L'URLO DEL SILENZIO
Mia cognata è una donna decisa, risoluta, volitiva e ha una passione per il canto davvero speciale, si esibisce in concerti con un repertorio jazz e soul molto impegnato. Ha una gran considerazione per la creatività e per una vita salutista all'insegna del dinamismo e del movimento, si concede volentieri passeggiate, corse in bicicletta, rigorosamente in mezzo alla campagna dove l'aria è pura e cemento e asfalto non sono ancora riusciti a prevalere.
In un tardo pomeriggio di inzio aprile, finito di lavorare, mi sono cambiato e ho preso la bicicletta, avevo l'obiettivo di cercare e raccogliere delle gemme di luppolo, nella nostra verde campagna friulana, che noi chiamiamo "vidisoni", buoni per frittate, risotti, insalate fantasia. Il sole era ancora caldo e l'esplosione di tarassachi, di margherite, di primule a chiazzare fazzoletti di campagna e fossi, davano una carica di ottimismo e lenivano le frenesie che la nostra società ci impone.
Chiuso il mio gilet blù sul collo, ho pedalato con lena, lasciandomi il centro del paese alle spalle e mi sono insinuato nel Venchieredo, cantato da Ippolito Nievo nel suo "Confessioni di un Italiano", paradiso bucolico, lontano dalla modernità. I campi sfilavano arati e polverosi, ricamati dai fossi e dalle stradine punteggiate da fresca erba, da gialli denti di leone, da timide violette o da oasi di primule allegre, il dondolio della bicicletta sulle buche della stradina sterrata mi facevano dolere il sedere, fu allora che decisi che ero arrivato, lungo il fiumiciattolo che scorreva lento e candido come il sangue d'una natura ancora padrona del suo destino.
Sceso, notai subito che i fossi erano già stati razziati da raccoglitori puntuali,le foglie secche dell'autunno e i rami morti, facevano un morbido letto organico dove crescevano senza ritegno i germogli di luppolo, ma ne rimanevano ancora parecchi trascurati e non raccolti.
Ero solo, immerso nel silenzio, disteso dal canto sottile di qualche passero, dal fuggi fuggi di lucertole asociali, dallo sciaquio felpato del rio, dal sottile vento che zigzagava tra le canne e i rami degli alberi risvegliati dalla primavera. Mi godevo un raro momento di estasi, mentre il sole scendeva all'orizzonte con paziente tolleranza quasi stesse ad aspettare che finissi il mio lavoro, raccoglievo i germogli cosi belli e vitali, bagnandomi le dita di linfa fresca e abbondante quando in lontananza una flebile musica mi rimbalzò all'orecchio.
Mi alzai, guardai intorno, ma non c'era nessuno per campi e campi, scrutai la strada principale ma non si vedeva anima viva, avanzai tra un pioppo e un platano, superai un tronco di gelso caduto a terra e di colpo una voce acuta mi raggiunse.
Una serie di solfeggi strillati, dal tono conosciuto, poi alcuni spezzoni di repertorio jazz, mi allertarono, ecco arriva nella strada bianca principale una bicicletta ben lanciata in velocità, con una donna che canta a tutta voce, sprigionando la sua energia, lasciando al suo equilibrio inibitorio di liberare paure, frustazioni, sconfitte.
Ora era alla mia altezza e l'ho riconosciuta !
E' mia cognata che pedala, che canta, che travolge in un boato la natura ! La chiamo sempre più forte, ma lei deve avere un auricolare che le impedisce di sentirmi e di sentirsi, la vedo sparire oltre il fiume ma sento ancora gli acuti sonori, poi l'uragano lascia la scena e il silenzio rifluisce impetuoso come l'onda nella risacca.
Sorrido divertito e stupito dalla sua fantastica grinta, mi sorprendo di aver riempito il sacchetto di germogli freschi e verdi di vidisoni, mi ricreo un attimo di pathos con la natura ma ormai l'incanto sembra rotto come un delicato cristallo infranto.
Penso che in un paesino di 3000 abitanti, pur in mezzo alla campagna, la casistica di trovare mia cognata è stata una penellata dell'ironia, e queste cose fanno riflettere.
Il sole ormai all'estrema inclinazione, si stava eclissando, l'aria profumata di agresti essenze si inumidiva, risalii in bicicletta e seguii la scia misteriosa e esoterica che ancora vibrava di note sparse e mi inoltrai nella vegetazione tra i fiori di prugno e celesti fiorellini che ricamavano il tappeto di foraggi.
La magia dell'ora, la luce opaca e pastellata, le prime vaporose vampe della sera, rendevano il mio ritorno etereo e il tempo si allungava in un infinito brivido di pace.
zanin roberto