Daniel si accorse di non riuscire a concentrarsi sullo Shemà Israel, la preghiera del mattino, recitava i versetti ma tra le parole si incuneavano pensieri inquieti, tanto che li lesse più volte, ricominciando da capo, quasi a volersi scusare con l'Eterno, ma con scarsa convinzione. Pronunciò l'Amen finale, richiuse il Libro, passò lievemente le labbra sulla copertina rigida blu che conteneva le pagine con ancora i segni delle preghiere importanti che gli aveva indicato suo nonno, nel corso di una vacanza in Israele, sul terrazzo del primo piano della casa in stile Bauhaus di Tel Aviv, quando Daniel era ancora un ragazzino e passava le estati in Israele. La carta delle pagine era antica, quasi pergamena, i caratteri ebraici grandi, con i segni delle vocali ben delineati sotto le consonanti. Ripose il Libro sul ripiano, si tolse la kippah dai ricami dorati e i suoi occhi vagarono verso la finestra della stanza, i rami dei due alberi di magnolia piantati nel giardino del cortile interno del condominio raggiungevano ormai i vetri, il profumo dei grossi fiori gli riportò alle memoria altri giardini che aveva scavato, l'amore per i fiori che suo padre gli aveva trasmesso, un sogno che da profugo da un regime tirannico della Mesopotamia aveva sempre coltivato e che aveva esaudito, insieme a quello di vedere Parigi. Daniel poneva sempre una preghiera speciale per il padre, tra il Modè Ani e lo Shemà, ringraziava il Cielo di averlo sempre al suo fianco.Il dolore era ancora presente, nonostante gli antibiotici che il medico gli aveva prescritto, Daniel sorrise, una manovra del corpo disattenta ed era caduto, battendo l'osso sacro, "non è sorprendente che un membro del popolo del Libro cada sull'osso sacro e non sulla testa", disse al medico, che gli aveva restituito un'occhiataccia per nulla divertita. Osservò che la giornata di prima estate era soleggiata e calda, finalmente dopo un inverno e una primavera rigidi, era ora di andare al lavoro, male o non male, inquietudine o non inquietudine. Ma rimase sulle spine per tutta la giornata, senza capirne il motivo.
A sera sfogliava distrattamente una lista di eventi, dai cinema alle conferenze, il suo sguardo si soffermò su una presentazione di un libro scritto da un rabbino importante e famoso, che sapeva rispondere "non so" a domande che erano affermazioni, che sapeva completare gli argomenti di chi voleva sfidarlo, dapprima scosse le spalle, sarebbe rimasto a casa a mangiarsi uno yogurth, poi si disse che non perdeva niente, magari avrebbe incontrato qualche amico, e uscì per andare alla serata che si sarebbe svolta in un teatro. Attese per lungo tempo la corriera, non arrivava, cercò di togliersi dalla mente la scusa che anch'essa fosse stata contagiata dalla sua malavoglia di fare alcunchè quel giorno, infine arrivò e si fermò dopo poche fermate per lavori in corso sulla strada. Il segno del destino, sarebbe tornato a casa al suo yogurth. Si levò un venticello fresco, soffiò via la calura, Daniel respirò ad occhi chiusi con sollievo, e decise di proseguire a piedi fino al teatro.
Il rabbino parlò di Torah, il documento della Terra affidata a popolo di Israele, di Abramo, Isacco e Giacobbe, della giustizia e della compassione, del dono della vita, del silenzio dell'uomo di fronte al male, silenzio che soffoca la presenza del Creatore. Raccontò del padre che un giorno gli chiese, sorprendendolo, di amarlo di meno e disse che era un insegnamento tipico dei padri ebrei e Daniel si rese conto che anche suo padre un giorno gli aveva detto quelle parole, anche se in forma diversa e poi ricordò quanti altri padri avevano detto ai loro figli suoi amici le stesse parole, seppure in forma ancora diversa, affinchè un giorno capissero che passare all'età adulta significava non pretendere stampelle consolatorie, dovevano capire di dover zoppiccare da soli. Erano in auto quel giorno, suo padre lo portava in piscina, gli insegnava a nuotare, poco prima di ingranare la marcia disse a Daniel :”apri la portiera e scendi”. Daniel si stupì, ma la sua obbedienza era cieca e iniziò ad aprire la porta. “Che stai facendo?”, lo rimproverò il padre, “perchè stai scendendo, dobbiamo andare in piscina, se ti dico di aprire la portiera e scendere, tu lo fai?”
