LA CREDENZA DI MAMMÀGIOIA XII ‘77
Grande,
la casa fresca e bianca
di tufo,
nell’ora solare
della canicola estiva.
Odore,
nell’aria d’agosto,
di stalle pulite
dai bassi sottani.
Aroma di menta,
ai terrazzi,
frammisto a sapor di pollaio.
E,
dentro il salone,
penombra,
protetta
con tende
fiorite
da giochi
di mani
sicure e
veloci.
Ricami,
strani,
lontani…!
Nostrani o africani?
Ricami
cari,
quieti,
modesti,
pazienti
a tener la penombra.
La grande tavola
ovale,
nel mezzo
guarnita
di trine
e fruttiere di vetro,
per dopo ci aspetta
a riunione.
Esili
sedie di giunco
le ridono attorno.
Sopra il canapè
troneggia,
dalla sua Venezia
di tela
appesa al gancio,
un doge variopinto,
mentre,
a destra,
sull’altra parete,
soccombe fieramente
Ferrucci
sotto i colpi dipinti
del Maramaldo.
Di fronte
la gloriosa,
misteriosa,
vecchia scrivania,
custode di scritti ingialliti
(scheletri di storie
celate
ai nipoti).
Un sorriso
li protegge,
aguzzo e
rotondo.
Dalla foto gigante
del nonno
imperano
due grandi baffi
neri.
Ansiosa,
amorosa
li osserva
l’immagine
di un’esile
nonna,
forte
come una colonna
di quercia.
Accanto alla tenda
una credenza,
a muro.
Sul vetro grezzo,
ante di legno
pittate di bianco.
Se l’apri
t’inonda
un profumo
di calde
sensazioni infantili.
Di spezie del tempo
che fu.
Di noci, di fichi, di risa,
d’olive, apprensioni e rosolio,
di pane e scamorze,
d’amore per cose
che certo
non tornano
più.
alla nonna