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 I DUE FRATELLI
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cuocoligure
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Inserito - 14/12/2007 :  23:16:25  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a cuocoligure

I DUE FRATELLI

Aveva sempre temuto che i due figli, "i suoi gioielli" come una volta amava scherzare, potessero, prima o poi, incontrarsi in quella casa dov'erano cresciuti.
Amelia era una donna di appena quarant'anni, ma ne mostrava almeno sessanta.
Era rimasta sola. Dei suoi tre uomini, di cui era stata tanto orgogliosa non c'era più nessuno e quella casa sembrava davvero vuota.
Aveva perso il marito in uno dei primi attacchi aerei su Genova, il 14 giugno. Il primo di guerra.
Il figlio Mino, di appena ventitré anni, era stato spedito ai confini con la Francia allo scoppio della guerra "lampo". Tornò a casa in convalescenza a seguito di ferite riportate in uno scontro, per poi essere assegnato definitivamente al distretto militare a Carignano, ed aderire, in seguito, perché la guerra "continuava" alle formazioni della Repubblica, dopo l'otto settembre.
Giovanni, per tutti Gianni, non ancora vent'anni, era rimasto con la mamma. Era l'intellettuale della famiglia. Licenza alle commerciali. Esame finale superato a pieni voti, un buon impiego presso la ditta "Parodi & Martini, import-esport" con sede nell’angiporto genovese.


Prima di quel tragico, almeno per lei, 10 giugno quando l'Italia si fermò per ascoltare il Duce alla radio per la dichiarazione di guerra, la sua era una famiglia veramente felice.
Poi la svolta.
La partenza del figlio Mino, per la guerra le aveva già creato non poca apprensione e disagio. Ne parlava continuamente col marito, anche a letto, dopo essersi lasciata andare al piacere che le esperte carezze del suo Ernesto le provocavano.
Ne parlò col marito solo per quattro giorni. Poi l'apprensione e il disagio lasciarono il posto al lutto, al pianto e disperazione, e talvolta, in seguito, a desideri repressi.

Ernesto aveva quattro anni più di lei. Quando s'erano sposati lei aveva appena diciassette anni, ventuno lui.
Avevano dovuto affrettare le nozze per via di quella sciagurata sera in cui si erano amati un po’ più delle altre volte.
Di lì a pochi mesi, furono in tre ad essere felici nella casa di stradone sant'Agostino, proprio di fronte al campanile di san Donato.
Tutte le mattine Ernesto scendeva le poche scale di casa e svoltava verso Giustiniani, dopo aver salutato Amelia alla finestra. In Via Giustiniani aveva il laboratorio di falegname, in pochi anni era diventato uno degli artigiani più richiesti della zona.
Era un papà tenero ed un marito meraviglioso. Sapeva cogliere tutte le attese della moglie, un rapporto mai logoro. Adesso, maturo, rappresentava per Amelia: tutto amore, comprensione, affetto, carnalità, si anche carnalità perché Amelia aveva il sangue caldo della Sicilia materna.
Le giornate nel laboratorio passavano in fretta. La presenza di Giacomo il primogenito, per tutti Mino, nella sua "beuttega" come definiva il laboratorio, contribuiva alla sua serenità. Mino sarebbe stato l'erede di quell'attività, che aveva saputo costruire giorno per giorno.

Quel tragico mattino del 14 giugno, quarantaquattro giorni dopo la dichiarazione di guerra, "…con proiettili di piccolo medio calibro..", come recitò il bollettino n° 4"… perirono: Tonietti Ernesto falegname di anni 40 coniugato con due figli, Bertoglio Caterina sigaraia di anni 42 nubile, Pellerano Pasquale tornitore di anni 36 coniugato", inizia il lungo calvario di Amelia.
Attorno a lei ed ai figli si stringono tutti, anche le autorità: il federale, il podestà, il segretario del partito, sono i primi e non previsti morti. Poi purtroppo….
Dopo alcuni giorni di sconcerto e di dolore profondo, i ragazzi ritornarono quasi alla vita normale. Gianni sempre nella ditta "Parodi e Martini", mentre a Mino fu concesso, quale orfano di guerra, di terminare il suo servizio militare solo di mattino e dedicarsi di pomeriggio all'attività paterna, interrotta bruscamente.


