L’arché costituzionale
Davanti allo specchio, Claudia stava riflettendo su una frase appena letta su un saggio di filosofia e che recitava pressappoco così:
“L’archè costituzionale del prototipo individuale influisce sulla formazione della psiche umana e genera dei fenomeni endogeni che esulano dalla razionalità della mente.”
Quella frase l’aveva colpita e si lambiccava il cervello per capirne l’esatto significato, mentre si vestiva per recarsi al locale dove avrebbe festeggiato i suoi cinquant’anni. Osservava la propria immagine riflessa allo specchio ed era soddisfatta del suo sembiante e del raffinato scialle intonato all’abito elegantissimo. Si contemplava compiaciuta spazzolandosi i folti capelli castani. Il suo fisico, di media statura, era ancora asciutto, snello e tonico. Da qualche anno aveva cominciato ad aver bisogno degli occhiali per leggere e, con l'età, cominciava a riscontrare nel suo viso qualche tratto somatico e la profondità dello sguardo del padre, un uomo moralmente integro che aveva educato i figli con il proprio esempio e non con prediche o ceffoni. Quel padre autoritario e buono le aveva insegnato il rispetto delle regole, la disciplina, la fedeltà e la lealtà verso gli amici. Le aveva anche insegnato l’importanza della solidarietà e della carità.
La mamma era stata una donna mite e forte. L’aveva educata all'amore per la famiglia e all’onestà. La ricorda giovane, intenta a raccontarle spesso una fiaba o ad insegnare le arti della buona massaia alla sorella Rachele.
Si sta ancora guardando allo specchio e si rivede bambina a Palermo, dove era nata. La sua famiglia aveva abitato in una zona storica e in un quartiere noto per le sue catacombe. A proposito di quelle, ha dinanzi agli occhi l’immagine di una bara di vetro. Dentro vi era la salma perfettamente integra di una bambina dell’Ottocento. Si trovava nelle catacombe dei Cappucini a Palermo. Aveva provato una forte impressione a vedere quel visetto di defunta e quegli abitini antichi. Gli è parso di rivederla nella propria madre, sul letto di morte, esile e più piccola di sempre. Cara, piccola mamma! Dalla morte del padre non si era più ripresa e nessuno dei suoi tre figli, cui aveva dato tutta se stessa, aveva saputo sostituirlo.
Sua madre morì dopo un gravissimo incidente causatole da un bus di linea che l’aveva investita. Camminava soprappensiero quando accadde il disastro. Le capitava sovente. Ma no! Forse stava sognando il marito e lui decise di venire, sotto forma di bus, a prenderla e portarla via con sé.
Al ricordo dei suoi familiari, Claudia pensa: -Che bella famiglia la mia!- Rivede il fratello Manlio e Rachele, la sorella minore. Era sempre stato fiero del primo che, da pilota militare, era diventato comandante dell'Alitalia. Che fisico perfetto per fare quel lavoro, che coraggio, che destrezza! Il fratello le aveva procurato spesso delle preoccupazioni e l’aveva mandata in giro per ospedali:
- Pronto Claudia, corri che mi devi portare in ospedale.-
- Cosa! Che hai detto? Ch’è successo?-
- Mi sono tagliato un dito con la sega elettrica, ma per fortuna c'è l'ho in mano.-
- Cheeeee! La sega?-
- No il dito!-
- Ha! Ha! Haaaaa! Oh poveri noi! Arrivo subito!-
E via a clacson spiegato.
Nella mente di Claudia, come in un film, continuavano a scorrere tutte le immagini dei familiari. La sorella Rachele era stata una ragazza in miniatura, carina, ma appunto di una bellezza tascabile. Possedeva un viso scarno, con due occhi vellutati ed una bocca piccolina. Usava incorniciare quel volto con i capelli pettinati all'antica.
Un giorno Claudia tornando dal cinema, la incontrò con un giovane accompagnatore.
- Ciao, - disse Rachele- ti presento il mio boy friend.-
- Ma noi ci conosciamo!- aveva esclamato il ragazzo – Tu eri amica di un ragazzo che è stato con me nei Bersaglieri. Ricordi? -
- Ah sì! Certo, ricordo!-
Anselmo era poi divenuto il marito di Rachele.
Quando era bambina, l’appartamento in cui abitava a Palermo si trovava al secondo piano di un palazzo nel cui cortile aveva fatto amicizia con alcune ragazzine. Come dimenticare le partite di pallavolo fatte insieme a loro! Quel gioco era sempre stato il suo preferito. Che bei tempi!
Nelle strade della Palermo del dopoguerra transitavano pochissime auto, qualche filobus e qualche carrozza.
Si rivede in prima elementare. In quella classe aveva conosciuto Maria, colei che sarebbe divenuta sua amica per tutta la vita.
Era stato subito attratto dalla vivacità di quella bambina, dal suo particolare temperamento. Solo a pensare a lei, sente gli occhi inumidirsi. E si accorge di quanto sia vero che provare amicizia significhi amare, nutrire sentimenti di abnegazione.
La maestra, secondo i metodi di quei tempi, le aveva fatte sedere accanto poiché erano le più brave e potevano collaborare. Il loro profitto era eccellente e fra le due si era instaurata una rivalità proficua e propositiva.
Claudia, a distanza di quarant’anni, si sente ancora grata a quell’insegnante. Aveva saputo curare il corpo oltre alla mente delle sue allieve. Infatti le portava spesso a giocare nel giardino della scuola.
