al termine di tali dissertazioni, si ritrovò dinanzi all’indirizzo che cercava. Dopo aver sistemato il suo veicolo, salì al diciannovesimo piano e si trovò di fronte a enormi vetrate. Bussò e fu accolta da una segretaria efficientissima, la quale le chiese chi fosse e chi cercasse. Elena mostrò la lettera che aveva ricevuto e la donna parve entusiasta. -Oh signorina! Credo proprio che fosse attesa!- Quindi si pose al telefono e l’annunciò. - Salga al venticinquesimo piano, prego, il presidente la sta aspettando.- A questo punto, si sentì vagamente emozionata. -Prego! Si accomodi, prego. Finalmente conosco la vincitrice del nostro concorso! Complimenti signorina! Il suo racconto è stato scelto tra centinaia che ci sono pervenuti e il consenso della nostra redazione è stato unanime.- Il presidente si era alzato per riceverla. Era un signore di proporzioni cospicue. Aveva un corpo che ricordava un po’ una pera, abbastanza sottile verso la sommità, ma che si allargava verso la base. Era fornito di una testa ovale con un cranio pelato. Le labbra erano pronunciate e il mento aguzzo. Da sotto folti sopraccigli, i suoi occhi azzurri la fissavano. Lei avanzò e gli strinse la mano prima di sedersi. -Grazie. La ringrazio. Non ci crederà, ma non ricordavo più di aver spedito quello scritto. E’ trascorso molo tempo. Comunque sono felice della vostra scelta.- Il presidente, con sussiego, era tornato a sedersi alla scrivania. Aveva stentato a sistemare il suo enorme bacino. Però, quel signore così corpulento aveva destato le simpatie di Elena. -Devo consegnarle il nostro premio, - e aveva estratto un assegno. La somma scritta era interessante. -Che bello grazie!- La sua espressione era frastornata. La bocca rimenava semiaperta. Continuava a guardare l’assegno. -Tra l’altro, - continuò il presidente - le devo chiedere il consenso di pubblicarlo su una nostra rivista e proclamarlo vincitore del concorso. Sa, è una testata molto nota, ma abbiamo intenzione di arricchirla con una nuova rubrica contenente dei racconti. Se è d’accordo, potrà firmare con noi un contratto e ne scriverà qualcuno.- Da qualche parte, Elena aveva letto: < Sogno o son desta?> Per quanto retorica fosse la frase, descriveva ciò che provava in quell’istante. -Signore, non so esprimere il mio entusiasmo. Certo! Sono onorata! Ma lei crede davvero che sarò all’altezza?- -Il talento lo riconosco al naso. Mi picco di credermi un discreto conoscitore delle qualità e capacità umane. Non ho dubbi che se si assumerà l’incarico di scrivere per noi dei racconti, lo farà con passione e attenzione. Allora signorina, posso preparare il contratto?- -Lo firmerò subito. Sì, senz’altro.- Lui si alzò ed Elena fece altrettanto. -Torni a trovarmi spesso. Adesso è una nostra collaboratrice. Passi dalla segreteria a firmare, prego. Arrivederci.- La sensazione di gioia era enorme. Arrivò il momento di firmare e conobbe Andrew. Era un giovane addetto alle pubbliche relazioni. In un attimo, egli s’informò di tutto ciò che la riguardava e compilò una scheda. Come tanti altri, fu affascinato dal sembiante di Elena, reso più accattivante dall’espressione estatica. In quel momento infatti, appariva solare e piacente più che mai. Tra l’altro, in quegli ultimi anni, aveva acquistato un’avvenenza particolare. Aveva reso morbidi e ondulati i suoi folti capelli castano naturale, setosi e lucenti. Aveva appreso a truccare sapientemente gli occhi ambrati, vellutati e profondi. Era dimagrita e il suo corpo aveva assunto delle dimensioni quasi perfette e una linea armonica. Andrew la guardava incantato e volle subito invitarla ad uscire con lui. -Grazie, ma temo che non posso. Ci rivedremo ad ogni modo. Salve.