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 RI - parte prima
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Alessio
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Inserito - 16/03/2008 :  11:04:49  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Alessio

RI- Parte prima

Giorni fottuti quelli.
Notti appiccicaticce.
Insonnia, gocce di valeriana in tintura madre.
Camminare senza meta tra le macchine appannate del centro storico.
Libido a zero.
Rabbia che squarcia l’essenza.
Caffeina nelle vene, traffico, martelli pneumatici che squarciano le viscere della terra, parole affettuose, pacche sulla spalla e quei “vedrai passerà”…
Luca se ne stava in silenzio, nel suo letto, ad aspettare che i secondi scandissero la drammatica distanza che lo separava da Marco.
Poche parole pronunciate con rabbia e poi l’epilogo.
Due anni buttati nel cesso.
Almeno ora, quando sembra improbabile trovare il senso delle esperienze.
E Luca quella vocina stridula in un angolo remoto della sua essenza l’aveva sentita, avvertita, in modo assordante, contorcente.
Un impulso di vita lo stava guidando verso nuovi orizzonti e niente poteva contrastare questa forza che sembrava prendere il sopravvento ed imporsi sempre più insistentemente.
Quella mattina di febbraio Luca scoprì la malattia.
Una telefonata chiara, asettica, comunicava l’esito di quel prelievo.
La diagnosi era chiara, nero su bianco.
Luca provò una profonda tenerezza per sé stesso.
La paura non ebbe il sopravvento.
Negli anni Luca aveva conquistato la capacità di prendersi cura di sé e non solo degli altri, che poi forse non avevano nemmeno bisogno di lui.
Ma quella forma di amore oblativo non lo aveva ancora abbandonato.
Giulia suonò il campanello di casa Moranti e Luca visibilmente affaticato uscì da quel cancello, si guardò intorno come se volesse portare quell’istantanea nel suo cuore, come se non potesse più ritornare in quella via dove era cresciuto e diventato ormai uomo, come se quell’immagine potesse nei momenti bui ricordargli che aveva delle radici e un senso di appartenenza.
L’attesa al pronto soccorso fu estenuante.
Tre lunghe ore di bollini rossi.
Visi smunti e divise bianche, i parenti cacciati nelle sale d’aspetto, e quell’odore inconfondibile di detergente.
Luca venne condotto nei sotterranei dove grossi tubi portavano rifornimento al RI.
Isolato l’RI.
Isolato per ovvie ragioni di sicurezza e forse perché alcune malattie sono moralmente inaccettabili. Da nascondere.
Poco importa come sia avvenuto il contagio.
Luca era cosciente di questo pregiudizio ma non temeva quelle persone con il dito puntato.
Di quelle il mondo sembra non poterne fare a meno.
L’ausiliario chiamò l’ascensore e quella grande porta scorrevole simile ad una cella frigorifera si chiuse alle sue spalle.
Sguardi insistenti in quell’ascensore, sguardi che trapassano l’intimità.
Volgi lo sguardo altrove, leggi il nome del costruttore dell’ascensore, le norme di sicurezza pur di non incrociare gli occhi di chi condivide con te i pochi metri quadri di quell’angusto marchingenio.
Luca si ricordò la prima volta che vide Marco nell’ascensore dei poliambulatori dove lavorava.
Marco lo fissava, sorrideva divertito del suo palese imbarazzo, poi una volta arrivato al piano si voltò e lo invitò a Monaco per un fine settimana.
Fu così che la loro storia cominciò e proseguì.
Una storia d’amore la loro, culminata in tragedia.
Luca non voleva più saperne di Marco.
Aveva vissuto due settimane nella freddezza più totale, senza una carezza, un bacio, un abbraccio.
Sembrava solo che Marco aspettasse l’occasione buona per attaccarlo.
L’ultimo viaggio in Germania era stata l’apoteosi della freddezza.
Com’è triste Alexander platz con il gelo nel cuore.
Com’è triste camminare nel silenzio quando dentro di te tutto sembra girare vorticosamente.
Luca aveva pensato che per Marco fosse un periodo di stanchezza momentanea.
Forse il troppo lavoro, i continui viaggi d’affari, la monotonia del posto in cui si trovava a passare la settimana lavorativa.
Quel pomeriggio Marco aveva lavorato a letto.
Aveva messo gli occhiali da vista, adagiato i cuscini di cotone al muro per avere una buona posizione per la schiena.
Poi si diresse verso il bar.
“preferisco lavorare di là” aveva detto.
Di Luca nemmeno l’ombra.
Lui restò lì, fisso sui suoi pensieri, con l’i pod nelle orecchie ad ascoltare quell’album dei Baustelle.
Tornati in Italia ci fu un bacio all’odore di plastica e Luca si rese conto che quello sarebbe stato l’ultimo bacio.
Un bacio freddo nel piazzale dell’aeroporto mentre gli sguardi della gente si facevano insistenti.
I giorni a seguire furono difficili.
Luca stentava a credere alle sue sensazioni.
Marco era reticente.
Fu così che quel mercoledì sera dopo la pizza con gli amici Luca chiamò Marco ed ebbe finalmente il coraggio di chiedere cosa non andasse, se per caso qualcosa era cambiato nel loro rapporto, se qualcosa…
Marco infastidito rispose che era da stupidi non accorgersi della freddezza di un uomo.
“sono due mesi che non ti desidero più, te ne sarai accorto... Non conosco i miei sentimenti. Non chiedermi niente. Magari quando torno da Parigi ne parliamo.”.
Luca ebbe il coraggio di proferire parola.
Non rincontrò mai più Marco.