Ricorda, in quinta elementare, una rampogna che le aveva rivolto durante una partita di pallavolo: -Dovevi badare alla palla con determinazione. Coraggio e determinazione debbono guidarvi sempre nella vita.-
E’ bello ripensare al tempo passato, specie quando si hanno alle spalle una vita densa, una infanzia felice e dei ricordi tanto splendidi. E la memoria del passato ci appartiene, riaffiora, anche se sovente si porta dietro quel senso di malinconia che è una delle dolcezze della vita.
Come tutti i bambini amava giocare all’aria aperta. Giocava anche per strada e non c’erano pericoli a quei tempi. Si divertiva spensieratamente, e tutto nei giochi era rudimentale.
Quante volte aveva giocato con Maria a nascondino in un giardinetto recintato da un’alta siepe di canne! Sembravano due maschiacci!
Ma tutto finisce e tutto cambia. Il papà di Claudia aveva deciso di trasferirsi a Roma. Purtroppo aveva dovuto dire addio a tutto e a tutti. Ai primi amici, ai luoghi cari, ai giochi. Addio età felice nell’incanto della Conca d’oro. Quanto aveva pianto e sofferto nel dire addio a Maria! Ma la città eterna l’aveva accolta e affascinata subito con la sua imponenza e la sua frenesia. Aveva solleticato il suo amore per il bello ed aveva suscitato la sua curiosità artistica. Roma! Come non amare Roma! Era divenuta la sua città per sempre. Lì s’era laureata in Economia con il massimo dei voti.
Non è più davanti allo specchio, adesso guarda la sua Roma dalla finestra e prova un amore struggente, una passione che si appaga solo ammirando e fermando gli occhi sull’oggetto amato.
Dalla finestra gli giunge l’eco di una musica lontana. E’ una musica antica, bellissima, struggente. Prova a ricordarne le parole: “Dove andranno a finire i palloncini, quando sfuggono di mano ai bambini……”
Claudia guarda lontano e i suoi occhi sono velati di nostalgia. Anche a lei da piccola, era sfuggito di mano un palloncino e la sua delusione era stata enorme. Lo aveva visto volare in alto e perdersi tra le nuvole. Si era chiesta dove fosse andato a finire. Poi più tardi, sul giornale della banca dove era stata assunta, si era prodotta in uno dei suoi articoli migliori, scrivendo e immaginando dove potessero andare a finire tutti i palloncini del mondo.
Anche il ballo, oltre alla musica è stato uno dei vizi di Claudia. Sa di essere una provetta ballerina e tanti uomini hanno spesso fatto follie per danzare con lei. Ma quello le pestava i piedi, quell’altro era pesante come un masso, quell’altro ancora pareva un’anatra danzante. Suo marito Emanuele invece era bravissimo e volteggiava volentieri con lui.
Rammenta, a questo punto, una famosa gara di ballo cui parteciparono insieme. Bisognava eseguire vari tipi di balli e veniva assegnato un punteggio a tutte le coppie partecipanti. Vi erano danzatori molto bravi e disperavano di vincere. Invece le cose s’erano messe bene e si erano ritrovati in finale, anche perché Emanuele era un esperto ballerino e riusciva a eseguire passi e figure con grande destrezza. Claudia aveva notato che tra tutte, una sola coppia era davvero insuperabile. Si erano allora impegnati a metterla fuori combattimento. Mentre gareggiavano nel tango infatti, lei e il marito avevano eseguito varie figurazioni a stretto contatto con la coppia in questione. Poi avevano dimostrato di essere più bravi esibendosi in tanti complicati passi. Alla fine, Claudia ed Emanuele s’erano classificati primi e avevano vinto una coppa enorme!
Un'altra grande passione è stata viaggiare. Ricorda quanti paesi ha visitato. Conoscere il mondo l’ha sempre entusiasmata enormemente.
Una volta ha volato sui cieli della Cina con un aereo della Catai Pacific. Fu un volo allucinante! Quello più che un aereo, pareva una bagnarola volante e non lo dimenticherà mai più. Era vecchissimo e malandato, i sedili erano simili a quelli di un pullman, scricchiolavano e si muovevano. Aveva viaggiato dando le spalle alla rotta di volo in compagnia di suo fratello Manlio che, oltre che pilota, era un cuore allegro e aveva saputo incoraggiarla. Stavano visitando i principali siti turistici della Cina: Guilin, Xian, Shangai e da lì dovevano raggiungere Pechino. In aeroporto, dopo aver attraversato viali presi d’assalto dagli scarafaggi, furono imbarcati su un aereo che non si decideva a decollare per problemi tecnici. Mancava pure l’aria condizionata e Manlio, con aria faceta e scanzonata, spiegò a tutti che era meglio così in quanto il motore avrebbe avuto più potenza al momento del decollo.
Un altro vizio della cinquantenne è stato lo scrivere. E’ una grafomane recidiva e compiaciuta di prosa amena e giornalistica.