Il rabbino parlò poco del suo libro, disse di non sentire mai riuscita la parola scritta, perchè la parola scritta del singolo è irrilevante di fronte alla parola della Torah. In poche decine di minuti il pubblico comprese la ragione della fama del maestro che sapeva che insegnare significava suscitare e risvegliare.
Alla fine Daniel avvertì che l'inquietudine era scomparsa, si sentiva in pace con sè stesso e il mondo, anche la contusione all'osso sacro non gli doleva più. Sorrise ad un amico che aveva riconosciuto, iniziarono a scambiarsi le impressioni sulla avvincente serata, poi scorse una sua amica, ne incrociò i passi e la salutò con trasporto. Lei apparve non averlo visto o riconosciuto, lo superò senza rispondere e si inserì tra un gruppo di persone che invece abbracciò calorosamente, Daniel era stupefatto, si chiese se non l'avesse involontariamente offesa, quel giorno in cui lei gli chiese di vedersi e lui aveva risposto con vaghezza, perchè era a letto convalescente e non voleva apparirle zoppicante e bisognoso di conforto. Ascoltava con un orecchio solo l'amico che continuava a parlargli, ne apprezzava il pensiero profondo, ma l'altro orecchio, e gli occhi, erano tutti per la sua amica vicina a pochi passi e lontana in un mondo parallelo. Si volse verso l'amico, che non c'era più. Poi si volse verso l'amica, ma anch'ella non c'era più. Era riuscito a perderli di vista tutti e due volgendosi nel momento sbagliato ora verso l'uno ora verso l'altra. Osservò che il rabbino era circondato da giovanissimi, ragazze e ragazzi, la barba bianca che gli incorniciava il viso buono, negli occhi l'affetto per chiunque gli si avvicinasse.
Daniel non si arrese, uscì dalla sala sperando che la sua amica si fosse fermata all'ingresso, non c'era, così si avvicinò al bancone che distribuiva i libri del rabbino, estrasse il portafoglio e contò il denaro necessario e poi la vide, sulla scalinata che portava all'uscita del teatro, la raggiunse a grandi passi, la banconota per il libro svolazzante nella mano, le lanciò un sorriso radioso e la salutò ancora, lei tese la mano, imbarazzata e gli mormorò :"sono con altre persone". E Daniel non si scompose e continuò a sorriderle, sentiva calore nell'animo. Le lasciò la mano, le ricordò un gioco di parole che avevano poco tempo prima creato insieme e poi si volse, con gentilezza, per permetterle di raggiungere il suo gruppo di amici. Comprò i libri e uscì per ultimo dal teatro, diretto alla corriera per il ritorno, nella calda notte estiva, canticchiando una antica melodia nostalgica del mare che circondava il deserto divenuto giardino della sua Terra d'oriente, il vento caldo e nutriente di quelle mattine di bambino sul terrazzo della casa dai mattoni bianchi con il Libro del nonno.
Un passo dopo l'altro sul marciapiede che lo conduceva alla fermata, la mente in fermento, "forse che se mi avesse salutato avrebbe perduto la stima del gruppo dei suoi amici?", si interrogò Daniel, non era arrabbiato, voleva comprendere, anche le occasioni perdute.
Attese per mezz'ora, della corriera neppure l'ombra, il solo pensiero di essere costretto a tornare a casa a piedi, cinque chilometri attraverso la città, lo riempiva di scoramento, si sentì già stanco prima di cominciare. Si sedette su una pietra e prese ad interrogarsi.
Il suo pensiero vagò in un altro luogo, era sulla cima della collina, si vedeva poco più in basso la cittadella dalle case di mattoncini in pietra chiara. E al suo fianco c'era il rabbino.