- Fu all’aria aperta e si accorse che non avvertiva la terra sotto i piedi. Anche quella era una sensazione nuova e di cui aveva sentito parlare, ma ora la sperimentava. Cercava di contenere l’eccitazione che provava. Camminava e non ricordava più dove avesse lasciato l’auto. Quindi procedeva a caso, quasi a voler smaltire la sbornia di felicità. Gioia! Felicità! Elena non le aveva mai sperimentate. Al paese, quand’era piccola, aveva sentito dire che di gioia si può anche morire. Si fermò e sedette sul bordo di una fontana. Doveva calmarsi. Affondò le mani nell’acqua ghiacciata. Rispecchiava il suo viso. Diverso, trasformato, come se non riuscisse a cancellare il sorriso di soddisfazione. No, di gioia non si muore. D’altra parte, quando era ancora un’adolescente, non era morta di dolore per lo stupro subito e per aver consumato un amore sacrilego. Adesso avrebbe continuato la sua solita vita e ogni tanto si sarebbe posta al computer per scrivere qualche racconto. Il solo pensiero di poterlo fare, la faceva entusiasmare. Chissà cosa avrebbe detto Mike. Il nome del giudice le riportò alla memoria il matrimonio cui doveva partecipare. Aveva bisogno d’acquistare qualcosa. Dove? Quanto avrebbe potuto spendere? Pensò all’assegno che aveva in borsa. Poteva spendere quello che voleva. Si recò dunque nella 5ft. Avenue ed entrò in un negozio. Dopo lunghe ricerche e prove, scelse un abito di seta azzurro, di ottima linea, che le valorizzava il personale. Era completato da una sciarpa della stessa tinta, trasparente e lunga. Indossandolo, Elena si riconosceva a stento. Le faceva assumere un’aria ricercata, sobria e raffinata. Scoprì che il prezzo del completo era esorbitante. Tornò a casa. -Pronto Mike, sono Elena. Non ci crederai! Il presidente della casa editrice mi ha fatto firmare un contratto che m’impegna a scrivere dei racconti. Sono felice!- -Lo immaginavo! Non ho voluto dirtelo per evitarti un’eventuale delusione, ma pensavo proprio che ti avrebbero fatto una tale proposta. Adesso non dovrai più lavorare alla pizzeria.- -Cosa? No, io continuerò a fare la mia vita di sempre. In più, ogni tanto, scriverò dei racconti. Perché? Cominci a vergognarti della tua amica che lavora in un locale di ristorazione?- -Che dici Elena! Che c’entra! Allora, domattina verrò a prenderti alle dieci, per andare al matrimonio del mio collega.- Così l’indomani, puntuale, il giudice andò a prelevarla a casa con la sua lussuosa automobile. Vedendola affascinante e agghindata, Mike non proferì parola. I suoi occhi erano divenuti adoranti. Quello sguardo avrebbe fatto squagliare i ghiacciai dell’Alaska. Era come incantato, continuava a guardarla. Sembrava così occupato a contemplarla, che non poteva parlare. La sua mente in ebollizione era dominata da un unico pensiero: “Elena, prima o poi, sarebbe divenuta sua moglie.” -Mike! Sai cosa sto pensando? Romeo doveva avere un’espressione simile alla tua, la prima volta che vide Giulietta. Ah, ah, ah, ah.- -Sì, infatti in questo momento riesco a compenetrarmi nelle sensazioni del povero Romeo.- Avrebbe voluto abbracciarlo, ma non lo fece. -Dai, andiamo Mike, o faremo tardi.- Arrivarono puntualmente alla casa della sposa, dove si sarebbe svolta la cerimonia. Per la prima volta, Elena assisteva alla celebrazione di un matrimonio all’americana. Ricordava quelli che si svolgevano al suo paese e la differenza le sembrò abissale. Il giudice continuava a guardarla e capiva che avrebbe desiderato che quella cerimonia fosse per loro. E lei? Non lo desiderava? Possibile che ancora non riusciva a decidersi? -Questa è Elena, la mia più cara amica- aveva detto Mike, presentandola e destando curiosità. Non sarebbe stato forse bello sentirgli dire che era la sua fidanzata?