A questo punto ride, perché ripensa alle poesie che ha scritto da giovane allorché è stata travolta dalle tempeste ormonali dell’amore. E a quell’altra volta in cui aveva arrecato una specie di dispepsia ad un collega. Anzi lo aveva visto proprio sconvolto e stravolto. Scriveva per un giornaletto della banca e narrava aneddoti e facezie riguardanti i dipendenti. Quel suo collega era stato piantato dalla moglie, la quale gli aveva lasciato i figli e se n’era andata a vivere con il suo nuovo amore, che era un altro impiegato della medesima banca. Claudia aveva scoperto che lei non perdonava al marito di averla costretta ad abortire del quarto figlio. Tutto ciò lo aveva narrato con crudezza di particolari, seppure avesse omesso nomi e riferimenti a persone e fatti. Quando il collega in questione aveva letto la propria storia sul giornale, gli aveva telefonato in preda a una crisi isterica. Si era riconosciuto perfettamente nel racconto di Claudia e la cosa lo aveva fatto angosciare e angustiare.
Oltre allo scrivere, una grande soddisfazione l’ha colta dalla solidarietà, ovvero dal poter estorcere soldi ad amici e parenti per fini umanitari. Ha sempre creduto nella generosità della gente e ne ha più volte avuto la prova tangibile e la dimostrazione pratica. Tantissime persone hanno sempre risposto sollecitamente alle sue richieste di offerte per i bambini poveri. Non ha mai provato disagio o ritegno a chiedere soldi da devolvere a persone bisognose. Talora ha forse scoperto fastidio nell’espressione di qualcuno, quando ha chiesto quattrini per questo o quest’altro scopo benefico. Ma si è sforzata d’essere sfacciata e ha continuato a perseguitare la gente.
E’ ancora davanti alla finestra e vede in lontananza dei fuochi. Improvvisamente gli tornano alla mente altri fuochi della sua infanzia: quelli dell’Etna. Ricorda di aver amato quella enorme montagna incappucciata di bianco e sovrastata da un perenne pennacchio di fumo. Quante volte da bambina l’aveva ammirata! Era piccola, ma esercitava su di lei un grande fascino e rammenta una gita fatta con la famiglia per visitare il vulcano. Erano arrivati tra le lande deserte e aveva visto quel paesaggio lunare fatto di terra nera e di buche. Fra la nebbia e il fumo, ricorda un silenzio incantato, rotto da echi lontani. Poi qualche bagliore e i crateri funesti a rammentare la potenza del monte siciliano. Ecco! Aveva amato l’Etna proprio perché era l’espressione di una potenza immensa e misteriosa contro cui l’uomo diviene impotente. I fiumi di lava scendevano da alcune cime e procedevano lenti e inesorabili a fendere quella terra nera e inaridita. Gli alberi erano come scheletri posti a guardia di uno scenario incredibile. Qualcuno si avventurava solitario a guardare i crateri più alti e da lontano sembrava un’immagine surreale sfumata dalla nebbia.
Ad una certa altitudine aveva provato anche la strana sensazione della rarefazione dell’ossigeno. Infatti ad un certo punto aveva respirato male e con affanno.
Ma che panorama da lassù! Si era lontani dal mondo intero. Quella montagna tonante aveva fatto innamorare di sé la piccola Claudia. E forse mai visitatore si sarà sottratto al fascino prepotente della neve frammista alla lava rossa e alla terra nera.
Un altro caro ricordo di Claudia rimane una gita fatta ad Ustica con tutta la famiglia. A quei tempi l’isola era davvero incontaminata. Piena di lepri e conigli selvatici tra i cespugli, e di gabbiani sulle onde. Il grido di quegli uccelli le era rimasto per sempre nelle orecchie. Si tuffavano veloci ad afferrare i malcapitati pesciolini, emettendo quel verso sibilante e ripetuto. Forse non ha più rivisto un mare di un azzurro così intenso.
Si era tuffata felice ed era stata circondata da migliaia di pesci di ogni dimensione. Era piccola, ma sapeva già nuotare bene e aveva provato un benessere e una felicità particolare a sguazzare tra quegli scogli affioranti. Aveva guardato con la maschera i fondali incantati e aveva creduto di essere in paradiso, in un mondo fatto di silenzio e di scenari da favola. Le alghe e il muschio erano attorno alle rocce marine insieme ai granchi e ai ricci. Con un barcone avevano circumnavigato l’isola e ne aveva potuto conoscere tutti gli anfratti e le piccole cale, le insenature, le punte e i faraglioni. Avevano visitato tutte le grotte che si aprivano nella costa. Nella grotta <delle barche> aveva fatto il bagno e aveva provato un senso di panico e di mistero poiché c’era buio e il fondale era nero.
Che ricordi! Claudia sa di avere alle spalle cinquant’anni di vita piena e positiva, costruita all’insegna dell’impegno e dell’amore per la vita.
In quel momento si apre la porta ed entra Emanuele, mentre lei si trova ancora davanti la finestra a rimestare tra le immagini del passato.
- Claudia mon amour! Sei ancora lì! Fai più in fretta, al ricevimento aspettano te, sei tu la festeggiata!-
- D’accordo non preoccuparti, saremo puntuali.-
Il suo eterno Emanuele! E’ sposato con lui da ventisei anni e sembra ieri la prima volta che l’ha incontrato. Non hanno avuto figli e neppure ne hanno voluti adottare. In compenso, negli gli anni, ne hanno ricevuto alcuni in affidamento temporaneo e ne hanno adottati altri a distanza.
