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 Un piede nell'inconscio
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Roberto Mahlab
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Inserito - 22/06/2009 :  19:42:10  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Riassumendo : la mia psiche è caduta rovinosamente sul mio piede sinistro e non è una metafora.

Accadde venerdì, ero concentrato, anzi direi ispirato, davanti allo schermo del computer. Avevo ricevuto l'incarico di tradurre un documento molto importante e ci tenevo, sarebbe stato pubblicato su una rivista la settimana successiva, quell'immersione volontaria che faceva scorrere le mie dita sulla tastiera come fossero note su di un pianoforte, tanto mi ero appassionato, riusciva ad addormentare la mia angoscia, i miei occhi pur rapiti dal testo, ogni tanto si abbassavano sotto al tavolino, lanciavano fugaci sguardi preoccupati verso il discone di salvataggio dei dati, appoggiato tra il ripiano e la cassettiera, ben incastrato.

"Ma perché non lo lasci adagiato sul pavimento?", mi aveva domandato la mia segretaria e braccio destro e sinistro e mente pensante qualche giorno prima.
Lo avevamo appena cambiato, perché il precedente aveva smesso di funzionare all'improvviso, come si erano dimostrati inutili i dischetti giornalieri e settimanali, una fatica metterli e toglierli senza sbagliare giorno con un risultato deludente, si smagnetizzavano dopo poche ore addirittura.
"Il ripiano tra il tavolino e i cassetti pare fatto apposta per contenerlo", affermai in risposta, non era una ragione valida e la mia segretaria mi osservò perplessa, poi alzò le spalle, un'altra conferma che io possedevo solo due neuroni nel cervello, uno era caduto e si era rotto e l'altro era difettoso di fabbricazione, come sosteneva e per questo non mi affidava mai compiti più complessi dello svuotamento dei cestini.

A volte avevo gli incubi durante la notte e mi svegliavo terrorizzato, se il computer si fosse guastato, quale sicurezza avevo che gli archivi dell'azienda potessero essere recuperati da quei dischi di salvataggio che mostravano una particolare disponibilità a guastarsi? E che senso razionale aveva spostare il disco di salvataggio tra il tavolino e la cassettiera, non era piuttosto la rivelazione di una nevrosi?

Una nevrosi, sapevo come definirla perché stavo leggendo "Le passioni della mente", un volume di appassionanti mille pagine della biografia di Sigmund Freud, scritta da Irving Stone. La psicanalisi, la scienza che cura l'apparente irrazionalità dell'inconscio per permetterci di tornare a condurre un'esistenza non più infelice di quella che è comune destino dell'umanità, come rifletteva Sigmund Freud quando si interrogava su come guarire i suoi pazienti. E mi meravigliavo di avvertire la necessità di scoprire l'origine della mia angoscia, che per definizione sorge quando la psiche viene sopraffatta da un influsso di stimoli troppo forte per essere padroneggiato o scaricato.

Ma a tutto questo avrei pensato dopo aver terminato la traduzione, che mi rendevo conto si era trasformata in una valvola di scarico, l'idea repressa veniva addirittura accantonata. Pura illusione ovviamente.

Dolore puro, all'improvviso. Una sciabolata aveva colpito il mio piede sinistro, all'altezza dell'alluce, un grido dapprima strozzato, incredulo, poi liberato e rilasciato, a bocca aperta. Poi ripetuto, tra i primi singhiozzi, mi alzai dalla sedia e cercai di camminare per l'ufficio, come per fuggire al male, ma esso non cessava, era insopportabile, i miei occhi si abbassarono e compresero che il pesante disco di salvataggio dei dati mi era precipitato precisamente sull'alluce e adesso giaceva, esanime e senz'altro distrutto, sul pavimento. L'incubo, nuovamente, l'incubo era tornato realtà, tra un urlo e l'altro, sprazzi di comprensione che se il computer si fosse guastato, non avrei potuto recuperare i dati che permettevano alla mia azienda di vivere. Crollai su una poltrona, per dieci minuti il dolore al piede non volle saperne di affievolirsi, mi rialzai e andai al frigorifero, tirai fuori dallo scomparto superiore decine di cubetti di ghiaccio, tolsi la scarpa e li avvolsi dentro un asciugamano attorno alla parte ferita, anche la testa mi rimbombava. Poi mi rimisi davanti al computer, mi aggrappai alla traduzione come fosse un'isola che mi permettesse di ritrarmi dal mondo della coscienza, dovevo finirla, proprio perché il piede non riuscivo più a muoverlo, se avessi avuto bisogno di cure, il lavoro sarebbe rimasto incompiuto. Quella notte dormire risultò impossibile, il frigorifero produceva a stento la quantità di cubetti di ghiaccio che utilizzavo.

