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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 Il viaggio e La chitarra.
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riccardo resconi
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Inserito - 16/05/2009 :  16:52:09  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a riccardo resconi

Il viaggio e La chitarra


Ero a Londra in quel periodo.
La fine degli anni 60.
Gli anni della contestazione giovanile.
Intorno a me un gran fermento di gente,idee,propositi.
Avevo 18 anni allora .
Avevo litigato con i miei genitori per poter fare quel viaggio nella città che in quel momento veniva considerata la più psicadelica tra le città.
A loro non piaceva molto il compagno scelto per il viaggio.
Silvie, di genitori italo/francesi era vista come una senza tetto,sbandata .
I suoi genitori forse tra le prime coppie separate che i miei avevano conosciuto.
Una ragazza non adatta ad uno di classe media come me.
Cosi mormoravano.
Non potevano immaginare che Silvie fosse molto importante nella mia decisione di partire.
La folgorazione avvenne in un parco milanese,.
Quel giorno ero comodamente sdraiato a godere i primi raggi di sole primaverili con il mio libro .

Poco distanti da me un gruppo di ragazzi che in cerchio cantavano musica anglosassone, accompagnati da una chitarra.
La musica era piacevole ma si avvertiva che conteneva segnali di rabbia.
Quello che attrasse la mia attenzione fu lei.
Occhi verdi e capelli fluenti tenuti stretti da un foulard viola sulla fronte.
Una collana verde smeraldo e una camicetta larga a fiorellini.
Erano migliaia.
Il mio guardarla in maniera cosi insistente fu notato.
Con un cenno mi invitò ad unirsi a loro.
Facemmo conoscenza e io tendenzialmente timido mi sciolsi come neve al sole.
Le parole mi venivano fuori come il vento soffia nel cielo.
Vorticose, ardite e trascinanti.
Il cuore pulsava a mille come un maratoneta,anche se strada ne avevo fatta davvero poca fino a quel momento.
Silvie suonava quello strumento in maniera divina o almeno io la vedevo in tal modo.
Quando intonò un pezzo degli Yes che avevo sentito da una radio locale, mi unii al coro.
Quel pomeriggio fu tra i più coinvolgenti che io possa ricordare.
Ci vedemmo il giorno dopo e poi quello dopo ancora.
Non avevo mai trovato una persona con la dote dell’ascolto come Silvie.
Fascino d’Oltralpe?
Chissà.
Di sicuro non la vedevo neanche interamente nella sua figura.

L’idea della partenza nacque in un bar.
Da Amilcare. Non esistevano ancora i Pub.
Come dicevo poco innanzi la mia partenza fu turbata dai miei genitori.
E quando uscii di casa, sbattendo la porta e urlando che volevo la mia libertà, il mio cuore era pesante.
Una roba simile non era mai avvenuta nella famiglia Franchetti.

La partenza avvenne di Lunedì.
Era maggio.
Eravamo in tre, ma Gianni si fermò nella Loira per interessi di carattere culturale.
Si, va bene!
Capimmo.
Arrivati a Calais il mare si aprì a noi.
Il sole stava appena sorgendo.
Tutto era magico.
Centinaia di ragazzi affollavano il traghetto,ognuno indaffarato.Chi suonava,chi cantava,chi urlava ai gabbiani che si avvicinavano in cerca di cibo e ne imitava il volo.
Un gruppetto di amici intonò la prima nota.
Non conoscevo molto la musica ma ero un tutt’uno con Silvie che suonava.
Tutto quello era estremamente nuovo per me.
Ma dal fascino che aveva quel senso di libertà mi feci subito avvolgere.
La sua fedele Gibson produceva suoni melodiosi.
E la sua voce era davvero angelica.
La chitarra era stato un regalo del padre di Silvie alla figlia per il 12 compleanno.
Mai regalo fu più apprezzato.
Le dita correvano veloci sulle corde e non opponevano resistenza.
Il loro sfiorarle, pizzicarle ,premerle contro la cassa armonica era un armonia di movimento e suoni che vibrano nell’aria.
Si propagavano verso il cielo e seppure la visione potrebbe sembrare psicadelica,vi giuro che non avevo inalato assolutamente niente.
La sola mente mi offriva tutta quella eccitazione.

Poche ore dopo avvistammo le famose scogliere di Dover.
Il segnale che l’Inghilterra era li a due passi.
Lo spettacolo era davvero unico.
Ci fu un momento che nella nave calò il silenzio.
Mi ricordò gli emigranti che arrivavano in America e con un dito indicavano la terraferma.
Emozionante,pur essendo due situazioni completamente differenti.
Sbarcati,salutammo gli amici e ci dirigemmo verso Londra.
Le campagne intorno erano davvero belle,tutte molto curate e i cavalli inglesi da traino con le criniere fluenti sembravano anche loro far parte di quella effervescenza giovanile.
L’ingresso in città ci sembrò trionfale ,come se dovessimo ricevere le chiavi della città da qualsivoglia autorità.
Nessuno ci accolse.
Ma le vibrazioni che emanava la città erano percepite.
La multirazzialità era in quel paese presente da tempo.
Ma pur essendone a conoscenza abituarsi non fu immediato,ad indiani con tuniche e turbanti colorati, neri con capelli tutti lavorati a mo’ di treccina, inglesi con bombetta impettiti con sguardo fiero e naso all’insù a scrutare il cielo
Era un bell’impatto.
Nel quartiere di SOHO uno come me era visto come un marziano.
La mia estrazione borghese stonava un ciancinino.
Ma ero molto motivato e non badai al resto.