7
I numerosi invitati, dopo il rito nuziale, furono ricevuti nel giardino adiacente alla casa. Era stato allestito un magnifico buffet, ricco delle pietanze e leccornie più prelibate. A Elena furono presentati i genitori della sposa: i signori Shapard. Aveva saputo che erano molto ricchi. Lui era piuttosto anziano, massiccio e corpulento, d’origini irlandesi. La moglie era una signora affettata e cerimoniosa, che l’informò subito che il marito aveva perso la memoria in un incidente d’auto. Difatti il povero uomo appariva confuso e guardava chicchessia con una diffidenza che cercava di nascondere sotto un’apparente disinvoltura. Mike doveva spesso allontanarsi, perché chiamato da questo o quell’altro collega, con i quali cominciava a discutere di casi giudiziari. La compagnia però non le mancava. Era continuamente avvicinata da intraprendenti giovanotti che la scortavano presso i tavoli imbanditi. A un certo punto, si sentì dire: - Sono Timoty Harvey, signorina, detto Tim. Lavoro nello stesso ufficio di Mike e sono il suo segretario. Sono onorato di conoscerla.- Ecco un altro che la contemplava incantato. Davvero, quel giorno, doveva sembrare la regina delle fate! Tutti l’osservavano e le signore si davano di gomito, quando lei passava. Timoty le confidò che il giudice era tra gli scapoli più ambiti del palazzo di giustizia. -Avete avuto una bella fortuna, signorina, anzi no, il fortunato è stato lui. Adesso capisco perché abbia aspettato tanto a decidersi!- - A decidersi per cosa? Guarda, Tim, che io e Mike siamo solo amici.- Le sembrò che nell’espressione del giovane vi fosse del sollievo, ma forse era solo un’impressione. Si avvicinarono al tavolo dei gelati e capirono che bisognava fare la coda. Diligentemente si misero per ultimi e stavano attendendo il loro turno, quando una signora, molto in carne, si fece avanti superando tutti. Elena criticò la cosa ad alta voce e il cameriere volle servirla per prima. -No grazie, ci ho ripensato, il gelato è ingrassante!- disse, provocando nella signora una reazione di disappunto. Il suo compagno non la finiva più di ridere e attrasse l’attenzione di Mike. -Vedo che vi siete già conosciuti, ma cos’hai da ridere tanto Tim?- Quello raccontò l’accaduto e il giudice obiettò: - Elena, certi tuoi sarcasmi cerca di evitarli in un ambiente come questo.- - Ma capo, la signorina aveva perfettamente ragione!- Mike lo squadrò: -Lo so, ma è l’ambiente in cui ci troviamo che va trattato con cautela!- Il signor Shapard si avvicinò ad Elena. -Salve cara! Sei appena arrivata, eh? Benissimo.- -Non sono appena arrivata, signore, - rispose. -Ci hanno presentato almeno tre ore fa.- -Sì, è vero. Ora ricordo. Stavo chiacchierando e credo d’aver perso la nozione del tempo. Ti saluto. Prendo il cappello.- -Ce l’hai in testa. Ma dove stai andando?- fece la moglie. -Ce l’ho?….. Allora andiamo.- Il personaggio le era sembrato simpatico e originale. Il corpulento signore si stava avvicinando a Tim squadrandolo. -Aia! Aia! E’ così dunque?- Il segretario lo guardò interrogativamente. Il signor Shapard indicò col dito Elena: - Sei cotto di lei, vero?- Il viso del poveretto assunse tutti i colori dell’iride. La domanda era stata brusca e inaspettata e Tim rispose come ipnotizzato. - Ma signore…….- -Me lo immaginavo! Sono cose che si vedono a un miglio di distanza. Quella ragazza è magnetica, credo di esserne innamorato anch’io.- Poco dopo, i saluti furono generali e gli auguri rinnovati. Gli sposi lasciarono la villa su di un’automobile agghindata a festa, con nastri, fiocchi, campanelli, barattoli e petardi. Elena, durante i convenevoli di commiato, aveva osservato di sottecchi Tim. E’ sempre interessante per una ragazza esaminare un uomo che sia stato affascinato da lei. Si sentiva dunque ben disposta nei suoi riguardi. Gli sorrise gentilmente salutandolo: -Ciao Tim, spero di rivederti presto, mi ha fatto piacere conoscerti.- Mike invece, sembrava d’umore nero. -Hai fatto molte conquiste, oggi Elena, complimenti!