Il lunedì, di ritorno al lavoro dopo il fine settimana, la mia segretaria mi ritrovò pallido, preoccupato e zoppicante e, quando le raccontai che cosa era accaduto, si raccomandò che chiamassi il medico per verificare che il piede non si fosse rotto, ma insistetti che non era il caso, non era rotto, la rassicurai, con la stessa logica irrazionale con la quale l'avevo persuasa la settimana precedente che la nuova posizione del disco di salvataggio era sicura. Poco convinta, telefonò al tecnico che segue il nostro sistema informativo e lo mise al corrente, "dicono che sarebbe l'occasione di cambiare tutto", mi informò la mia segretaria e poi aggiunse "il computer, non il tuo piede" e si trattenne a stento dal ridere.
Nel pomeriggio il tecnico passò in ufficio per presentare l'offerta per un computer e un server nuovi e mi riferì che mai in tutta la sua vita gli era capitato che qualcuno distruggesse un sistema informativo tirandoselo sul piede. Risposi di rimando che comunque la cura del ghiaccio aveva diminuito, pur senza farlo passare, il dolore al piede e suggerii che, anziché cambiarlo, forse avremmo potuto curare anche il computer con una borsa da ghiaccio. L'esperto girò lo sguardo verso la mia segretaria, ma lei aveva fatto finta di non sentire e allora, tutto serio, ribatté che secondo la sua esperienza la mia proposta sarebbe servita a poco e il computer non sarebbe guarito, non fu molto chiaro, usò delle espressioni molto tecniche, tipiche di chi non sa come respingere un'ottima idea di una persona qualsiasi che sta mettendo a dura prova il suo sapere. Infine, vedendomi dubbioso, mi fece uno sconto e allora cedetti e la mia segretaria si mise le mani attorno al viso per nascondere il sorriso.

Ci volle una settimana per montare tutto il nuovo sistema, il dolore al piede persisteva, raccontavo ai miei clienti l'accaduto e la reazione comune fu di incredulità, alcuni si rotolarono per terra dal ridere, :"non è possibile, nessun essere cosciente si tira sul piede un discone del computer". Finì che fui obbligato a narrare che zoppicavo vistosamente perché avevo affrontato e respinto tutto da solo una invasione dei marziani. "Be', questo è già più credibile", esclamò con comprensione un cliente che non aveva ritenuto verosimile la reale spiegazione dell'infortunio.

Durante quelle lunghe giornate di attesa per il nuovo sistema, passavo i pomeriggi su una panchina del parco, a leggere il libro su Freud e la psicanalisi, rimasi affascinato dalla scoperta del simbolismo, quando il disturbo colpisce una parte del corpo presa a simbolo di una colpa sentita. E poi le manifestazioni dei traumi esistenti come derivanti da traumi precedenti originari, l'idea repressa che prende la sua rivincita diventando patogena, i processi per cui gli individui si salvano da stati d'animo sgradevoli scacciando dalla coscienza e dalla memoria idee diventate intollerabili al punto di dover essere rimosse, mentre in realtà gli impulsi repressi continuano a sussistere nell'inconscio e vengono inesorabilmente alla luce in modi imprevedibili.

Per l'intera settimana, il piede mi fece vedere le stelle, l'alluce non dava cenno di voler riprendere a piegarsi normalmente, quante volte desiderai manifestare la mia frustrazione con il classico movimento di prendere a calci un sassolino, mi bastò farlo una sola volta proprio con il piede sinistro per non ripetere l'esperienza.

I tecnici lavorarono tre giorni interi di fila per l'installazione del nuovo modernissimo sistema, i dischi di salvataggio erano diventati tre e tutti e tre appoggiati al pavimento, :"adesso non potrai più farteli cadere sui piedi, non tutti e tre e poi, se avvenisse, date le loro dimensioni, non ti basterebbe una borsa per ghiaccio per salvarti il piede", riconobbi che la loro logica non faceva una grinza.

