Capinera
Senatore
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Inserito - 29/10/2007 : 22:08:51
La fila che si era venuta a formare davanti alla porta di ingresso del reparto di medicina generale, si poté diradare solo all’ora esatta in cui erano consentite le visite agli ammalati, non un minuto prima e non uno dopo. “Perfetti nella puntualità questi infermieri!” Esclamò un visitatore con tono ironico. “Se facessero tutto con questa precisione, potremmo considerarci veramente fortunati.” Aggiunse un altro. La piccola camera d’ospedale che ospitava solo due lettini contrassegnati con i numeri 24 e 25, era come invasa da una luce di un sole caldo che risplendeva quasi prepotente, nonostante il tardo autunno. Dirigendo lo sguardo fuori dai vetri della finestra, nel giardino sottostante, potevo vedere i grossi alberi, agitare i rami e le foglie spinti dalle raffiche violente di un forte vento di libeccio che era esploso sin dalle prime ore del mattino. Più che curarmi dell’ammalato al quale ero andata a far visita, improvvisamente mi resi conto che mi stavo interessando quasi con struggente morbosità, agli atteggiamenti dolcissimi ed a tratti malinconici, di quella coppia di anziani che si trovava all’interno della stanza. Con quanta tenerezza le man di pane rimaste sulle labbra di lui e asciugare poi, con infinita dolcezza, la saliva che gli era uscita dai lati della bocca e si stava impietosamente allungando quasi provocatoria, sul mento. Con quanta cura gli occhi attenti della donna si tuffavano su quel volto scarno alla ricerca di un qualcosa che, fuori posto, andava riportato immediatamente e con estrema precisione, alla sua normalità. Lo accarezzava dolcemente e con sguardo fiero, lui sereno per tutte quelle premure ricevute, si lasciava toccare in silenzio come un bambino che cerca le coccole da chi gli vuole bene. Loro certamente avrebbero avuto cose molto belle da raccontare. Il loro amore sembrava non solo intatto e saldo, ma quasi magico. Forse era frutto di una bella storia vissuta insieme e che aveva provocato in loro sentimenti così delicati che continuavano ad esternare, con reciproco rispetto equilibrio. Era evidente che l’uomo fosse molto ammalato. “E adesso cosa accadrà se lui muore?” Pensai con tristezza infinita. Forse troppo sovente non riusciamo ad apprezzare tutto ciò che ci circonda, forse troppo spesso non sappiamo essere sereni come dovremmo. Loro invece sembravano avere afferrato il messaggio che con orgoglio tenevano dentro se stessi come un delizioso segreto. Anche se quella fine che sembrava molto vicina portava sgomento nei loro pensieri, sapevano mascherarlo con dignità veramente premiabile. Quella certezza apparentemente non li faceva apparire né sconvolti, né disperati; l’impressione che provai fu quella che si sentissero ancora più vicini e uniti. Nonostante il silenzio, i loro occhi sembravano dialogare. Facendolo appoggiare su di sé lo accompagnò fino alla porta del bagno, lui sembrava preoccupato di dover entrare da solo, ma lei lo rassicurò e poi pazientemente lo attese. Mentre lo stava aspettando si prese il viso tra le mani come a voler nascondere ciò che non è piacevole vedere e quando tolse le mani dal volto i suoi occhi erano pieni di lacrime, tirò un forte respiro e subito si ricompose in modo che lui uscendo, non si accorgesse di niente. Quando l’uomo fu pronto, lei gli andò incontro come a sorreggerlo e dopo aver lanciato su di lui uno sguardo estremamente attento, mise in ordine il suo pigiama con lievi colpetti delle mani, controllò nuovamente che tutto fosse in perfetto ordine e poi facendolo appoggiare di nuovo su di sé, lo riaccompagnò nella camera da letto. Il suo sguardo soddisfatto sembrava dire: “Vedi amore mio, ce l’ho fatta!” Una volta raggiunta la camera lo aiutò a coricarsi e, mentre lui ansimava per la troppa fatica, lei faceva scudo con il suo corpo nel tentativo di nascondere agli altri quel suo grande uomo non più capace di muoversi da solo. Nella generosità di quel gesto c’era un amore infinito, il desiderio di nascondere la verità non era ipocrisia, bensì una forma di grande rispetto. “Ma come sei ridotto amore mio?” Sembravano dire i suoi occhi. Per ringraziarla