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 Mare del Nord
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luisa camponesco
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Inserito - 26/06/2008 :  20:24:06  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco


Mare del Nord

Aveva lasciato la città, con il suo rumore la sua gente il suo traffico. Non la sopportava più eppure l’aveva amata tanto fin da quando vi era giunto ancora bambino; ora non la riconosceva e non si riconosceva in essa, una cosa estranea, sentiva di non appartenerle.
- Fuggire non è la soluzione - gli aveva detto sua sorella, il giorno in cui fece i bagagli. Forse aveva ragione ma cos’altro gli restava da fare?
Dopo l’incidente, qualcosa si era rotto, rotto dentro, lacerato l’anima. Nessun figlio dovrebbe morire prima del padre, e poi di quella malattia. Aveva combattuto il suo Marc, con coraggio, quanto coraggio fino alla fine.
Quella notte, mentre gli stringeva la mano, lui lo aveva guardato.
- Ciao pà, vado a trovare mamma. – E si era addormentato con il sorriso sulle labbra.
Se l’era presa con tutti, anche con Dio; durante il funerale non era entrato in chiesa, ma era rimasto fuori sul sagrato imprecando contro tutto e tutti.
Non era più entrato nella stanza di Marc, l’aveva chiusa a chiave con tutte le sue cose dentro. Forse un giorno….
- Jason non puoi continuare così! – Sua sorella seguitava a ripeterglielo e lui affogava il dolore in una bottiglia. – Pensi che Marc avrebbe voluto tutto questo?
- Zitta, tu non sai cosa Marc avrebbe voluto!
La decisione la prese all’improvviso, avvertì la sorella.
- Lascio le chiavi nel vaso di azalea, non so quando e se tornerò, ma per favore ogni tanto vieni a dare un’occhiata alla casa. - E così nella stazione dei treni di Montreal guardò il quadro degli orari.

La destinazione non era importante, prese il primo treno in partenza.
Il paesaggio canadese in tutta la sua bellezza gli correva sotto gli occhi; in circostanze diverse ne sarebbe stato incantato, ma non ora, non nel suo stato d’animo, ora voleva solo perdere se stesso.
In lontananza apparve il nastro argenteo del San Lorenzo. Combatté contro il ricordo di quel giorno, il giorno in cui lui e Marc lo avevano risalito per un buon tratto.
- Che bello papà, che pace. Come mai su quelle isole c’è la bandiera degli Stati Uniti?
- Il San Lorenzo è ricco di isole e isolotti, ma alcuni appartengono agli States.
- Ma questo è sempre Canada!
- Si, Marc, questo è sempre Canada, probabilmente quegli isolotti sono stati venduti, ma ciò non toglie che questa è la nostra terra e questo il nostro fiume.
Strinse i pugni fino a farsi male, andarsene così a vent’anni, era come se la sua adorata Martha fosse morta due volte. Chiuse gli occhi e il rumore monotono del treno lo fece addormentare.
Stranamente fu proprio il silenzio a farlo svegliare. Luci tenui rischiaravano il vagone scostò la tenda dal finestrino, era notte e non aveva la ben che minima idea di dove fosse, ma in fondo non gli importava.
- Insomma si può sapere cosa succede?
Una voce maschile, leggermente alterata, proveniva dal corridoio.
- Siamo spiacenti per l’inconveniente, ma c’è stata un’ interruzione sulla linea,
- Che genere di interruzione?
- Le piogge degli ultimi giorni hanno fatto tracimare un torrente e alcuni tronchi si sono fermati sul binario. Tra poco arriveremo a Saskatoon, troverà la coincidenza con Vancouver, recupererà il ritardo.
Udì il controllore allontanarsi, mentre il passeggero brontolava sommessamente.