"Ma non zoppichi più?", osservò la mia segretaria il mattino dopo, "è vero, mi sento molto meglio", confermai e, nel giro di un paio di giorni, il mio dito riprese a muoversi come prima dell'incidente e il dolore cessò. Insieme alla preoccupazione per la perdita dei dati di salvataggio, ormai assai improbabile. E arrivai anche alla fine delle mille pagine della biografia di Freud. E, all'improvviso, il mio "io" rilassato si autoanalizzò e scoprì, nel mio inconscio, le origini volontarie della mia apparente involontaria sbadataggine che aveva causato la distruzione del disco di salvataggio.

Vienna, 1908

Risalii la Berggasse fino a che giunsi di fronte al portone della casa di Sigmund Freud, quel mercoledì, come tutti i mercoledì, si sarebbe tenuta nello studio del Maestro la consueta riunione della società psicanalitica viennese, i relatori avrebbero dovuto presentare i risultati dei loro ultimi studi che sarebbero stati pubblicati sulla prossima edizione dello Jahrbuch. Attorno al tavolo si era già accomodato, oltre al padrone di casa Sigmund Freud, il gotha della scienza psicanalitica mondiale nelle persone di Alfred Adler, Carl Jung, Max Kahane, Karl Abraham, Ernest Jones, Otto Rank, Sandor Ferenczi, Ludwig Jekels, Hanns Sachs, Eugen Bleurer. Anche se ero un "nuovo", mi accolsero con cortesia e cordialità, benché sapessi che sarebbero state di corta durata, infatti i convenuti alle riunioni del mercoledì sera erano famosi per fare a pezzi le relazioni degli altri studiosi, Freud teneva particolarmente che le critiche fossero aperte e spietate, perché non poteva permettere che la nuova scienza contenesse errori o superficialità, tutto ciò che sarebbe comparso poi in pubblico, doveva aver superato qualsiasi analisi. Sigmund Freud si accese il decimo sigaro della giornata e mi fece cenno di iniziare.

"Cari colleghi, che cosa lega l'inconscio ad un piede? Semplice, direte voi, il piede non è altro che una parte del corpo presa a simbolo di una colpa sentita. Di conseguenza il trauma che ho subito all'alluce colpito dalla caduta del disco dei dati trae le sue origini in un trauma avvenuto precedentemente, in una esperienza negativa che ha avuto bisogno di una esperienza negativa ausiliaria per manifestarsi, una idea che avevo represso, una repressione divenuta intollerabile che era rimasta impigliata nel mio inconscio fino a diventare patogena".

Adler si sporse in avanti, Jung si grattò i baffetti, Otto Rank prendeva furiosamente appunti, il sigaro di Freud rimase a mezz'aria, ma nessuno dei convenuti azzardò una parola, parevano affascinati.

"Ebbene cari colleghi, vi prego di fare mente locale, quale era l'idea repressa che la mia coscienza rifiutava di considerare? La perdita di tutti i dati a causa dell'inadeguatezza del sistema di salvataggio. E quale organo fu colpito dall'avvertimento di intollerabilità ulteriore dell'angoscia da parte del mio inconscio? Il mio piede. E come avvenne? Guarda caso con l'avventato posizionamento del pesante disco di salvataggio, ma non fu evidentemente un caso, che mi cadde proprio sul piede, rompendosi e causando, paradossalmente, la manifestazione del mio terrore represso, la definitiva perdita del supporto di salvataggio".

Freud deglutì, Jung aveva gli occhi sbarrati, Adler tratteneva il respiro, Carl Abraham aveva posato le mani attorno alle tempie, era come se tutti attendessero che l'eco delle mie sconvolgenti parole si affievolisse.

"Solo a questo punto io fui obbligato a guardare in faccia la realtà e a farmi installare un intero nuovo sistema con addirittura un triplice marchingegno di salvataggio dei dati e fu solo dopo tale installazione che il mio piede guarì e guarì perchè evidentemente il mio inconscio aveva riconosciuto come terminata l'idea repressa che mi tormentava e la cui esistenza io cercavo di cancellare, ma dall'inconscio, come sapete, non si cancella nulla".