Solo una telefonata nella quale Marco spiegava razionalmente i motivi che l’avevano spinto a pensare ad una possibile separazione.
Luca non voleva briciole.
Ne aveva fin troppo delle briciole.
Ne aveva fin troppo di un uomo che si gira dall’altra parte senza manifestare il ben che minimo interesse o desiderio.
Ne aveva abbastanza di un uomo che lo trattava come un fidanzato e non come un maschio.
Un uomo, un soggetto erotico.
E quei fottuti “devi essere più dolce e più gentile”.
Il vaso era orami traboccato.
Luca era si cambiato.
Il docile cagnolino finalmente aveva trovato la volontà di ascoltarsi, di gridare no ad una relazione che privilegiava solo gli interessi di Marco, della sua famiglia, dei suoi amici e di quei maledetti aperitivi tra gente del cacchio che nemmeno si conosce.
Così era finita tra lacrime e pacche sulle spalle.
E tutti gli amici a dire “si vedeva che non eri felice”.
Luca l’aveva sempre saputo ma riconosceva la paura della solitudine e dell’abbandono.
Poi la malattia.
Passeggera e risolutiva.
Comunque malattia.
Un trillo riportò Luca alla realtà.
Le porte dell’ascensore si aprirono e immediatamente davanti a Giulia li attendeva un dottore dal camice bianco.
“Eccoti arrivato Luca. Ho deciso di ricoverarti per tenere sotto controllo la tua infezione. Non ti devi preoccupare. Si risolverà tutto per il meglio. E tra due settimane potrai tornare alla tua vita di sempre. Ora ho bisogno di sapere qualcosa di te. Accomodati nel mio studio e se la tua amica vuole essere presente può assistere al nostro colloquio. Cosa è successo Luca ?” chiese il dottore.
Lacrime. Grandi lacrime. Copiose lacrime solcarono il suo viso.
Luca non aveva idea di come fosse successo. In quel periodo il suo corpo sembrava averlo tradito, sembrava averlo abbandonato.
Da molti giorni conviveva con un corpo stanco e con un fastidioso senso di inquietudine.
Bastava la ben che minima stupidaggine per creargli frustrazione.
Non riusciva a stare sveglio e verso le otto e mezza di sera crollava come un sasso.
Da molto tempo non portava a temine nessun compito, la giornata lavorativa bastava a farlo crollare.
Non c’era più spazio per nulla.
La malattia si era impossessata del suo corpo.
Ed ora dettava legge.
Convivere con un demone non era stato facile, un demone che enfatizza ed alimenta i pensieri più angoscianti, che trasforma in paranoia tutto ciò che è riflessione.
Strisciare per vivere è umiliante, sopravvivere ancora peggio.
Guardarsi allo specchio e non riconoscersi ormai più.
Guardare da una finestra la primavera e vedere sole nuvole colme di pioggia.
Un epilogo infelice chiuse il mese di febbraio.
Un epilogo drammatico dal quale probabilmente Luca non si sarebbe mai più ripreso.
Troppe incombenze su di sé.
Luca guardò il dottore e con l’intensità che appartiene solo al canto di un cigno che sta per passare oltre, spiegò cosa fosse successo.
Luca era preoccupato per Marco, per la sua salute.
Ormai da tempo non avevano avuto rapporti sessuali ma una piccola percentuale di contrarre la malattia c’era.
Il medico lo rassicurò, lo strinse a sé in un abbraccio riparatore, empatico, un abbraccio che curava.
“Ti accompagno nella tua stanza Luca, cerca di dormire bene così domani possiamo parlare un po’ di te”. Luca guardò quel dottore con estrema gratitudine.
Luca, quello forte, quello che sistemava tutta la sua settimana per far combaciare i suoi impegni con quelli di Marco si era arreso.
Luca quello disponibile non aveva più energie nemmeno per se stesso.
Di lui rimanevano solo brandelli di vita sparsi qui e là.
Macerie dopo che delle parole avevano raso al suolo tutto quello che di importante lo legava a Marco.
“Lasciati andare Luca, percepisci il tuo dolore, starai meglio vedrai” ripetè quel dottore.
La stanza da letto era molto spaziosa e luminosa.
Una televisione a muro, un bagno con doccia ed una vetrata che dava sulla città e sulle sue luci sfavillanti.
Emily se ne stava sdraiato su un fianco.
L’ambiente profumava di fiori.
“E’ un’essenza pregiata questa, un’essenza che si compra solo nelle migliori boutique, è molto costosa ma rende, è rara e solo in pochi la possediamo.” disse Emily.
“Capisco” rispose Luca.
“ Qui si sopravvive, fa tutto schifo ed io sto impazzendo. Sono ricoverato da venticinque giorni tra tossici, battone e vecchi che stanno crepando. Si mangia da schifo e il personale fatica a parlarmi. Ho fatto dei casini, ho alzato la voce ed eccomi qui in punizione. Ma che caspita ho fatto per meritarmi questo supplizio ?” disse Emily.
Luca pensò che la convivenza con quel tale sarebbe stata realmente difficile.
E se avesse avuto ragione ? se nel RI tutti fossero della sua stessa pasta ?
Luca si ricordò delle serate passate tra le braccia di Marco ed ebbe come un conato di vomito quando realizzò di essere in ospedale con una malattia nelle vene.
Disfò la valigia, ripose le cose nell’armadio, si allontanò dalla stanza nella ricerca di Giulia che stava parlando con il medico.
Sorrise. Girò le spalle e se ne andò in quel letto così poco familiare.
Non fece fatica ad addormentarsi.

(dedico questo lavoro a Luca, Giulia, Piè, Elena, Domenico, Maurizio G e a tutte le persone dell'RI. Vi voglio bene).

   
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