la osservò a lungo in silenzio, poi si scambiarono un ennesimo dolce sorriso, che aveva più significato di tante parole. Dopo innumerevoli e ripetute attenzioni si sedette vicina a lui non prima avergli bisbigliato qualcosa in un orecchio, lui rispose annuendo solo con un leggero movimento della testa. Lei allora estrasse gli occhiali dalla borsa che appoggiò sul letto e prese un quotidiano, l’uomo fece un leggero movimento e gli occhiali caddero a terra, lei ebbe un attimo di esitazione forse per il timore che si fossero rotti e non desiderava affatto che si sentisse in colpa. Poi un po’ trepidante si decise, lui preoccupato le domandò qualcosa e lei dapprima lo rassicurò con un sorriso poi avvicinò gli occhiali in modo che anche lui potesse vedere. “Sono a posto tesoro, non ti preoccupare non si sono rotti.” Di lui udii soltanto un lieve sospiro, di lei potei osservare nuovamente uno splendido sorriso. A voce bassa prese a leggere lentamente, gli occhi di lui di tanto in tanto si abbassavano e lei allora si fermava come a verificare se si fosse addormentato, ma lui pian piano li riapriva come invitarla a continuare. Il sole che filtrando dai vetri continuava a scaldare la stanza, la debolezza e lei con la sua voce dolce continuava a narrare, lo fecero ben presto addormentare come un bambino stanco che ascoltando una bella favola, si lascia andare nella scia di un sogno che nessuno conoscerà mai. Lei si portò con la testa vicina al suo volto avvicinando la bocca e un tenero bacio sfiorò leggermente le labbra dell’uomo. Si alzò e gli aggiustò le coperte. “Amore mio, amore mio come farò da sola?” Udii ripetergli sottovoce. Accarezzò una mano poi la sollevò dolcemente e pian piano l’accostò al suo volto lasciandosi appena sfiorare per il timore di svegliarlo, lo osservò nuovamente con uno sguardo profondo che sembrava scrutare non solo il suo uomo, ma un tempo senza limiti, forse un tempo che percorreva a ritroso la loro vita e che in quel momento correva veloce in un violento futuro. Accompagnò leggera quella grande mano che non aveva più forze posandola delicatamente sul petto dell’uomo. Poi prese a mordersi nervosamente le labbra e uscì in fretta dalla stanza, la udì quasi a correre nel corridoio poi per un istante fui come spaventata da un tremendo silenzio. Lui continuava a dormire facendo ogni tanto dei piccoli sbuffi con la bocca, poi le sue labbra sembravano piegarsi come in una smorfia di dolore e restavano in quella posizione alcuni istanti. Quando la donna rientrò nella stanza i suoi occhi erano gonfi di pianto e arrossati, i nostri sguardi si incrociarono per un attimo. Avrei voluto dirle di quanto mi dispiaceva e che avrei desiderato fare qualcosa per poterla aiutare, ma il suo fare così riservato mi fece intuire che dovevo tenere tutto dentro di me così come lei in maniera molto discreta, riusciva a rendere riservato anche il suo grande dolore. L’ora delle visite agli ammalati stava terminando, si portò verso la finestra e: “Il libeccio è cessato”. Esclamò sottovoce, poi voltandosi verso di me: “Il libeccio quasi di colpo è cessato.” Non sapevo se sorriderle o se a quel punto avrei veramente dovuto dire qualcosa. Non me ne dette il tempo, appoggiò le braccia sulla spalliera del piccolo letto di ferro e guardandolo di nuovo con tutta la tenerezza che possedeva: “La vita è come il vento, talvolta si muove con un processo lieve e altre scatena con forza quasi irreale, poi cessa pia piano o improvvisamente, proprio come questo libeccio.” Uscii da quella stanza con una sensazione di dolore, una forte malinconia che sentivo crescere sempre più. “Quanta disperazione domani…..” Pensai. Quegli me li sentivo addosso, quello sguardo che per un attimo aveva incrociato il mio lo sentivo dentro di me. Il sole continuava a risplendere caldo. “Che strano….. solitamente gli avvenimenti tristi sono accompagnati dalla pioggia.” Forse quel grande amore era la causa anche di quel sole lucente, forse quel grande bene che quasi stordiva era il vero motivo o forse, il sole non era poi così caldo come a me sembrava. “Forse, forse….” E solo allora mi accorsi che stavo piangendo. Capinera
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