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 LA PRIMA VOLTA DEL "BENDA"
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cuocoligure
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Inserito - 16/02/2008 :  19:46:07  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a cuocoligure

LA PRIMA VOLTA DEL “BENDA”


Il colpo era stato molto forte e svegliò tutti di soprassalto. Il primo ad uscire all’aperto fu il “Benda” che dormiva nel suo giaciglio a ridosso della porta della sagrestia. Si precipitarono fuori anche “Mike” e “Briga” senza rendersi conto di quanto poteva esser accaduto. L’unico rimasto all’interno della chiesetta era “Bretella”, che più degli altri aveva risentito dello sforzo del giorno prima.
Erano partiti da Rocchetta, di corsa verso Pobbio, per evitare la pattuglia di mongoli, i fuorusciti russi aggregati ai nazisti, che stavano terrorizzando la vallata.
La loro non era una fuga, ma un prudenziale ripiegamento per impedire che il compagno appena affidato alle cure del dottor Tosonotti venisse scoperto. Il dottor Tosonotti, noto chirurgo genovese, dirigeva da molti mesi il piccolo ospedale di Rocchetta Ligure.

Quell’incontro fortuito con i tedeschi, il giorno prima, era stato un brutto affare per Roberto che adesso giaceva grave in ospedale.
Sembrava un normale controllo dei documenti come sempre, quando passava col suo mulo davanti al solito posto di blocco. Stavolta, però, si trattava di un rastrellamento indiscriminato e a nulla valsero le ragioni che tentava di farsi. Gli fu intimato di mettersi assieme agli altri sette od otto malcapitati seduti lungo la scarpata e fermati prima di lui.
Nel gruppetto si creò subito un cenno d’intesa pur senza proferire alcuna parola. Era chiaro che aspettavano solo il momento propizio per sorprendere i tedeschi e darsi alla fuga.
Ed il momento arrivò sul mezzogiorno, quando due delle tre sentinelle, che piantonavano a distanza i fermati, rientrarono nel posto di blocco. All’improvviso scattarono tutti assieme verso il bosco cogliendo di sorpresa l'unica sentinella rimasta; passarono alcuni secondi prima che questi imbroccasse il mitra e facesse fuoco sul manipolo che si stava dileguando tra i cespugli. I colpi sparati alla cieca colpirono, purtroppo, un uomo di circa quarant’anni, di cui nessuno non seppe più nulla, e Roberto, che nonostante una pallottola lo avesse colpito alla schiena, ebbe la forza di restare con gli altri e scomparire nella boscaglia.
Tra loro, gente del posto e che conosceva bene i movimenti dei partigiani, fu trovata subito l’intesa e la decisione di unirsi ad un nucleo di combattenti operanti nella zona del monte Ebro.
Si lasciarono alle spalle le poche case di Figino e facendo un ampio giro sotto l’abitato di Pobbio continuarono a salire. Per Roberto l’intero percorso era stato un autentico calvario. Il sangue usciva continuamente, nonostante gli sforzi dei compagni che cercavano di tamponare alla meglio il buco che si trovava poco al di sopra della cintura ed a turno cercavano di sostenerlo ed incitarlo.
Cominciavano anche, complice il momentaneo scampato pericolo, a scambiarsi le prime reciproche confidenze.
Giunsero, a sera quasi fatta, in prossimità di una casupola che sapevano occupata dai partigiani. Gianni, il più anziano, fece cenno agli altri di aspettare e mentre si avvicinava emise un piccolo fischio, seguito a breve da un altro sibilo appena percepito dai compagni rimasti nascosti dietro gli alberi di nocciolo.
Subito apparvero due uomini entrambi armati, che già da un pezzo seguivano le loro mosse. Fecero cenno a Gianni di venire avanti a mani alzate. Questi chiamò ad alta voce i compagni che attendevano nascosti e che a mani in alto vennero avanti. Dalla casa uscirono intanto alcuni partigiani richiamati dal vociare esterno. Dopo brevi presentazioni ed il resoconto di quanto accaduto, l’attenzione di tutti andò a Roberto che si era lasciato cadere bocconi per terra.
Qualcuno chiamò a gran voce il “Benda”, era giunto il momento di mettere a frutto la sua scienza. “Benda” era uno studente al primo anno di medicina che prestava servizio di leva come infermiere all’ospedale di Sezzadio. Aveva scelto la montagna per evitare uno dei tanti rastrellamenti tedeschi. Il nome di battaglia “Benda” glielo avevano affibbiato perché la benda era l’unico strumento chirurgico che sapeva maneggiare con una certa disinvoltura e senza eccessivi danni. Adesso era venuto il suo momento. Era l’unico che aveva già visto altre volte dei feriti, ed era anche l’unico che aspettava una sua prima vera azione.