Ricorda quando Emanuele s’era avvicinato allo sportello della banca dove lei lavorava ed era stata folgorata da quel viso di ragazzo francese. Erano entrambi giovani allora e lui l’aveva guardata appena, ma il cuore di Claudia aveva cominciato a battere per quegli occhi azzurri, azzurri non come il cielo di Parigi, ma come solo il cielo siciliano riesce ad essere, nelle sue migliori performance. Emanuele aveva fatto solo finta di non guardare Claudia. In realtà era stato attratto dal suo viso di ragazza pulita, dai suoi occhi che lo guardavano sorridenti e incantati. Erano usciti insieme e poco dopo s’erano sposati. L’aveva sempre amata con dolcezza e serietà, e lei sa che non avrebbe potuto avere altro marito che il professor Emanuel Fornassy, docente di letteratura francese all’università di Roma.
Aveva sposato il suo dolce ragazzo francese e non si erano più lasciati. Erano vissuti all’insegna dell’affetto e del rispetto reciproco. Non avevano violato il patto di fedeltà e d’amore che s’erano scambiati. A tal proposito Claudia ricorda un episodio che l’aveva radicata nel convincimento di non far mai soffrire la persona amata.
Era ancora piccolina quando, in Sicilia, una sua zia gli aveva chiesto di spiare lo zio. L’aveva fatto ed aveva scoperto che lo zietto s’incontrava di nascosto con una bella signora. L’aveva riferito alla zia e…..., non dimenticherà per tutta la vita quell’espressione di dolore, quegli occhi afflitti in cui la disperazione e il tormento erano palpabili! Forse chissà, tutti dovrebbero vedere certe facce addolorate e angosciate per convincersi che è terribile far soffrire e procurare pene d’amore. Già da allora aveva giurato a se stessa che non l’avrebbe mai fatto.
Si apre la porta ed entra nuovamente Emanuele: -Sei ancora lì! Dovresti cercare di fare più in fretta, non ti pare?-
- Amore, se non arrivo io, non possono iniziare i festeggiamenti.-
-Appunto per questo non dovremmo fare aspettare.-
La porta si richiude e lei pensa che la fretta e il tempo sono due cose che ha imparato a controllare molto presto.
Ricorda un viaggio memorabile in nave durante il quale stavano navigando da parecchie ore, quando una tremenda tempesta li aveva colti. Emanuele era in cabina; Claudia aveva cercato conforto all’aria aperta su un ponte della nave e aveva vomitato l’anima! Nel frattempo la burrasca aveva iniziato a calmarsi. Era convinta di poter stare meglio, invece aveva incontrato un tizio che s’era messo a blaterare in modo inarrestabile. Aveva capito di non poterlo più fermare quando era ormai troppo tardi. Tra le altre facezie e futilità, quel signore le aveva chiesto:
-Lo sa perché si dice ‘Salvare capra e cavolo’?
Lei, ancora un po’ nauseata, non aveva risposto.
Allora il tizio aveva incalzato: -Un contadino doveva attraversare un torrente a piedi. Aveva con sé una capra, un lupo e un cavolo. Bisognava evitare che la capra mangiasse il cavolo e che il lupo mangiasse la capra. Cosa fa allora? Prende la capra e la porta al di là. Torna, prende il cavolo, riattraversa, lo lascia e riprende la capra. La riporta dove ancora era il lupo. Finalmente guada portando i due animali ognuno sotto un braccio. In tal modo ha salvato la capra e il cavolo! Ah ah ah. Non per niente si dice pure che il contadino ha il cervello fino. Ah ah Ah.-
Già da tempo hanno acquistato l’attico dove abitano, un appartamento con vista su Roma. Da lassù Claudia vede i tetti della capitale, domina dall’alto la città eterna. Appaga il suo bisogno di spazio, di silenzio e di bellezza. L’ha subito amato e non l’ha più lasciato.
Per la terza volta entra il marito: - Claudia, dobbiamo andare! E’ tardi.-
E’ davvero tardi ormai, bisogna andare a festeggiare.
-Su, andiamo sono pronta - dice e s’avviano verso l’ingresso.
Finalmente salgono sulla loro auto e s’avviano verso il locale ove avranno luogo i festeggiamenti. Roma al tramonto, pare circondata da un incanto impalpabile, il cielo è ancora chiaro e soffuso di una luce rossastra, le strade cominciano ad illuminarsi e l’aria autunnale è tiepida e piena di profumi. Poche nubi rarefatte si muovono in alto e lontano s’ode il rintocco del campanone di San Pietro.
Ad una svolta del viale, si accorgono che è avvenuto un incidente e molte auto sono ferme. Emanuele cerca di manovrare per tornare indietro e cambiare strada, ma nel frattempo sono arrivate altre auto e quindi si trovano improvvisamente imbottigliati.
-Oh poveri noi! Adesso sì che faremo tardi alla festa!- dice rivolto alla moglie.
Dietro di loro, qualcuno comincia a suonare il clacson e le vetture vanno aumentando. Claudia non si perde d’animo e consiglia: - Emanuele, telefona al locale, comunica cosa è successo e che tarderemo.-
Mentre lui sta telefonando, sentono bussare sul vetro dell’auto. E’ Antonio, un invitato alla festa: -Anche voi qua in mezzo! Allora la cena può aspettare! Ah ah ah ah.-
Sembra divertito. E’ elegante e spumeggiante. Intanto, sopraggiungono altri amici, tutti invitati e tutti rimasti bloccati. Si ha l’impressione che il ricevimento debba svolgersi in mezzo alla strada!
Claudia inizia a fremere ed è agitata. Emanuele scende dall’auto e anche lui è nervoso: -Adesso chissà quando ci libereremo da questo caos!- dice esasperato.