La stazione di Saskatoon era semideserta data l’ora, Jason scese a sgranchirsi le gambe e si attardò a guardare le stelle che sbiadivano nel chiarore del mattino. Un fischio, ma lui non si mosse, era come se fosse inchiodato a quel marciapiede. Guardò il treno partire senza far nulla; nella tasca interna aveva un biglietto per Vancouver. Non si chiese neppure cosa stesse facendo in quella stazione; qualcuno gli passò accanto correndo e lo urtò.
- Mi scusi, maledizione!!! No, non intendevo dire a lei ma ho perso il treno. ..
Gli occhi della donna si riempirono di lacrime.
- E adesso cosa faccio?
- Prenda l’autobus!
La donna non si aspettava una risposta e sgranò gli occhi sorpresa.
- Ha ragione! Sono talmente agitata che non ci avevo pensato.
Corse al botteghino dei biglietti e la vide parlare animatamente. Lui si palpò la tasca sinistra per cercare le sigarette, poi rammentò che aveva smesso di fumare un anno prima, lo aveva fatto sperando che quel sacrificio potesse contribuire alla guarigione di Marc, beh ora non era più necessario. Cercò con lo sguardo un distributore automatico, poi cambiò idea e si diresse al botteghino dei biglietti.
- Per dove? – chiese l’impiegato
- Qual è il primo autobus che parte?
- C’è ne uno fra venti minuti per Prince Albert
Jason pagò il biglietto e si sedette in sala di attesa. Poco lontano la donna che aveva perso il treno fumava una sigaretta dopo l’altra, per un attimo fu tentato di chiedergliene una.
- Così anche lei ha perso il treno!
- Non esattamente. – rispose Jason, ma non gli andava di dare ulteriori spiegazioni e tanto meno di fare conversazione. La donna capì e si allontanò.

L’autobus partì in orario, Jason scelse un posto a sedere sul fondo del mezzo, lì non c’era nessuno, alzò il bavero della giacca e chiuse gli occhi.

Prince Albert, una cittadina come tante, ma almeno aveva il pregio di non esserci mai stato, ecco la soluzione, andare in luoghi dove non fosse stato né con Marc né con Martha
Prese a camminare per la strada principale, senza guardarsi attorno, poi un vociare in una viuzza secondaria attirò la sua attenzione. Un capannello di persone si accalcava sul marciapiede discutendo animatamente; incuriosito si avvicinò.
L’argomento era una gita sul Saskatchewan , ma all’ultimo minuto un partecipante si era ritirato e la piccola crociera rischiava d’essere annullata per mancanza di persone.
- Posso andarvi bene? – Jason si stupì di sé stesso.
Il gruppo lo guardò sorpreso, poi uno di essi, probabilmente l’organizzatore gli si avvicinò.
- Lei sarebbe disposto a venire con noi?
Jason rispose con una alzata di spalle che valeva un si. Un urlo di gioia si levò dai presenti che, raccolti gli zaini, si diressero verso l’autobus.

Il battello risaliva lento il fiume incuneandosi fra boschi rigogliosi, la bellezza del paesaggio era tale che Jason, suo malgrado, ne rimase contagiato.
- Vuole mangiare qualcosa? – Un giovane gli stava porgendo un cestino contenente dei tramezzini e una lattina di coca cola. Si accorse di avere fame, ma fu soprattutto per la sete che accettò quanto gli veniva offerto.
- Tra poco entreremo nel lago Cumberland – proseguì il ragazzo - Che è la vera meta del nostro viaggio, pianteremo le tende ci staremo per una settimana. Naturalmente lei è ospite gradito, ma nel caso non volesse fermarsi c’è un piccolo aereo da turismo che fa servizio, può tornare indietro oppure andare dove vuole.
- Grazie ci penserò!

Il battello attraccò al molo e l’allegro chiacchierio si disperse nell’aria insieme al profumo intenso dell’erba umida. Uno spiazzo era pronto ad accogliere la tendopoli e, come aveva detto il giovane, poco lontano su di una rudimentale pista un Piper stava uscendo dall’hangar. Jason si diresse senza indugio in quella direzione. Un uomo con le mani sporche di grasso gli venne incontro.
- Posso esserle utile?
- Per dove sta decollando? – Chiese Jason
- Port Nelson, le interessa?
- Ottimo! –
- BOB!!!Hai un passeggero!