“Benda” arrivò da dietro la casa e, scendendo la scarpata, sembrava ancora più alto del suo metro e ottanta. Era sempre stato smilzo e i due mesi di montagna lo avevano ancora più smagrito. Si avvicinò, guardò e pensò che non avrebbe potuto far molto. Si limitò a slacciare i pantaloni di Roberto e a scoprire la ferita che adesso non perdeva più sangue, ma che era circondata da una vasta chiazza giallognola tendente al violaceo.
Tirò fuori dello zaino alcune garze ed una boccetta rossastra di disinfettante. Si rese conto, dopo aver pulito al meglio la ferita, che occorreva ben altro; la pallottola era penetrata profonda ed occorreva quindi un intervento chirurgico.
Dopo un breve conciliabolo fu deciso di portare, senza indugi, il ferito al presidio medico di Rocchetta Ligure.
Per il trasporto la scelta cadde sul “Bretella” che oltre ad essere il più robusto, era di Aie di Còsola e, quindi, conosceva molto bene ogni sentiero; sul “Benda” che avrebbe avuto così la sua prima opportunità operativa e su “Mike” e “Briga” che avevano riposato già da un paio di giorni. Si decise di partire subito per rendere più tempestivo l’intervento e sfruttare la complicità del buio evitando così cattivi incontri.
Dopo aver fatto bere del brodo caldo a Roberto ed aver allestito al meglio una barella, i cinque lasciarono la postazione e si avviarono per la lunga discesa, mentre il gruppetto dei nuovi arrivati veniva scortato verso il comando della Brigata Garibaldi che operava nella zona.
Il sentiero per lungo tratto pianeggiante, prima di penetrare nel bosco, consentiva il procedere spedito. “Bretella” portava la barella con “Benda”, mentre “Mike” e “Briga” seguivano con le armi del gruppo.
Camminavano in silenzio, per prudenza e perché ognuno era assorto nei propri pensieri.

“Bretella”, si era unito ai partigiani che operavano nei pressi di Garbagna alcuni mesi prima, nella vita civile faceva il boscaiolo. Dall’età di nove anni, aveva sempre seguito il padre e gli zii in quest’attività, ora di anni n'aveva quasi quaranta. Mentre sceglieva il percorso più adatto al trasporto di un malato, pensava ai suoi boschi che in questi ultimi tempi erano stati abbandonati e spesso incendiati; sperava tanto che questa brutta guerra finisse presto per tornar di nuovo ad occuparsi dei suoi castagni.

Di “Mike” si sapeva poco o nulla. Era arrivato da non molto risalendo il Trebbia. Aveva partecipato ad alcune azioni in pianura con gli americani, paracadutati nottetempo nei pressi del Po, e forse per questo il suo nome era americanizzato.

“Briga”, il nome se l’era conquistato sul campo per via del suo carattere un po’ insofferente e pronto ad attaccar briga con tutti. Nella formazione aveva saputo, però, trovare un equilibrio ed una generosità senza pari.