Affittammo una piccola stanza nel quartiere.
Nota dolente fu la pulizia della stanza. Temo fosse avvenuta ai tempi di Churcill.
Ma adesso la smetto.
La sera stessa uscimmo ed entrammo in un locale.
Io, Silvie e l’amata Gibson.
Si chiamava Jazz on Live.
Si scendeva da una scala angusta e giù per 30 scalini lisi.
Arrivati alla fine un omaccione nero ci chiese:
-Ticket please-
Entrammo.
Luci basse,bancone di legno con una sfilza di distributori di birra da far invidia ad Amilcare che poteva mettere in campo solo la mitica “Peroni”.
Al suo interno la clientela era multietnica.
I musicisti tutti di colore.
Partì l’assolo di sax soprano e le mie braccia mostrarono la classica “pelle d’oca”. Che figuraccia.
Si unirono gli altri strumenti,contrabbasso,batteria,chitarra.
I pezzi prendevano sempre più corpo.
Silvie era anch’essa rapita dall’energia che sprigionavano e non si trattenne.
Disse: -devo andare-
Si diresse verso il piccolo ufficio con la scritta “Property” ed entrò.
Pochi minuti dopo venne fuori.
Cosa disse mai a quell’uomo non lo so ancora oggi.
L’unica cosa certa e che la vidi sul palco con loro.
Seduta su una sedia ed imbracciando la sua chitarra ne eseguì un pezzo scritto anni prima.
Ricordo quel momento come se fosse oggi.
La magia che si creò intorno a quella minuta francesina fu tale che tutti si alzarono in piedi in una standing ovation.
Frequentammo il locale ancora per diverso tempo.
Ma qualcosa stava per cambiare.
La nostra permanenza in Inghilterra si era prolungata più del dovuto.Dovevamo fare i conti anche con le spese che stavamo sostenendo.Il credito con la padrona della stanza era ormai cessato.
Provammo subito a cercar lavoro.Ma le paghe erano veramente da fame.
Chiedere soldi alle famiglie?
Mai!
Passarono ancora diversi giorni.Ormai eravamo alle strette.
Ci consultammo.
La decisione presa fu veramente sofferta.
Bisognava vendere la chitarra.
L’unico bene per racimolare soldi e rientrare in Italia.
La demmo in pegno a Saurus il proprietario del club che avevamo frequentato fino a poco tempo prima.
Con la sola speranza di poterla riprendere da li a poco.
Fu molto comprensivo e ci diede anche più del suo valore.
Ripartimmo.

Milano un giorno qualsiasi dei primi anni ’80.
Ero immerso nel traffico cittadino al rientro dal lavoro.
Abitavo molto distante e la mia permanenza in macchina mi portava a girovagare con la mente.
Radio Popolare dava sempre musica molto bella e talune volte venivo proiettato ai tempi dei miei diciotto anni.
Quel giorno subito dopo parcheggiato la macchina ,aprii la cassetta della posta.
Non era mia consuetudine farlo.
Vuoi che abitavo solo,vuoi che la mia pigrizia era tanta.
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Una lettera!! .
Non mi scriveva mai nessuno.
Sul fronte “ Al sig.Franchetti”.
Sul retro una S.
Aprii con trepidazione,una volta entrato in casa
Mi sedetti.

-Ciao.
Non avresti mai immaginato che potessi essere io.
Se getterai questa lettera via capirò.
Ma fammi prima spiegare.Poi deciderai.
Abbiamo passato momenti indimenticabili tra di noi. L’amore era veramente grande.
Ma da allora sono passati oltre 12 anni.
Non ci siamo mai più sentiti. La vita ha voluto cosi.
Ma ricordi,dobbiamo compiere “un viaggio”-

Domandai a me stesso cosa avesse in mente.Avevamo sofferto entrambi della separazione.
Certo il tempo aveva lenito le ferite,ma era altrettanto vero che il solo fatto che ero senza una compagna forse voleva significare qualcosa.
Accettai la richiesta.
Ci incontrammo a Calais dove la magia ebbe inizio.
Quando ci vedemmo non ci abbracciamo subito.
Ci scrutammo.
Non eravamo più giovanissimi e vestiti borghesi avevano preso posto di jeans e tuniche con fiori.
Ma la magia stava per riformarsi.
-Dammi la mano- disse lei.
Traghettammo e stemmo tutto il tempo abbracciati in silenzio.
La nave era semivuota ma sentivamo ancora le urla dei ragazzi rivolte ai gabbiani.
Ci fermammo davanti ad un negozio in Empty Road.
La Gibson era lì.
Ancora luccicante.
Sembrava attenderci.
Quell’incontro sembrava fissato nel tempo.
Dimenticavo.
Il mio nome e’ Francesco.Il mio amore si chiama Silvie
E la chitarra tornò con noi.



patapump

   
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