Giusy Melillo
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Italy
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Inserito - 21/04/2009 : 18:55:34
UNA TESTIMONIANZA DI GUERRAdi Giusy Melillo In occasione dell'ormai vicino 25 aprile, Festa Nazionale della Liberazione,propongo ai"Concertisti" la lettura di questa storia, da me scritta e pubblicata sul quotidiano per il quale lavoro.Si tratta della esperienza di guerra vissuta da un mio conterraneo, il signor G. L.( nato in Provincia di Benevento il 20/ 12/ 1920). Essa ebbe inizio quando, all’età di 20 anni, ricevuta la cartolina di precetto, fu chiamato al servizio militare ed, eseguiti gli adempimenti richiesti, fu assegnato al V Reggimento Artiglieria Regina di stanza nell’isola di Rodi (Grecia). Imbarcato per tale destinazione la mattina del 9 febbraio 1940, dopo diverse peripezie (tra cui il lungo tragitto verso il distretto militare di Benevento, in parte compiuto a piedi; e il furto di uno stivale durante il sonno, nel suo primo giorno di vita militare), ivi giunse l’11 settembre. Il signor L. ricorda l’impatto positivo con l’isola e le sue belle attrattive naturalistiche, storiche e archeologiche; nonostante qualche piccola delusione, come quella provata nello scoprire l’inesistenza del “Colosso di Rodi” , tanto idealizzato a seguito delle letture fanciullesche sui libri di scuola. Tanti aspetti di Rodi destarono meraviglia in lui e nei suoi compagni, come ad esempio, il frutto della banana, mai visto prima. G. L., assegnato al corso di Radio Marconista, confessa la sua iniziale perplessità di fronte all’alfabeto morse che presto, però, riuscì ad apprendere talmente bene da divenire istruttore delle nuove reclute e da guadagnarsi il grado di caporale maggiore. All’indomani del 10 giugno 1940, giorno in cui Mussolini annunciò da Palazzo Venezia l’ingresso in guerra dell’Italia al fianco della Germania, la vita militare a Rodi mutò e l’isola divenne oggetto di bombardamenti. G. L. racconta che nessun rifornimento poteva giungere dall’Italia, essendo il mare insidiato dai sottomarini inglesi. Quando vi fu la resa dell’Italia, l’8 settembre 1943, si verificò una situazione di disordine generale, tanto che “perfino gli ufficiali non sapevano da quale parte stare”. I tedeschi iniziarono il rastrellamento delle truppe italiane destinandole in campi sorvegliati e da ciò non restò indenne a lungo il signor L. che, nel momento in cui venne prelevato, perse ogni contatto con i suoi compagni più intimi, apprendendo più tardi della loro morte a causa dell’affondamento della nave che li trasportava. Racconta che i soldati persero la propria dignità, spinti all’imbarco “come pecore al macello”, oltre che impauriti e ridotti a scheletri per la fame. Lui fu imbarcato per Atene l’8 febbraio 1944, nella stiva di una nave da trasporto merci, la cui botola venne chiusa solo dopo averla resa completamente colma di uomini, messi in piedi l’uno stretto contro l’altro “come sarde”. Il campo di concentramento di Atene era situato alle falde dell’Acropoli, ma le belle testimonianze dell’ antica civiltà greca non attraevano i soldati affamati, demoralizzati e stanchi; quasi nudi perché la divisa “era logorata e finita”. Nel campo, ogni giorno, i tedeschi prelevavano dei prigionieri per condurli a lavoro nel porto del Pireo:tale trasferta rappresentava l’occasione per imbattersi in qualcosa da magiare. G. L. ricorda di aver raccolto, una volta, nella gavetta, della farina che i tedeschi gli rovesciarono a terra, minacciandolo, quando scoprirono che ne era in possesso. Dopo ardui combattimenti scatenatisi intorno al campo( durante i quali il signor L. riusci’ a trovare riparo sotto un muro), i tedeschi fuggirono e restarono ad Atene solo gli alleati che inizialmente adottarono misure severe verso i prigionieri. Ma verso la fine di settembre del 1944, finalmente mandarono i superstiti in Italia (lo sbarco avvenne a Taranto), i quali raggiunsero le proprie case dopo altri due mesi, poiché tenuti prima in isolamento a causa dei pidocchi. Dopo aver preso il treno Taranto-Napoli; e poi Napoli-Benevento, dove dato l’affollamento i soldati dovettero entrare attraverso i finestrini, G. L. e altri superstiti affamati proseguirono a piedi il cammino verso il proprio paese. Quando era nella stazione di Napoli, un militare calabrese, mosso a compassione, donò a lui e ai suoi compagni del pane che divorarono all’istante per paura che altri glielo sottraessero. La prigionia del signor L. durò 15 mesi e il senso di precarietà e rassegnazione non lo sopraffecero mai, grazie alla sua solida fede in Dio, nella Madonna e in S. Antonio, cui si è sempre affidato, riuscendo cosi’ad offrire parole di conforto e speranza anche agli altri soldati. Oggi dice: “Auguriamoci che nel mondo regni sempre la pace, quella vera, che solo Iddio può dare e che tutti gli uomini di buona volontà si impegnino per poterla raggiungere, dove ancora ora le armi fanno fragore. La guerra porta solo distruzione, lutti, pianti, angosce”.
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