L’amico Antonio è sempre stato un tipo dalla battuta pronta, amante delle barzellette e delle storielle divertenti. Cerca di farlo rilassare.
Da un’altra auto scende l’amico Anselmo e s’avvicina: -Ehi cinquantenne! Ma come andrà a finire? Restiamo tutti qua a festeggiare?-
Sono ancora bloccati in mezzo alla strada e Claudia sta pensando alla magra figura nei riguardi degli altri ospiti, anche se hanno avvisato telefonicamente dell’inconveniente. La festeggiata che ritarda e si fa attendere! A quest’ora tutti saranno impazienti e molto offesi.
Tra le automobili ferme, Claudia vede avanzare verso di lei un signore alto e robusto, dall’aria austera e con i baffoni bianchi. Lo ravvisa. E’ un suo caro amico, generale dell’esercito. Un tipo sornione e che ha sempre dato l’impressione d’essersi inghiottito un bastone. Sta dritto, con il petto in fuori e il naso all’insù.
-Ehilà cinquantenne! Hai intenzione di festeggiare qui per la strada?-
-Ma lasciami stare! Caro mio siamo fritti! Se non si sblocca il traffico, davvero pagherò a vuoto il ristorante.-
-Coraggio Claudia! Non è colpa tua.-
-Sì, ma non avrei mai immaginato di dover trascorrere la festa dei miei cinquant’anni in un viale di Roma.-
-Su, non te la prendere. - Poi si volta perché ode le auto strombazzare.
Il marito esclama: -Oh! Alla buon’ora!- -Forse riusciamo a districarci da questo inferno. Su risaliamo tutti in macchina. Il traffico si sta diradando.-
Difatti da lì a poco Emanuele mette in moto e riparte. Tutte le auto riprendono la propria marcia. Claudia si volge al marito: -Certo che il generale è un tipo simpatico, peccato che ostenti un’aria di gran prosopopea.-
-Senti chi parla! Proprio tu non puoi parlare, mon amour! Vuoi passare per modesta, e invece sei un tipo abbastanza vanitoso.-
-E’ venuto il momento di criticare e far filosofia, Emanuele?-
-Non si tratta di criticare, tu stessa sai d’essere vanagloriosa.-
Lei è toccato sul vivo e allora si lancia in dissertazioni psicologiche:
-Per voler bene agli altri bisogna voler bene a se stessi. Io non mi reputo superiore agli altri, però non mi sono mai stimata meno di quel che valgo.-
Adesso aveva assunto un’aria di sussiego e il marito aveva voglia di pungolarla.
-Beh forse l’autostima, in te, non ha mai fatto difetto.-
- Caro mio, non sarò la quintessenza della modestia, ma ricordati che non esiste vanità intelligente. Io credo di non essere una cretina, quindi significa che non sono neppure troppo vanitosa.-
-Sarà, ma penso a quando dici che è una fortuna possedere una buona intelligenza perché non mancano mai le sciocchezze da dire. Ah ah ah ah -
Anche Claudia ride e assume un’aria civettuola. Quella risata la rende più bella e solare. -Secondo me,- insiste la cinquantenne -una normale intelligenza ce l’hanno un po’ tutti. Ma vedi l’ingegno è diverso. Quello è fatto di istinto, di memoria e di volontà. Ora non mi dire che sono vanitosa se affermo che sono tre doti che non mi mancano. Ah ah ah ah - Poi scrutando lontano: -Guarda, lì davanti c’è la macchina di Laura con il marito. Per lo meno arriveremo quasi tutti insieme.-
E finalmente arrivano!
Claudia è sempre stata innamorata della vita che gli ha dato tanto, anche perché si è costruita i suoi modelli personali di filosofia e logica comportamentale, che segue convinta. Ha sempre guardato al futuro senza dimenticare il passato, mentre ha intensamente vissuto il presente.
E adesso eccola là, circondata da tanti di amici che sono venuti tutti a festeggiarla, a testimoniarle stima e affetto, a farle capire che i suoi anni li ha spesi bene, anche perché non ha mai dimenticato i propri simili meno fortunati. Sente di non essere vissuta solo per se stessa, forse ha vissuto anche la vita degli altri, specie di molti bisognosi. Sente che la sua è stata una vita fatta di tante vite. Tutte le volte che s’è adoperata per qualcuno o per salvare qualcuno, è come se fosse rinata e vissuta un’altra volta. Solidarietà non è solo un termine astratto, è stata la base del suo stile di esistenza. Talora nessuno ha saputo quel che lei ha fatto per aiutare il prossimo. Se ci pensa, le vengono le lacrime agli occhi, ma no, no! Commuoversi è un sintomo di vecchia! A Claudia tutto si potrà dire, ma giammai quella parola che è sinonimo di decadenza fisica.
E’ già stata fagocitata da tante signore. Fra di esse, vi è Elisa, una delle sue più care amiche e confidenti. L’ha conosciuta molti anni addietro in un centro d’assistenza per i poveri. Quella signora aveva il pancione ed era pimpante e attiva. L’aveva molto colpita e avevano subito iniziato a chiacchierare, raccontandosi mille cose. Avevano fatto amicizia. Era stato il classico incontro tra persone che avvertono un’immediata simpatia e affinità. Le famose affinità elettive che si istituiscono tra individui di sentimenti affini. Ed Elisa le somigliava nel carattere, idee, gusti, nel temperamento placido e tranquillo seppur gioviale. Le aveva raccontato che quando s’erano sposati, lei e suo marito avevano deciso di devolvere in beneficenza i soldi destinati alle bomboniere e ai confetti. Avevano rinunziato a quel momento magico che accompagna ogni matrimonio tradizionale e che consiste proprio nella consegna dei confetti agli invitati.