Mentre scendevano e i loro pensieri correvano lontano, la strada si fece più accidentata e, mal si coordinavano il passo di chi precedeva con quello di chi seguiva alla guida della barella, tutto ciò doveva provocare delle fitte lancinanti a Roberto che, oltre ai lamenti dava sempre più segni di delirio.
Si fermarono un momento adagiando con cautela la barella per terra.
“Mike” e “Briga” rimasero in piedi, mentre “Bretella” si lasciò andare sull’erba allungando le gambe. Il “Benda” prese la borraccia e fece cadere qualche goccia di acqua sulle labbra di Roberto, subito dopo bagnò un fazzoletto e lo pose delicatamente sulla fronte del ferito che ormai scottava tantissimo.
Una breve sosta e ripartirono dopo lo scambio dei ruoli. Al “Bretella” ed al “Benda” toccarono le armi, agli altri la barella. Dopo alcuni minuti “Mike”, seguendo il “Bretella” che precedeva il gruppo, scivolò trascinando nella caduta “Briga” e Roberto, che continuava a delirare. A questo punto “Bretella” decise, data la natura scoscesa del terreno, che sarebbe stato meglio caricarsi sulle spalle il ferito per procedere più speditamente, “Benda” piegò la barella e se la mise sotto il braccio, mentre gli altri raccolsero oltre le armi anche lo zaino di “Bretella”.
Camminarono in fretta e sempre più immersi nel silenzio.
Il bosco dava continui segni di vita: una bestia fuggiva spaventata, il lugubre canto di un uccello notturno e, di tanto in tanto, un riccio, una castagna o una galla staccandosi dall’albero provocavano sordi crepitii tra le foglie secche. Camminarono quasi tutta la notte.
Al chiarore del primo mattino giunsero sulla provinciale, subito dopo il bivio di Albera, mancava ormai poco.
Percorsero l’ultimo tratto di strada con molta circospezione.
In vista delle case di Rocchetta si fermarono al riparo sotto il ciglio della strada. “Briga” appoggiando le armi per terra fece cenno di attendere ed andò in avanscoperta. Attraversò la piazza e bussò al portone campeggiato dalla grande croce rossa; mentre aspettava, in quei pochi minuti che gli sembrarono un’eternità, ebbe modo di notare che il sole tingeva di rosso le foglie più alte dei bellissimi tigli al centro della piazza.
Venne ad aprire un infermiere dall’aria ancora assonnata con cui “Briga” scambiò qualche frase, ritornò dai compagni e tutti assieme scomparvero, in un attimo, dietro il portone che si richiuse alle loro spalle.
Lasciato il ferito nelle mani più esperte del personale sanitario, entrarono in cucina dove qualcuno preparava per loro il caffè. Questa volta si trattava di caffè vero.

Arrivò il dottor Tosonotti mentre fumavano una sigaretta, dopo i cordiali ma brevi convenevoli, questi consigliò ai quattro di allontanarsi in fretta giacché da alcuni giorni i mongoli nazisti stavano facendo razzia e scempio di tutto, terrorizzando l’intero paese ed il giorno prima, inoltre, alcuni civili fermati avevano beffato un posto di blocco tedesco.
Così, nel giro di pochi minuti, si rimisero in marcia sulla via del ritorno.

Superata Albera, sentirono in lontananza un cupo rumore di camion, abbandonarono in fretta la strada e si nascosero dietro un dosso da dove scorsero una diecina di camion tedeschi, alcuni coperti da teloni, pieni di soldati, che risalivano la vallata verso Cabella.
Dalla velocità degli automezzi e dalla concitazione a bordo, si capiva che era in corso un rastrellamento massiccio. Decisero di risalire verso Pobbio e far perdere al più presto le proprie tracce.
Col sole ancora basso, mentre riprendevano a salire, un luccichio li tradì. Si sentirono, infatti, improvvisamente sfiorati dal crepitio di una raffica di mitra. Erano stati avvistati. L’autocolonna si fermò, ma essi senza neanche voltarsi si diedero a correre su per la salita e, sempre a passo di corsa, guadagnarono una buona distanza di sicurezza. Si fermarono un attimo per osservare, non visti, quanto avveniva nella strada sottostante, che ora appariva piccola e lontana.
I soldati balzati giù dai camion erano nell’attesa di ulteriori ordini che non arrivarono. Quando i tedeschi ripartirono verso Cabella, anche loro decisero di proseguire.

Camminarono per oltre quattro ore. Arrivarono alla cappella della Vergine del Bosco che il sole era già oltre mezzogiorno, qui decisero di riposare. Mangiarono le poche provviste dello zaino, raccolsero della paglia per farsi un giaciglio e si addormentarono nella cappella sotto lo sguardo benevolo della Madonna.
Dormirono fino all’indomani, quando il violento colpo li svegliò di soprassalto.
Restarono qualche tempo in vigile attesa, solo dopo una buona mezz’ora decisero di rientrare al reparto.

Seppero in seguito che si era trattato dello scoppio di una mina a qualche chilometro dalla cappella che li aveva ospitati.

Per il “Benda”, che pensava adesso a Roberto, si era trattato della sua prima azione, altre ne sarebbero seguite più impegnative e più pericolose. Salendo era rimasto ultimo della piccola fila, si girò verso la cappella di cui s’intravedeva ormai solo il tetto e rivolse un pensiero a Maria, come gli aveva insegnato a fare da piccolo sua madre.

Molto tempo dopo seppero che Roberto se l’era cavata; operato il giorno stesso, ci aveva rimesso un rene.

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