- Si trovavano nell’auto di lui. -Non dirmi che sei geloso! Comunque non ho fatto conquiste, ho solo destato la curiosità di molti. Ho saputo che sei lo scapolo d’oro del palazzo di giustizia.- -Questo te l’ha detto quello stupido di Tim. Se vogliamo fare una disquisizione intorno alla gelosia, la considero normale se contenuta nei suoi giusti limiti. Quindi sì, sono geloso. Noi mortali abbiamo sempre paura di perdere chi amiamo.- Lei taceva. Mike, svariate volte, aveva fatto allusione a ciò che provava per lei. In quell’occasione, incalzò: -Dunque Elena, quando potrò annunziare che ci sposiamo?- Come poteva eludere una domanda tanto perentoria? In che modo non dispiacergli? -Tu sai che nel passato, sono stata molto provata, vero Mike? Nell’adolescenza, ho subito uno stupro e poi ho avuto un rapporto carnale di cui tuttora mi vergogno. E’ come se fossi rimasta traumatizzata e ogni rapporto con un uomo mi terrorizza.- -Sì lo so, è come se fossi stata violentata due volte! Per questo non ti ho mai voluto fare pressione-. -La seconda volta, ricordo che fu anche peggio, come se io stessa avessi compiuto quella violenza, trasportata da un’insana passione.- -Ormai è trascorso moltissimo tempo. Adesso cosa provi per me?- Aveva bloccato l’auto lateralmente e continuava a parlare: - Mi vuoi almeno un po’ di bene? Perché se è così, dillo porca miseria! Ogni tanto fallo capire! Parla!- Mike si era alterato e aveva sbattuto un pugno sul volante. Lei era ammutolita e lo guardava con la bocca semiaperta e gli occhi sgranati. -Non fare come quelle ragazze che prima si fanno avanti con uomo, lo stuzzicano e poi si tirano indietro. Prima lo incoraggiano, pronte poi a fare le preziose. Fanno impazzire il malcapitato tenendolo sempre sulla corda!- Ora Elena lo fissava stralunata e involontariamente le spuntarono le lacrime agli occhi. Lui l’abbracciò repentinamente e la strinse. - Elena no! No dolcezza! Sono uno stupido e non so quel che dico. Tu sei diversa e non devi dirmi proprio nulla.- Si calmarono entrambi e lui riattivò il motore. La riaccompagnò a casa. Le baciò la mano. -Abbiamo avuto una gioventù molto infelice. Improvvisamente mi è venuto in mente il mio padre naturale. Ero piccolissimo, quando mi abbandonò in un istituto di suore cattoliche. Mi aveva assicurato che mi portava a comprare dei giocattoli, invece mi lasciò lì per sempre.- -Per questo non vorrei mai farti soffrire. Lo sai, vero Mike?- -Sì, lo so dolcezza. Ci rivediamo presto. Non dare più ascolto a quello sciocco di Tim. Non sono uno scapolo d’oro.- Andò via, ed Elena si accorse che sarebbe stato bello potergli dire che gli voleva bene, abbracciarlo con trasporto e pregarlo di sposarla. Forse sì, ma ancora una volta non riusciva a decidersi.
L’indomani mattina alla pizzeria, trovò Giacomo un po’ agitato. Aveva avuto la visita di un poliziotto. A quanto sembrava, al vicino posto di polizia avevano ricevuto una denunzia contro di lui per la sottrazione indebita di un orologio. Il fratello era intento a spiegare all’uomo di legge che si era trattato di uno scherzo. Mentre raccontava e chiariva l’equivoco, l’altro pareva divertirsi. -L’orologio è stato dunque restituito?- -Sì certo! Però il mio amico non vuole più avere a che fare con me.- -Quando è così, non credo che ci saranno altri problemi. In ogni caso, la terremo informata.- Andando via, rideva sotto i baffi. Giacomo sembrò sollevato. -Che strano tipo quel poliziotto! disse, - avrebbe bisogno di qualche scherzetto.- -Giacomo! La vuoi finire? Prima o poi ti caccerai in qualche guaio!- Elena era esasperata. Invece Sara rideva e sembrava divertita per la sua battuta. Teneva la testa all’indietro e le labbra erano provocanti. Lui la guardava estasiato. Don Carlo si grattava la testa. Prese in disparte la sorella: - Sei sicura che sia un bene tenerla qui?- -No, non sono più sicura di niente. Mi spiace, ma si tratta di un’opera di carità.- -D’accordo Elena, fai tu! Ho paura però che te ne pentirai.