Non si erano più perse di vista e ormai la loro amicizia è consolidata da anni e da tante esperienze vissute e condivise.
Qualche anno addietro purtroppo, Claudia aveva saputo che l’amica aveva dei disturbi seri: febbri violente, astenia, stanchezza frequente. Aveva insistito che si facesse visitare e, dalle analisi del sangue, era stata rilevata una leucemia. Il dolore che aveva provato era stato tremendo. Poi aveva fatto l’impossibile per trovare un donatore compatibile di midollo osseo. Non era stato facile e si era dovuta rivolgere a mezzo mondo. Finalmente l’aveva trovato ed Elisa era stata sottoposta al trapianto, che era riuscito. Ora stava abbastanza bene ed era felice.
Claudia vede avvicinarsi un gruppo di cari amici bancari. La salutano, le fanno gli auguri e la baciano. Li guarda bene e rivede in loro una caratteristica e un denominatore comune che li lega e li rende uguali. Ha sempre creduto che non ciò che lo l’uomo è, ma soltanto ciò che fa è il patrimonio che non potrà mai perdere. Quelle persone che gli sono davanti hanno vinto premi in fatto di economia e finanza, ma non hanno mai lesinato le opere di carità. Come diceva Aristotele: “Compiendo cose giuste, si diventa giusti. E Claudia sa che insieme a quegli amici ha aiutato tanti bisognosi. Non si sono mai fermati a riflettere su ciò che bisognasse fare. L’hanno fatto sempre e subito. Sono stati accomunati da un grande amore per la vita che è necessario per il proseguimento di qualsiasi impresa. Come lei hanno amato la cultura, dove per essa s’intende un bagaglio di conoscenze acquisite, avendo sempre la mente aperta al nuovo e avendolo scoperto. Ma ciò che ha appreso, Claudia ha sempre cercato di ricordarlo, altrimenti non vi è conoscenza, senza la memoria di essa.
Alcuni amici si sono seduti a bere l’aperitivo e stanno conversando sulla inesorabilità del tempo che scorre e che anche per Claudia è trascorso. Sono un gruppo di persone di una certa cultura e amano avventurarsi in dissertazioni a carattere filosofico e intellettuale. Qualcuno sta dicendo che nulla può ritardare le rughe dell’anima, forse quelle del viso sì, grazie alla chirurgia estetica, ma nello spirito non sei mai quello che sei stato il giorno prima poiché il tempo è inesorabile e assottiglia la tua energia vitale.
Un altro interloquisce ribadendo che bisogna guardare all’eternità, che di per sé è un concetto terribile perché non sappiamo esattamente cosa sia, eppure siamo destinati ad essa.
Un signore con gli occhiali sul naso e un fare pieno di sussiego sta dicendo di essere d’accordo con Giordano Bruno secondo cui il tempo tutto toglie e tutto dà, ogni cosa muta e nulla s’annichila.
-Macché!- dice un altro -Ricordatevi, signori miei, che il tempo è denaro! Basta pensare agli operai. Loro sanno perfettamente quanto valga il tempo. Se lo fanno pagare a prezzo d’oro!-
Un altro tizio con i capelli tutti bianchi e l’aria assorta scuote il capo e dice: -Ogni giorno che passa, cari miei, ci avvicina alla morte; poi l’ultimo giorno direttamente ci arriviamo. La cellula invecchia al momento che viene alla luce. Cioè si muore già nascendo.-
-Ehilà! Ma che discorsi allegri!- fa Claudia, avvicinandosi al gruppetto d’intellettuali. -Ragazzi io ho cinquant’anni, ma me ne sento addosso solo venti. Lo so che è la solita frase fatta, ma vi garantisco che chi è felice non fa caso alle ore che passano. Dissertate piuttosto sulla felicità. Cos’è? Secondo me, consiste nel riuscire a guardare al futuro e nel darsi da fare sempre, soprattutto per aiutare gli altri. Solo donando al prossimo si può essere felici e sperare di restare giovani nel cuore. Vedete, come diceva Sofocle, per chi sta male, una sola notte è un tempo infinito; per chi sta bene il giorno giunge troppo presto.-
-Bravo Claudia!- dice qualcuno -Il segreto dell’eterna giovinezza consiste proprio nel donarsi agli altri e nel guardare al futuro.-
-Alt!- fa un altro - Secondo me è da sciocchi voler guardare a tutti i costi al futuro prima che al presente. L’avvenire talora è un fantasma a mani vuote che tutto promette e nulla ha. Anzi non sappiamo mai cosa l’avvenire ci riservi. Allora è meglio guardare al presente.-
-Mi fai pensare a Seneca,- interviene Claudia - diceva che si volge al futuro colui che non sa vivere il presente. Penso comunque che oggi quasi tutti sappiamo vivere il famoso attimo fuggente di Orazio; si tratta di come lo viviamo. E appunto per questo insisto a dire che bisogna vivere adoperandosi per gli altri. -
-Hai ragione Claudia,- gli dice un amico professore di latino - l’uomo è ciò che fa, e non deve comportarsi da lupo verso un altro uomo. <Lupus est homo homini>. Ricordi? Lo diceva Plauto.-
Mentre questi signori sono assorti nelle loro teorie peregrine sull’ineluttabilità del tempo, Claudia è stata avvicinata dall’amica Irma.