Passare dall’acqua all’aria nel giro di un’ ora, certo che di fortuna ne aveva avuta parecchia da quando aveva lasciato Montreal, tutte quelle coincidenze, pareva che qualcosa lo stesse guidando, anzi più passava il tempo e più se ne convinceva.
Mentre sorvolavano la zona dei laghi Bob, il pilota parlava di sé e del suo lavoro, poi gli chiese se sapesse dove alloggiare una volta giunto a destinazione.
- Non sono mai stato a Port Nelson , cercherò qualcosa di economico.
- Allora posso darle io qualche indicazione se vuole trascorrere qualche giorno in modo diverso e inconsueto.
Gli disse di avere un lontano parente che possedeva un peschereccio e, con una modica spese, prendeva anche pensionanti che portava poi a pescare nella Baia di Hudson .
- Allora glielo presento?
- Volentieri, la ringrazio.


Stretta di mano vigorosa, volto abbronzato solcato da rughe profonde, un abbozzo di sorriso.
- Non è il Grand Hotel, dovrà adattarsi. In compenso il cibo è buono e nutriente. Salpiamo domani all’alba, per cui è meglio che si riposi ora. A proposito, mi chiamo Gustav, ma per tutti sono semplicemente Gus.
Il letto era pulito anche se un po’ cigolante; con lo sguardo esplorò la camera dall’arredamento minimo, oltre il letto c’era un tavolino, una sedia uno specchietto alla parete, un attaccapanni. Le pareti erano di color grigio con qualche crepa qua e là, da una finestra con le ante verdi entrava il profumo del mare. Si addormentò.
Si destò di soprassalto avvertendo una presenza ed in effetti qualcuno stava frugando nella tasca della sua giacca. Si alzò silenziosamente e lo prese per le spalle.
- Ti ho preso delinquente cosa cerchi?
Il volto di un ragazzo, poco più di un bambino lo guardava spaventato.
- Non stavo rubando signore, le ho solo sistemato la sua giacca era tutta stropicciata.
Dovette ammettere che i suoi indumenti parevano usciti da una lavanderia tanto erano lindi.
- Vedo che ha conosciuto Joshua. – Gus era apparso in quell’istante sulla porta. – E’ il mio aiutante, non si preoccupi non è un ladro.
Solo allora Jason si accorse dei lineamenti asiatici del giovane.
- La colazione è pronta!
Un profumo di frittelle e di sciroppo di acero proveniva dalla cucina.
- Gradisce del caffè? – Gus non attese risposta e fece cenno a Joshua di portare il bricco. – Non è mio figlio, lo trovai un giorno sporco ed affamato aggrappato ad uno scoglio unico superstite di un naufragio. È successo anni fa e da allora è rimasto con me.
In un certo senso aveva soddisfatto la curiosità di Jason che ora osservava il ragazzo con più attenzione.
- Non mi chieda quanti anni ha, probabilmente non lo sa nemmeno lui.
- Non si ricorda nulla della sua famiglia?
- Forse, ma io non glielo ho mai chiesto, non so a cosa servirebbe.
- Forse a lui. – replicò Jason. Una luce nuova apparve negli occhi di Joshua.

Il peschereccio, ormeggiato alla banchina, portava, stinto sulla fiancata, la scritta QIKIQTAALUK
- Vuol dire “Grande Isola.”
Era la prima volta che sentiva la voce di Joshua
- E’ inuit.. - specificò
- Come te vero?
Joshua non rispose e corse a mollare gli ormeggi; il peschereccio ondeggiò, mentre uno stormo di gabbiani si levavano in volo.
Vento, salsedine, e quel senso di libertà che i grandi spazi sanno donare. Jason, per la prima volta si accorse di non aver pensato a Marc e si sentì colpevole.
- Signore! Gus l’aspetta sottocoperta.
- Grazie Joshua, ma…questo non è il tuo nome inuit vero?
- È così che Gus mi ha sempre chiamato e per me va bene, lui è stato buono con me.