Passarono un paio d'anni, in cui gli stenti e le bombe furono sempre più frequenti. Mino seguiva con grande amor patrio tutte le vicende della guerra, minimizzando, come faceva l'informazione di regime, sulle nubi sempre più buie che si addensavano all'orizzonte. Gianni invece, sapeva l'inglese, riusciva ad avere informazioni più veritiere ed era quindi più scettico.
La morte del padre, poi, aveva scavato un profondo solco di avversione verso le "istituzioni" che avevano creato il conflitto, anche le compagnie che frequentava, non molto raccomandabili secondo i più, contribuivano ad allontanarlo dal fratello. Era stato visto più volte con persone sospette, persino con socialisti. Questo bastava perché l'OVRA lo tenesse particolarmente d'occhio.
Anche Gianni si accorse di essere seguito ed osservato dai delatori. Cominciò, così, a meditare di salire anche lui sui monti dove si stavano formando alcune brigate di fuorusciti contrari alla guerra ed al regime.
L'occasione gli fu data quando, in seguito ai continui bombardamenti sulla città, cominciò a serpeggiare un certo dissenso e malumore tra la gente, ed iniziarono le prime retate. Per sfuggire ad una di queste, Gianni si ritrovò, in una sera di giugno del '44, con un paio di amici, pronto a salire sulle colline.
Non fu facile arrivare fino all'Antola. Un lungo giro lo portò dapprima sopra Staglieno, poi lungo l'acquedotto nuovo su in Creto, ed ancora Montoggio, Valbrevenna, Nenno e finalmente all'Antola.
Avevano camminato l'intera notte, giunsero in prossimità delle case Musante verso l'alba. Le case, o meglio, quello che rimaneva delle case fumava ancora. Una squadra di nazisti era salita fin quassù in cerca di partigiani, avevano incendiato tutto e via.
Si era salvata sola la casa vecchia dei Musante, quella di pietra. I Musante sarebbero stati a lungo un punto di riferimento per i fuorusciti, fino alla fine della guerra.

Con le prime luce dell'alba, il profumo intenso, che avevano respirato, trovò la giustificazione nei prati bianchi di narcisi, che qui sono sempre tardivi.
Gianni, nonostante la razionalità lo rendesse schivo da ogni sentimentalismo, sollecitato da quell'afrore non poté evitare di ricordare le lunghe gite, di anni passati, per le "narcisate". Sempre occasioni di allegria e di lunghi preparativi per arrivare quassù. Le frittate con le cipolle, i ripieni, la ciambella con cui finiva il pranzo sull'erba, ed infine le lunghe rincorse dietro alle farfalle da bambino ed alle amiche da più grande.
Per un attimo, ma solo per un attimo, si era lasciato andare ai ricordi.
Attesero qualche minuto, prima di avvicinarsi ai Musante. Da questi ebbero le informazioni necessarie per evitare i tedeschi, il cui comando era a Savignone, e la milizia, che aveva un distaccamento alle case del Romano. Avrebbero dovuto tenersi verso san Fermo per poi piegare a sud.

Furono giorni, mesi, anni lunghi e duri, quelli quassù.
Solo un paio di volte, Gianni riuscì far visita alla mamma.
Non era facile eludere tutti i controlli e coprire quella distanza piena di rischi. Nelle poche volte in cui era sceso in città, non aveva mai incontrato il fratello.
L'ultima volta, nel settembre, seppe dalla mamma che Mino aveva lasciato tutto per aderire alle milizie della Repubblica, bisognava riscattare l'onore della Patria. Per Mino la Patria era sempre con la P maiuscola, e le ultime vicende internazionali ne avevano infangato il sacro nome.
Il suo era stato uno slancio emotivo e patriottico, esaltato ancor più dal sapersi figlio di un "primo martire di guerra".
Aveva sempre nutrito cieca fiducia nelle istituzioni e nel regime. L'armistizio firmato in modo così indegno era bastato ad accendere l'idea del riscatto nel suo cuore semplice e generoso.

Solo una mamma può capire il cuore di Amelia. Una donna, già provata negli affetti coniugali poco più che trentenne e che, adesso, i figli. Uno contro l'altro, senza odiarsi, senza essere nemici.
Due ideali. Due ideali sinceri. Accorato, impetuoso, emotivo l'uno, logico, sofferto e razionale l'altro.
Nella sua semplicità, non capiva, l'Amelia.
Non le riusciva di capire perché i suoi due "gioielli", così buoni e così bravi, fossero uno contro l'altro.
Si, questo lo capiva. Capiva che un odio profondo può colpire due uomini, anche i più miti.
Miti come i suoi gioielli.


Ebbe fortuna, alla fine, l'Amelia.
Mino dopo un processo, fu assolto e riprese "beuttega" ancora oggi è là tra trucioli e polvere.
Gianni ha fatto politica.

Adesso Amelia fa la nonna di cinque nipoti, tre di Mino e due di Gianni.


cuocoligure

   
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