-Eccoti qua! Sei venuta filibustiera!- le dice abbracciandola.
- Come mancare ai tuoi cinquant’anni?
Irma e la sua famiglia avevano abitato per alcuni anni nell’appartamento accanto al loro. Aveva un’unica figlia, ma in mancanza di altri figlioli, aveva riempito la casa di animali di ogni genere. Pareva un vero zoo. C’era di tutto: un cane, un gatto, un pappagallo, dei pesci, due tartarughe, due criceti. Approfittando dello spazio dell’attico e quindi del terrazzo, le bestiole girovagano a piacimento.
Gli aneddoti che erano derivati da quella presenza erano stati innumerevoli. Basti pensare alla volta in cui una nuova colf era stata letteralmente assalita sul pianerottolo dal cane che l’aveva scambiata per un ladro. La poverina era rimasta immobile come una statua di sale, con le zampe della bestia sulle spalle e il muso sul naso. Per giunta il cane ringhiava e l’annusava. In quel frangente, Emanuele era accorso udendo le grida di aiuto e aveva notato che la sventurata si stava urinando addosso, giacché una piccola pozza d’acqua si era formata ai suoi piedi.
Un’altra volta il pappagallo era entrato svolazzando nella casa di Claudia attraverso una finestra, come se avesse scelto per dimora proprio quella casa. Claudia aveva un po’ paura dei volatili. S’era messa a urlare mentre lo vedeva volteggiare festante sulla sua testa. C’era voluto del tempo affinché Irma lo riacchiappasse. L’uccellino fuggiva, non si lasciava acciuffare e si nascondeva dietro tutti i vasi del salone.
Per non dire poi della volta in cui il gatto Camillo s’era introdotto di soppiatto nell’appartamento di Claudia. Aveva approfittato delle porte aperte mentre le due signore chiacchieravano sul pianerottolo. Inoltre bisogna precisare che Camillo era di dimensioni ciclopiche, ma Claudia non s’era accorta di lui quando aveva richiuso la porta d’ingresso. Tra l’altro, in quei giorni soffriva d’intestino pigro. Si trovava a passeggiare per il corridoio della casa nella speranza che il suddetto intestino si risvegliasse, quando vide comparire dinanzi a sé quella specie di leone! Aveva fatto un salto in aria e il gatto aveva rizzato il pelo. Dopo di che Claudia era corso in bagno. Generalmente le paure sortiscono di questi effetti e finalmente il suo intestino era perfettamente desto e aveva voglia di riprendere una vecchia abitudine.
Viene salutata da un altro gruppo di persone. Sono i soci di un club di Siciliani di cui lei fa parte. Claudia vi ha conosciuto molte personalità che hanno in comune l’origine sicula, la memoria e l’orgoglio dell’appartenenza a una terra millenaria e bellissima. D’altra parte, chi perde la consapevolezza del proprio passato, perde un po’ la coscienza di sé. E lei non l’ha mai persa.
Una volta, trovandosi a dissertare con quegli amici, si erano addentrati nei meandri dei concetti delle Storia e del passato.
Uno di loro affermava che conoscere i fatti del tempo antico è come riuscire a fare della filosofia tratta dagli esempi.
Un altro diceva che non si sfugge alla maledizione del tempo e che l’uomo distrugge tutto, ma che distruggendo resta schiavo del vecchio mondo, e che la distruzione della tradizione è essa stessa una tradizione.
Un amico scrittore, in quell’occasione, aveva detto che il romanziere è lo storico del presente, mentre lo storico è il romanziere del passato, infatti la Storia è il romanzo di ciò che è stato, mentre un romanzo è una Storia che sarebbe potuta essere.
Claudia che era sempre stata legatissima ai ricordi e alla tradizione della sua Sicilia, aveva affermato che ogni ricordo è come un richiamo, qualcosa che conserviamo e che lavora dentro di noi, perché la memoria è come il salvadanaio dello spirito.
Si avvicina un cameriere e le dice che fuori c’è una ragazza che la vuole salutare e vorrebbe farle gli auguri.
-La faccia accomodare, - soggiunge lei.
Di lì a poco s’avvicina una giovane donna.
-Karima!- esclama Claudia abbracciandola, - Che piacere!-
-Signora, ho saputo casualmente della sua festa e sono venuta a farle gli auguri e a rinnovarle i miei sentimenti di gratitudine. Il bene ricevuto non si dimentica, signora, e lei me ne ha fatto tanto!-
Giunta come profuga dal lontano Kosovo, Karima s’era trovata subito in difficoltà a Roma. Era stata adescata e avviata alla prostituzione, ma era riuscita a venirne fuori. Quindi era stata accolta come collaboratrice domestica da Claudia. Qualche tempo dopo, aveva scoperto di avere un tumore al seno. Non lo aveva detto a nessuno e anzi aveva cominciato a comportarsi in maniera insolente e stranissima. Trascurava il lavoro, rispondeva sgarbatamente alla sua datrice di lavoro quasi insultandola. Si allontanava dalla casa dove riceveva vitto e alloggio e portava via taluni oggetti. Una condotta misteriosa poiché fino a quel momento, Karima era stata un modello di onestà e affidabilità.