- -Basta ora, parliamo di cose allegre; lo sapete che la casa editrice mi ha proposto di continuare a scrivere per loro?- -Brava mia sorella! E’ diventata una scrittrice!- -Beh, non proprio, però pubblicheranno il mio racconto sulla loro rivista e il presidente mi ha consegnato un cospicuo assegno.- Don Carlo era proprio contento: - Allora devi festeggiare! Complimenti!- -Quando pubblicheranno il racconto, - fece Giacomo - comprerò molte copie di quella rivista e le spedirò al paese, così capiranno chi è mia sorella!- -Scusa, ma che le mandi a fare? Non capiranno la lingua.- -Si faranno tradurre ciò che hai scritto. La curiosità sarà grande. Già li immagino a guardarsi in faccia come tanti beoti.- -Allora devi sapere ciò che ho scritto. Perché, vedi Giacomo, io ho raccontato tutte le mie esperienze di adolescente. Ormai tu le conosci, ma al paese no. Lascia stare.- -Hai scritto di ciò che ti è successo quando eri giovanissima?- -Sì e preferisco che non ne sappiano mai niente.- -Perché scusa? Tu non ne hai avuto colpa! Io spedirò le copie di quella rivista!- -Sei un testardo! Ti prego di non farlo!- -Io invece lo farò, e lo farò anche per te, per riscattarti e dimostrare cosa sai fare di buono. E’ tempo che tu sappia la verità, sorellina!- -Quale verità, Giacomo?- -Quando sei partita dal paese, lasciando a noi fratelli solo una lettera d’addio, tutti si chiesero perché l’avessi fatto. Cominciò dunque a circolare la voce dello stupro che avevi subito. Qualche tempo dopo, anche Don Mario, il giovane sacerdote, andò via all’improvviso. Tutti si misero a sussurrare che aveva avuto dei rapporti con te. In un piccolo centro, dove tutti si conoscono, è impossibile che le cose non si risappiano.- Elena appariva sorpresa. Non aveva mai supposto che i suoi compaesani sapessero tutto. Però, a ben ricordare, le voci delle comari, le calunnie e i sussurri facevano presto a circolare, anzi a volare. Il paese! Il suo luogo natio! Un vago struggimento l’attanagliava. All’improvviso chiese: - E’ viva nostra madre?- L’espressione del fratello cambiò del tutto. Divenne terreo e rispose: -Non lo so e non lo voglio sapere.- Sara si era riavvicinata e aveva ascoltato le ultime due battute. -Ma come! Voi non sapete se vostra madre è viva?- Sembrava sconcertata e sbatteva le lunghe ciglia con civetteria. -Purtroppo sappiamo ben altro e queste cose non ti riguardano- fece Elena. Era entrato un avventore e Sara gli andò incontro, ancheggiando. La pizzeria ormai funzionava anche da ristorante. Dunque il signore appena entrato chiese di poter pranzare. Era un tipo dai capelli color paglia e dai modi disinvolti. Da lontano, Elena lo ravvisò. Era Andrew, l’impiegato della casa editrice. Si avvicinò e lo salutò: - Come mai da queste parti? Non era mai venuto se non sbaglio.- -Salve signorina! Infatti non ero mai venuto, ma se ricorda ho trascritto la sua scheda e sapevo perfettamente dove lavora. Allora, eccomi qui!- Di quel giovanotto tutto le spiaceva. Ogni particolare del contegno e del suo aspetto. Era una persona che conosceva appena e continuava a parlare dicendo cose futili e vaghe. Sembrava che nessuno riuscisse a fermarlo. -Mangerà qui con me, vero Elena?- stava dicendo. -No grazie, devo andare a lavorare, mi spiace.- E intanto pensava: “Si salvi chi può!” -Senta signorina, potrà lavorare dopo, intanto mi farà compagnia.- Rifiutare ancora le sembrò scortese. Suo malgrado, si sedette. Andrew continuava a parlare a ruota libera e sembrava un fiume in piena. Inesauribile nel dire le sue bravate. Per la prima volta, lei sperimentava quel tipo umano. Un tipo che parla sempre e in continuazione senza dare spazio e tempo agli altri di intervenire nella conversazione. “Cento volte meglio parlare poco e a ragion veduta,” pensava. “Se voleva controbattere, non la ascoltava e continuava a sproloquiare.” Elena si rendeva conto in quel momento che il buon conversatore è solo chi sa ascoltare. A un certo punto, non ne poté più e si alzò: - Beh, adesso la devo lasciare Andrew, il dovere mi chiama. Si consideri mio ospite.