Sottocoperta Gus gli mostrò la sua cuccetta e dove riporre gli indumenti, che non erano molti, solo l’essenziale.
- Naturalmente può partecipare all’attività di pesca, se lo desidera ma non è obbligato. Il pranzo è alle 12.30 e la cena alle 6 p.m. per il resto dovrà accontentarsi.
- Va bene così!
Più il tempo passava e più Jason si sentiva coinvolto nella vita di bordo e non solo, ma si era instaurato anche un rapporto di collaborazione con Joshua .
- Allora me lo dici com’è il tuo nome inuit?
- Inutile! – si intromise Gus – Non l’ha mai detto neppure a me!
Alcune isole apparvero all’orizzonte.
- Quelle sono le Belcher, costeggeremo per il Labrador fino ad arrivare a Inoucdjouac. Lì ci fermeremo per fare rifornimento. A proposito, sarà bene che indossi questo!
Mostrò un parka imbottito, effettivamente Jason non era attrezzato per affrontare temperature così rigide.
- Anche questo! – Joshua gli porse una cuffia di lana spessa. – Ti pungerà un po’ le orecchie, ma non sentirai freddo.
Nonostante non volesse ammetterlo, Jason cominciava a sentirsi a suo agio, gli piacevano i modi bruschi di Gus e la vocina di Joshua. Trascorreva ore appoggiato al parapetto ad ammirare i giochi delle otarie e il volo degli uccelli marini, ma sul suo orizzonte nubi nere si stavano addensando.
Accadde quella sera mentre si preparava per il riposo. Sorprese Joshua frugare fra i suoi indumenti
- Cosa stai facendo?
Il ragazzo si spaventò non avendolo sentito arrivare.
- Volevo farti una sorpresa e farti trovare i tuoi pantaloni lavati ….
- Non ti permettere mai più di toccare le mie cose. Cosa’hai in mano?
Era una catenella argentata con un ciondolo, l’ultimo regalo di Marc. Jason gliela tolse con uno strattone
- E’ uscita dai pantaloni, la stavo rimettendo a posto… - un singhiozzo gli scosse il petto poi corse come un pazzo su per la scaletta.
- Fermati! – urlò Jason
Troppo tardi era già sul ponte reso scivoloso dall’acqua, un urlo, un tonfo, poi più nulla.
- Cosa succede? – Chiese Gus allarmato. – Dov’è Joshua?
Il buio si faceva più fitto, ma una macchia gialla galleggiava sul mare mossa dalle onde.
- Oh mio Dio è caduto in acqua. Presto aiutami a calare la scialuppa.
La barca si posò ondeggiando; i due uomini, presi i remi, vogarono con tutta la loro forza. Recuperarono il giaccone.
- E’ andato sotto, con questo freddo andrà in ipotermia, è questione di minuti.
- È tutta colpa mia! – Jason si tuffò nelle gelide acque.

Mai buio era stato così intenso.
- Ti prego, Dio, non farmi questo, non prenderti anche lui.
Il volto di Marc gli apparve sereno e sorridente, lo vide allontanarsi , lui lo seguì nel profondo dell’oceano, finchè lo vide tendergli la mano. Jason la afferrò e una forza sconosciuta lo sospinse verso la superficie.
- Grazie al cielo forse siamo ancora in tempo.
Gus era chino su Joshua, gli aveva tolto gli indumenti bagnati e lo stava avvolgendo in una coperta di lana.
- Cambiati anche tu Jason e manda giù questo brandy.
- È tutta colpa mia!- ripeté Jason
- Tienili per dopo i tuoi sensi di colpa, adesso abbiamo altro da fare. Devi aiutarmi. Dobbiamo alzargli la temperatura, riattivargli la circolazione. Ci daremo il cambio.
Le ore passavano senza che nulla mutasse. I due uomini si alternavano e scrutavano su quel volto esangue un cambiamento, qualcosa che facesse sperare.
- Non mollare, figlio mio, combatti. – Gus, uomo di mare rude e scontroso aveva gli rossi e la voce tremula. – Questo è per te, voleva farti una sorpresa e nasconderlo nella tasca dei tuoi pantaloni.
Una collanina fatta con perline di legno frammentate da sculture di foche e trichechi.
Jason non riuscì a parlare. Un nodo gli stringeva la gola, prese la mani del ragazzo e le strinse fra le sue, non lo lasciò più nonostante Gus insistesse per farlo riposare.

- Mintaka - un sussurro, impercettibile, ma bastò a scuotere i due uomini.
- Cosa? Chi ha parlato?
- Il mio nome inuit è Mintaka . – gli occhi socchiusi, un sorriso appena abbozzato, ma la voce più ferma e sicura. Joshua, lentamente si riprese.

La lunga notte era finita e un nuovo giorno iniziato… lassù nel mare del Nord.







Luisa Camponesco

   
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