Claudia le era affezionata, aveva capito che qualcosa l’angosciava e invece di licenziarla, aveva cercato d’indagare sulle cause di quel cambiamento repentino di comportamento. Era riuscita a sapere che la ragazza rischiava di essere rimpatriata e per questo in precedenza, aveva cercato di togliersi la vita. In Kosovo aveva diciotto anni quando le avevano bombardato la casa, ucciso i genitori e strappato l’adolescenza, offrendole la sola alternativa di una vita da profuga e di un ingresso clandestino in Italia. Le aveva raccontato la storia della sua vita piangendo. Aveva detto che nel suo piccolo paese la guerra aveva spazzato via ogni cosa: non c’era più traccia di parenti o amici. Un paese che viveva di pastorizia e agricoltura. Lì aveva una grande famiglia allargata di zii e cugini ed era fondamentale, nella cultura del Kosovo, una forte rete di parentela.
-Signora, se non mi faranno restare in Italia, mi lascerò morire anche perché ho un cancro al seno.-
A Roma adesso aveva dei nuovi amici e nuovi affetti. Non poteva però essere operata in Italia in quanto extracomunitaria. Allora bisognava trovare una soluzione differente e cercare d’intervenire in ogni caso sul tumore.
Claudia aveva fatto l’impossibile per aiutare la povera Karima. Aveva istituito una specie di volontariato che s’industriasse ad aiutare le donne clandestine che rischiavano di morire proprio perché non avevano diritto all’assistenza sanitaria. I volontari avrebbero aiutato materialmente e moralmente queste sventurate e le avrebbero assistite nel lungo e terribile percorso della lotta contro il cancro.
Karima era stata operata e le avevano asportato un seno. Ogni tanto ricordava: -Quando i Serbi cannoneggiarono la mia casa, io stavo stendendo la biancheria nel cortile. Mamma e papà sono morti sotto le macerie.-
Claudia l’aveva aiutata a cacciare via tristezza e paura e l’aveva stimolata a ritrovare se stessa e la sua dignità di donna. Bisognava anche trovare il sistema per poterla fare restare in Italia, e lei si era industriata pure per questo: per farla restare nel paese che l’aveva vista quasi morire e quindi rinascere.
-E’ qui in Italia che sente di dover iniziare la ricerca di sé,- aveva detto, -un rientro in Kosovo significherebbe per lei un lutto senza redenzione. Un’espulsione sarebbe vissuta come un rifiuto che suggella un passato di emarginazione.-
C’era riuscita. Era riuscita a far restare Karima in Italia. S’era rivolta a mezzo mondo, asserendo che rimpatriarla significava gettarla nel nulla e abbandonarla a un destino assai amaro.
Ora la ragazza lavorava come inserviente presso la Croce Rossa e lentamente stava ricostruendo la propria esistenza.
Ma intanto già un altro amico l’afferra per le spalle. E’ Massimo, che la fa girare ed esclama: - Auguri dolce signora!
Massimo era uno dei migliori impiegati della banca e, pur lavorando assiduamente, si era laureato in Economia. Aveva fatto una tesi sulle indagini di mercato. Aveva scritto, rifacendosi ad Erasmo da Rotterdam, che per guadagnare bisogna spendere. Infatti per lui l’economia era divenuta una filosofia di vita. Diceva che aggiungendo lentamente il poco al poco, ben presto si arrivava al molto. Oppure soleva spesso asserire che, prestando soldi ai poveri e domandando prestiti ai ricchi, prima o poi si viene abbandonati dagli uni e dagli altri. O ancora, ricordando Catone il Censore, diceva che i ladri dei beni privati passano la vita in carcere, invece quelli dei beni pubblici trascorrono le loro giornate tra la ricchezza e l’onore.
Adesso è lì davanti a Claudia e gli rinnova i suoi auguri. Gli porge un pacco dicendo che si tratta di un importante libro d’Economia di autore straniero.
-Grazie Massimo! Che meraviglia!- fa la festeggiata -Sono proprio contenta se considero che la lettura serale di questo testo mi eviterà ogni eventuale consumo di sonniferi, ah ah ah ah. Scherzo naturalmente.-
S’avvicina un altro amico pure con un pacchetto tra le mani. Poi un altro e un altro ancora. Come se tutti si fossero dati il segnale per la consegna dei doni. E’ arrivato dunque il momento d’aprirli.
Tante persone fanno ressa attorno a lei che si sente sempre più emozionata e contenta. Va aprendo ogni pacco e ringrazia tutti.
Per ultima s’avanza Marcella. Ha un involto tra le mani e glielo porge. Claudia lo apre e s’accorge che si tratta ancora di un libro.
Sulla prima pagina appare un titolo:
“ L’archè costituzionale.”
-Ma guarda!- esclama -Ho letto un saggio che trattava proprio quest’argomento e mi sono scervellata per capire cosa s’intenda con queste due parole.-
-Bene!- risponde Marcella - Leggi queste pagine e forse capirai, Claudia, che quelle parole rappresentano l’istinto primordiale. Cioè ogni propensione naturale che spinge l’uomo a compiere determinati atti o a seguire un dato comportamento. La caratteristica propria dell’istinto, che lo distingue dall’intelligenza, è l’io congenito, immutabile, ereditario. Ora vedi, secondo me, tu sei quello che sei perché la tua propensione naturale è quella d’essere una brava persona. Quindi se nella vita hai fatto quello che hai fatto e sei diventata ciò che sei, lo devi al tuo archè costituzionale. Tanti auguri Claudia. Cento di questi giorni.-
Gabriella Cuscinà