- Scappò via a gambe levate senza dargli il tempo neppure di salutare. Si rinchiuse nel suo piccolo ufficio e si sentì al sicuro. Al computer avrebbe dovuto fare della contabilità. Invece pensò che avrebbe potuto scrivere un racconto. Ricordò che Andrew, nel suo diluvio di parole, qualcosa d’interessante gliela aveva raccontata. Le aveva parlato di sua sorella Claire e della strana sorte che le era toccata. Architettò che n’avrebbe potuto trarre una novella. Infatti aveva saputo che quella era sposata da molti anni e suo marito l’aveva lasciata perché adescato, via e-mail, da un’altra donna d’origine cubana. Sembrava proprio la famosa realtà romanzesca. Riordinò le idee. Doveva scrivere subito, prima di dimenticare ciò che le era stato raccontato con tanta dovizia di particolari. Cominciò a scrivere di una tale signora che aveva dovuto prendere una terribile decisione. Aveva temuto il momento in cui il marito sarebbe andato in pensione, perché allora avrebbe cominciato a oziare tutto il giorno. Questo marito, molti anni prima, era stato colpito da un raro virus che gli aveva paralizzato le gambe. Curato e assistito dai migliori specialisti, dopo varie vicissitudini e sofferenze, era riuscito a evitare la sedia a rotelle, ma non aveva recuperato il completo uso delle gambe. Era rimasto con la massa muscolare debolissima. Camminando, claudicava e aveva sempre bisogno di un appoggio per alzarsi. La moglie si era rassegnata a quello stato di cose. Nei primi momenti si era disperata, senza darglielo a vedere. Poi aveva cercato di stimolarlo a fare fisioterapia perché camminasse meglio. Lui invece si era lasciato andare e si era adagiato su quella sua parziale guarigione. D’altra parte era troppo pigro e indolente per impegnarsi a fondo. Avrebbe dovuto soffrire ancora e impiegare ogni minuto libero in qualche istituto di rieducazione motoria. Non lo aveva fatto. Aveva preferito rimanere così, parzialmente risanato, ma comunque disabile. Avevano avuto due figlioli, che adesso erano già grandi. Il maggiore era cresciuto con quel padre handicappato, ma premurosissimo verso la famiglia. I due si erano voluti un gran bene e sembrava che lui stravedesse per la moglie. Verso i figli poi aveva un attaccamento particolare, era sempre ansioso, preoccupato e quasi assillante. Si comportava in un modo morboso. A questo punto della trascrizione, Elena fece una pausa di riflessione. “Davvero Andrew era stato un profluvio di parole. In quindici minuti era riuscito a raccontare tutta un’intera vita. Però lei avrebbe romanzato la storia. Bene! Poteva continuare.” Riprese a scrivere che la moglie era stata una vera martire. Lo aveva sempre assistito, accudito. Aveva sopportato e tollerato tutto. E così erano trascorsi gli anni sino al giorno del pensionamento. Poi d’improvviso tutto cambiò. Aveva riscosso alcune migliaia di dollari dall’assicurazione, e assaporava questo come un gratificante evento della sua esistenza. Ma il vero colpo di scena doveva ancora arrivare. Come la moglie aveva temuto, cominciò ad oziare e prese a stare eternamente al computer. Si muoveva e si alzava solo per mangiare. Trascorreva ore sempre collegato telematicamente. Faceva tardi pure la notte. Non si coricava per continuare a restare collegato. Un comportamento strano ed insolito, in lui così metodico! Trattava la moglie malissimo e con aggressività, non aveva più nessuna attenzione ed affettuosità. Cominciò a partire da solo. L’ennesima volta che partì, la consorte ebbe la netta sensazione, e poi la certezza che insieme a lui ci fosse un’altra donna. Cosa fare? Come doveva comportarsi la poveretta? C’era in gioco tutta una vita. Quella passata, che sarebbe stata buttata alle spalle, con un colpo di spugna, cancellata, annullata. E poi c’era la vita futura, quella sua e dei figli. Ancora una volta, Elena si fermò. Non scrisse più. Si era fatto tardi. Scrivendo, il tempo era volato. Non se n’era neppure accorta. Adesso sarebbe andata a casa, ormai sapeva quello che avrebbe continuato a raccontare.