Per alcuni secondi ci fu il silenzio assoluto e poi, anziché l'usuale coro di critiche, si udì un lento battito di mani, erano quelle di Sigmund Freud, Adler levò il calice di vino verso di me, Jung scuoteva il capo con ammirazione, Otto Rank aveva posato la penna e si asciugava il sudore dalla fronte, Carl Abraham esclamò :"bravo herr doktor Rob", con tono convinto e definitivo.

"Rimane...", levai una mano per chiedere ancora un poco di attenzione, "cari colleghi, rimane una questione che nessuno di voi, nello sviluppo della vostra straordinaria attività e nel lascito che avete donato all'umanità, ha mai preso in considerazione".

Notai che tutti i volti dei convenuti erano fissi su di me, come se li avessi ipnotizzati, io, ipnotizzare il maestro dell'ipnosi in campo medico, Sigmund Freud.

"Se è vero, come avete dimostrato, che è il nostro inconscio a conservare memoria delle nostre idee represse e poi a esternarle attraverso una parte del corpo presa a simbolo, è anche vero che le cure psicanalitiche per portare alla luce tali idee represse e curarci e guarire costano, senza contare che, per esempio nel mio caso, ci possono essere addirittura ricadute di violento dolore fisico, ma allora, vi chiedo, per quale motivo il nostro inconscio, anzichè limitarsi a registrare le nostre angosce, non si impegna a risolverle alla radice? Nel mio caso per esempio, c'era proprio bisogno di organizzare la caduta del disco sul piede per provocare di conseguenza l'esternazione di uno dei miei incubi peggiori e farmi spendere per comprare un sistema nuovo e sicuro? Io non discuto del successo del complicato metodo dell'inconscio, ma chi paga i danni subiti dal mio piede?"

Freud scosse il capo, Adler levò le braccia nella classica espressione di resa, Jung si grattò la guancia, Eugen Bleurer aggrottò le sopracciglia come a cercare una risposta.

"Semplice cari colleghi, i danni li paga chi li ha provocati e di conseguenza, quando uscirò da qui, telefonerò al mio legale e farò causa al mio inconscio, chiedendo un milione di dollari in riparazione".

Dall'enciclopedia galattica - Trentesima edizione - Volume LVXII - Anno stellare 2873 - Capitolo XI :"La nuova era dell'inconscio cooperativo"

In quei primi anni del secolo ventunesimo, un discepolo degli analisti freudiani della Berggasse risolse definitivamente le ansie del genere umano. Dopo la prima chiamata in giudizio di un inconscio, in breve tempo gli inconsci individuali si autoeducarono a risolvere le idee represse anticipando nelle menti umane gli eventuali danni conseguenti, senza più utilizzare complessi procedimenti di simbolismo traumatico. Come dichiarò l'ideatore della teoria dell'inconscio cooperativo :"se è vero che il nostro inconscio può colpire uno qualsiasi dei nostri organi, è anche vero che gli esseri umani sono in grado di colpire il solo organo sensibile del proprio inconscio e cioè il portafoglio, da quando l'inconscio viene ritenuto responsabile nei tribunali per i danni provocati, ha smesso di esserne l'artefice e si è trasformato in un collaboratore che rimuove anticipatamente le cause delle nostre angosce".
L’autoanalisi immediata individuale divenne una caratteristica genetica, le nevrosi divennero un lontano ricordo e, dopo essersi definitivamente liberato delle angosce e dei conflitti interiori, il genere umano poté incamminarsi in un futuro in cui il tempo della vita servì solamente per costruire e scoprire i segreti dell’universo e l'enciclopedia galattica si trasformò da una memoria di avvenimenti storici drammatici in una collezione di armonie universali.

Roberto Mahlab
(I racconti dell'ufficio)

Cari lettori, non voltate pagina, il racconto non è finito, c’è una scena dopo i titoli di coda ….

Vienna 1908, riunione del mercoledì nello studio della Berggasse

Sigmund Freud, al termine dell'esposizione di Roberto, diede due sbuffi di sigaro ed esclamò :"e meno male che il disco gli è caduto sul piede, figuriamoci che cosa si sarebbe inventato se gli fosse caduto sulla testa".


   
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