“Ci sei rimasto male, Daniel, ti si leggeva in faccia quando parlavi con il tuo amico che il tuo animo era proteso verso di lei”.
“Ho sperato che il mio amico non se ne accorgesse, ma temo che se ne sia reso conto e mi dispiace”.
E all'improvviso il suo animo discendeva verso il mare tra le mura di pietra chiara della stretta via dell'antica città affacciata sulla costa.
In fondo si vedevano le onde, la viuzza si incuneava tra i due muretti in pietra chiara della cittadella, il sole era alto, l’aria tersa, al suo fianco il rabbino.
"Stai zoppicando Daniel!"
"Sì, è strano, mi fa male il punto della convalescenza, che non mi permise allora di risponderle".
Fu proprio il dolore a riscuoterlo e a riportarlo nel presente, la corriera non arrivava e pensò che non sarebbe mai arrivata e si decise a intraprendere il percorso per il ritorno a casa a piedi, di malavoglia, era lontano. E iniziò a camminare, premendo con una mano il punto della ferita alla gamba. E avvertì che il rabbino camminava al suo fianco.
"Sai Rabbi, a pensarci mi è successo spesso, mi pareva di avere qualcosa da dire che valesse la pena di essere ascoltato e invece mi ritrovavo spesso a vagare da solo nelle notti, senza sapere perchè"
"E' normale Daniel, si ascolta quando c'è un concorso di interesse"
"Ma spesso c'era!"
"C'erano interessi maggiori ad ascoltare altrove allora!"
"E' un peccato Rav"
"Sai Daniel, tu sei un mercante, è come se scopri un manufatto che a te piace, poi lo porti al mercato, ma nessuno te lo compra"
"E' vero, a volte mi pare sorprendente che non ci sia chi apprezzi la rivoluzionaria utilità di un manufatto"
"Potresti ricoprirlo d'oro, ma non cambierebbe nulla, nessuno lo comprerebbe, non è ancora il suo tempo"
"Tu hai detto di aver impiegato una grande parte della tua vita per mettere su pergamena i tuoi pensieri, eppure le tue parole suscitano il risveglio del pensiero di chi ti legge, perchè solo ora, dopo così tanto tempo?"
"Per la stessa ragione del tuo manufatto invenduto, non era ancora il tempo perchè fossero trasmesse. Pensa Daniel a quante persone, in ogni epoca, è mancata la possibilità di diffondere quanto avevano compreso che sarebbe avvenuto, avevano le soluzioni, se fossero stati ascoltati avrebbero potuto impedire che molti avvenimenti accadessero in seguito"
"Eppure parlarono ugualmente"
"Sì Daniel, usarono la voce, all'inizio usarono la voce, senza pretendere di essere ascoltati, gettarono dei semi, al tempo opportuno, qualcuno li avrebbe colti"
"Per tanto tempo tu hai usato la voce Rav e solo adesso hai usato la scrittura!"
"Quando ho compreso che era giunto il tempo per poter infine essere ascoltato, ho potuto mettere le parole su pergamena, ma nulla di scritto da me potrà mai essere degno di quanto già scritto nella Torah, ecco perchè chi crede di avere le soluzioni, all'inizio userà solo la voce, fino a quando essa diverrà pronta per la pergamena. Continua a parlare Daniel, anche se ti accorgi di non essere ascoltato, continua a portare al mercato il nuovo manufatto, anche senza ricoprirlo d'oro"
Daniel sorrise e si ritrovò vicino a casa, non era neppure stanco, gli pareva di aver volato nel tempo, come avesse percorso una scorciatoia, eppure la distanza non poteva essere mutata.
Salì in casa e si preparò per il sonno, era il momento della preghiera della sera, raccolse il Libro che si aprì alla pagina indicata dal nonno, lesse lo Shemà Israel, con serenità, senza inciampare nelle parole, i suoi occhi si concentravano senza sforzo sui grossi caratteri, l'inquietudine del mattino era svanita.
Roberto Mahlab
(Variazioni sul tema dello spartito del concerto del maestro Rav Haim Baharier)