8 Arrivò a casa con la premura di riversare sul proprio computer ciò che aveva già scritto. Lo fece e rilesse. Beh, qualcosa l’avrebbe potuta correggere, rivedere, inventare e poi sarebbe andata avanti. Ma che bello! Che divertimento! Non pensava potesse essere tanto piacevole scrivere storie al computer. Si provava una strana euforia! Come se ogni cosa scritta fosse un bene prezioso, un parto della sua fantasia! Continuò a scrivere la storia della sorella di Andrew. Narrò che la donna cominciava a ricordare le volte in cui il marito era stato caustico, pungente e scostante. Dunque non era vero amore, o se lo era stato, forse nei primi anni. Era stata solo convivenza pacifica, basata sulla convenienza e l’interesse. Chi l’avrebbe mai detto! Sembrava tanto innamorato della moglie! Adesso pensava di poterla tradire, tanto non se ne sarebbe accorta. Elena, scrivendo, voleva creare il caso di coscienza. Voleva, in modo romanzesco, creare una situazione difficile per quella moglie. O sopportare pazientemente, o fargli capire che sapeva tutto e separarsi. La coscienza! Era solo una parola in casi come questo! Come poteva, la poveretta, far finta di niente? Tutto in lei si rivoltava. Perdonarlo? Sì forse, col tempo l’avrebbe pure perdonato, ma adesso sarebbe stata solo ipocrisia. Il dolore era cocente, la sconfitta ed il senso di frustrazione indicibile! La scrittrice volle rincarare maggiormente la drammaticità della situazione e, a questo punto, metteva giù i suoi pensieri, impressioni e sensazioni. Come le piaceva scrivere! Si era rivelato tutto inutile: tutti quegli anni di sacrifici, trascorsi con affetto ed abnegazione. Per chi? Perché? La moglie cominciò a ricordare tutte le volte in cui, collegato telematicamente, le aveva nascosto con chi stesse comunicando. Già, forse aveva conosciuto proprio in quel modo un’altra donna. Ma queste sono cose che succedono solo nei film! No. Evidentemente no. Succedono anche nella vita di tutti i giorni. Quando era partito l’ultima volta, aveva poi telefonato per comunicare che stava rientrando; ma la consorte gli aveva detto perentoriamente che doveva andare da un’altra parte, non più a casa. Ormai sapeva tutto. Lui non se lo sarebbe mai aspettato! Da quel momento, non si erano più parlati. Ogni contatto tra loro si era esaurito, se non per rivedersi dagli avvocati e in tribunale, per la separazione legale. Il marito volle giustificarsi con amici e parenti, cercando di screditare la moglie. Le addossò tutte le colpe. Cominciò a dire che lei non lo aveva mai aiutato a guarire, che si vergognava della sua invalidità. Si era preparato il nuovo terreno sotto i piedi. Aveva detto a tutti che da solo non poteva stare e che aveva bisogno di una compagnia. Difatti dopo poco tempo, arrivò da Cuba una signora non molto giovane, dalla pelle ambrata, bassina e paffutella. Un tipo insignificante. Ma guarda che caso! L’aveva trovata subito la compagnia! Elena pensò che avrebbe dovuto scrivere, all’inizio della novella, che ogni riferimento a fatti realmente accaduti era puramente casuale. Ma sì! Tanto, cosa poteva succedere? Continuò a scrivere commentando come fosse strano che quella donna provenisse proprio da Cuba, un paese povero, da dove si cerca di andare via, costretti dalla fame. E brava la cubana! Aveva trovato il pollo! Però, era forse solo un cattivo pensiero della moglie. Forse la poverina si era innamorata di lui via e-mail. Amore a prima vista! Aveva perso la testa per quel signore handicappato, che si muoveva con difficoltà. Certo che con lui, poteva mangiare tutti i giorni. Dopo la separazione legale, i due colombi erano andati a vivere insieme. I colpi di scena non erano però finiti! Trascorsi pochi mesi, si seppe che la cubana era incinta. Per i figli fu un colpo tremendo. Stentavano a crederci. La moglie invece assorbì bene il colpo, perché quella nuova realtà tagliava definitivamente i legami tra lei e il marito. Aveva riacquistato il suo antico smalto e il suo carattere allegro. Era ritornata estroversa, socievole. Alcuni mesi dopo, i ragazzi ricevettero una telefonata dal padre che annunciava la nascita di una sorellina. Chi l’avrebbe mai detto! Una sorella indesiderata! Metà americana e metà cubana. Già odiata povera bambina! Inconsapevole prodotto dell’umana leggerezza! E forse strumento dell’umano interesse. Elena s’accorse, terminato di scrivere, che verso la fine aveva inventato tutto. Meglio così, pensò. Potenza della fantasia! Da un fatto realmente accaduto, sentito in pochi minuti, era riuscita a trarre una novella piuttosto lunga. Squillò il telefono ed andò a rispondere. -Elena, sono Don Carlo. Sai, è venuto a cercarti un certo Tim.- -Sono rimasta a casa a scrivere. Che le ha detto? E’ il segretario di Mike.- -Tornerà domani.- -Va bene. Grazie. Buona notte.-
