Renato Attolini
Senatore
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Inserito - 14/11/2007 : 21:09:06
…..si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera”, le note del disco echeggiavano soffuse nella stanza. Il brano, scritto da un certo Francesco Guccini cantautore emiliano più di mezzo secolo prima, era uno dei preferiti dell’uomo che seduto sulla poltrona ascoltava immerso nei suoi pensieri. Come se fosse stato evocato dalla musica, gli si materializzò accanto un fanciullo allegro e vivace che con la sua voce argentina lo distolse dalle sue meditazioni. “Nonno, nonno, mi racconti ancora quella favola che mi piace tanto?” “Ancora quella?” gli rispose il vecchio con un tono falsamente burbero che contrastava con lo sguardo dei suoi occhi carichi di adorazione e affetto per il nipotino. “Dai nonno ti prego! Ancora una volta!” supplicò il bambino. “E va bene” fece finta di rassegnarsi l’uomo. In realtà gli piaceva molto raccontare quella favola. “Siediti qui vicino a me e ascolta. C’era una volta tanti anni fa un gioco bellissimo che appassionava milioni di persone. La gente, credimi, diventava matta, ne parlava tutta la settimana e poi alla domenica, giorno in cui per la maggior parte si disputavano le gare, chiamate partite, era tutta presa dall’eccitazione. C’era chi restava in casa incollato alla televisione, chi era in giro e ascoltava per radio o chi si recava in queste grandi arene, chiamate stadi, per seguirlo dal vivo. Questo gioco, pensa, aveva delle origini antichissime, si dice che i primi incontri furono disputati nella Firenze del ‘500, qualcuno addirittura afferma che furono i cinesi un millennio prima ad inventarlo, sta di fatto però, che fu dalla fine dell’800 che cominciò a svilupparsi in grande stile.” “Ma come si giocava?” interruppe il bambino che stava ascoltando rapito. Il nonno si aspettava quella domanda, sorvolò sul fatto che il nipote già conosceva la risposta per avergliela data chissà quante volte e proseguì accondiscendente: “Su un grande campo d’erba ai cui due estremi era stata fissata una porta costituita da tre pali, due verticali conficcati nel terreno e uno orizzontale che li univa in alto e una rete messa dietro, si affrontavano due squadre composte da undici giocatori che si contendevano un pallone di cuoio. Scopo del gioco era farlo entrare con azioni più o meno manovrate nella porta avversaria: il punto conquistato si chiamava goal e la squadra che ne faceva di più vinceva la partita. L’entusiasmo era sempre alle stelle e fra il pubblico sempre più numeroso che assisteva c’era chi parteggiava per una squadra piuttosto che per quell’altra, faceva in pratica del tifo, per cui costoro vennero chiamati tifosi”. “E poi cosa successe?” chiese il bambino sempre più attento. “All’inizio niente di particolare, i tifosi dell’una e dell’altra squadra andavano insieme allo stadio, mischiati fra loro, come se nulla fosse…” “Beh, è normale, no?” interruppe il fanciullo. L’uomo sorrise per tanta innocenza e fece per proseguire ma in quel mentre le parole della canzone che amava tanto si fecero largo nella sua mente: “…...il giorno cadeva, il vecchio parlava e piano piangeva, con l’anima assente e gli occhi bagnati seguiva il ricordo di miti passati…”. Si fermò nel raccontare e il suo pensiero volò indietro di parecchio tempo, alla sua giovinezza passata e come nella canzone gli occhi gli si inumidirono. “Nonno, nonno, vai avanti.” La voce del bambino lo riportò bruscamente alla realtà. Si fece forza e continuò: “Come ti dicevo all’inizio filava tutto liscio. A dire il vero ogni tanto gli animi si surriscaldavano, volava pure qualche pugno ma tutto finiva lì. Anzi a partita terminata i contendenti magari andavano insieme al bar per finire di discutere e davanti a qualche birra, tutto si risolveva con grandi risate in allegria. Solo che poi quando tornavano a casa pesti e ubriachi prendevano il resto dalle mogli.” Il bambino ridacchiò portandosi le mani alla bocca. “Ma poi…” sospirò l’uomo “con l’andare dl tempo le cose cambiarono ed in peggio. Le scazzottate lasciarono il posto a delle vere e proprie risse sempre più cruente. Le forze dell’ordine dovettero intervenire sempre più spesso per fronteggiare gli scontri fra i tifosi più esagitati. Vennero coinvolte anche loro nelle battaglie che ormai scoppiavano ad ogni domenica e sempre più spesso qualcuno perdeva la vita, da una parte e dall’altra. Quando la situazione precipitò e si fece insostenibile, le autorità decisero che era giunto il momento di far smettere definitivamente quello che ormai non era più un gioco. E così è stato da quel momento, tanti anni fa.” “Il bimbo lì stette, lo sguardo era triste, gli occhi guardavano cose mai viste e poi disse al vecchio…”: “Nonno, ma perché gli uomini erano così cattivi?”.Nota a margine. La morte assurda di un povero ragazzo ucciso mentre dormiva sul sedile posteriore di un’auto a causa di un errore, di una fatalità o per dolo (in tutti i casi non cambia la tragicità dell’evento) è di per sé agghiacciante. C’è un’altra cosa che mi ha colpito profondamente: l’immagine ripresa più volte dai mezzi televisivi del viso impaurito di quel bambino che domenica si era recato allo stadio di Bergamo per una giornata di festa e osserva il finimondo che si sta scatenando. Mi ha riportato alla mente un’altra immagine, quella famosissima del bimbo con le mani alzate nel ghetto di Varsavia. Non si possono certo paragonare questi eventi ma pur con tutte le diversità e distinzioni la paura nel volto dei due fanciulli mi è sembrata uguale.
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