Lontano da lei intanto, ferveva un’accesa conversazione fra Mike e Tim. Quest’ultimo, non avendo trovato Elena alla pizzeria, aveva pensato di andare dal suo capo. Era stato folgorato da lei e voleva fare i suoi primi approcci. Poi aveva riflettuto che sarebbe stato meglio sondare il terreno presso il giudice. Mike stava levando la mano come un vigile urbano che dirige il traffico. -Basta Tim! Ho capito! Ti sei presa una cotta per lei. Posso capirti. Elena è una creatura magnifica.- -Ora però mi rendo conto che le vuole bene. Mi farò immediatamente da parte.- - Potrebbe innamorarsi di te. In fondo, voglio solo la sua felicità.- -Innamorarsi di me! Figuriamoci! Ma piuttosto capo, che metodi ha adoperato per incantarla?- -Metodi! Incantarla? Con una donna credi di essere ad una fiera? Bisogna cercare di essere sempre pazienti e galanti.- -Può darsi, ma credo che in fatto di donne, io sia più esperto di lei signor giudice.- -E’ probabile.- -Per esempio, secondo me, non è sulla buona strada. Se lo fosse, avrebbe detto: -La corteggerò fino a farle perdere la testa!- -Facile a dirsi, ma non a farsi.- Mike sembrava in preda ad un’astratta fissità. -L’afferri! La stringa! La baci con un bacio che la lasci senza fiato e le dica: -Tu sei l’unica! Senza di te non vivo più! La baci ripetutamente, poi, con fare pressante, l’induca a fare l’amore con lei. Così otterrà il suo scopo, capo.- Sebbene Tim gli piacesse, il giudice sentiva che le loro anime erano ai poli opposti. Il loro punto di vista sull’amore era diametralmente diverso. Quelle del suo segretario gli sembravano le teorie di un venditore ambulante. Tali procedimenti gli parevano mostruosi. Il pensiero di offendere Elena con quel genere di grossolana galanteria e prepotenza, lo rivoltava. Se non fosse stato per la necessità di mantenersi amico il suo segretario personale, lo avrebbe mandato al diavolo. Invece disse: -Io non farò mai una cosa del genere, aspetterò sempre che lei si decida e confido che lo farà. Adesso si è fatto tardi. Sarà meglio per entrambi se andiamo a dormire.-
Nel frattempo, il locale della pizzeria era ancora aperto e vi si trovavano gli ultimi avventori. A un tavolo, era seduto un tizio che aveva tutta l’aria d’essere brillo. Quando Sara gli si avvicinò per servirlo, questi le allungò la mano sul sedere con fare prepotente. -Ehi!…. - L’esclamazione uscì squillante dalla bocca della donna e attirò l’attenzione di Giacomo. Il volgare avventore afferrò un seno della ragazza, dicendo: - Fa tanto la preziosa! Ma si sa che è messa qua per attirare gli uomini!- Sara emise allora un urlo simile alla sirena dell’ambulanza. Accorse Giacomo e gli bastò un’occhiata per capire la situazione. Il tipo ubriaco rincarò la dose: - Ecco qua il buffone!- -Senta, si sta comportando in modo indecente! Vada via!- L’altro gli fu subito contro e gli sferrò un pugno sul naso, che prese a sanguinare. Giacomo sentì risvegliarsi l’antico, focoso istinto mediterraneo. Era grande e robusto e con tutto il suo peso, si scagliò sul malcapitato. Quest’ultimo, più imbestialito che mai, reagì sferrando un altro vigoroso pugno sulla bocca dell’avversario. La rissa era ormai violenta ed il sangue ricopriva tutto il viso di Giacomo. Fortunatamente, era accorso Don Carlo che riuscì a separare i due. Poi, con fare suadente, convinse l’avventore a lasciare il locale. Sara si era subito offerta di medicare le ferite del suo salvatore, ma il padrone del locale la fermò: -Andrà a medicarsi a casa. Buona notte Giacomo.-
Elena era ancora sveglia. Vedendolo in quello stato, fu colta dal panico. -Giacomo! Che ti è successo? Che hai?- Il fratello la tranquillizzò e chiese di essere medicato. Quindi spiegò ciò che era accaduto alla pizzeria. -Lo sapevo! Lo sapevo che quella ragazza ci avrebbe portato guai! E’ troppo appariscente e civetta. Tu faresti bene a starle alla larga.- -Lei non c’entra. Quel tizio era ubriaco.- -Ammettilo! Sara ti ha fatto perdere la testa!- Gabriella Cuscinà
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