Inserito - 19/02/2010 : 19:16:45
La lezione di voto “Guarda com’è bella” disse il medico sollevando il fagotto di fasce in cui era avvolta una piccola bimba urlante e grinzosa. “Somiglia a Peppe” continuò sistemando la bimba accanto alla mamma che, stremata, respirava abbandonata sul grande letto della stanza in penombra.
Il parto era stato difficile e solo la grande esperienza dell’anziano dottore aveva evitato il peggio. Ma tutto era andato bene e ora anche lui, il burbero medico condotto, poteva rilassarsi un attimo. “Come la chiami, ‘sta bella femminuccia? ” chiese avvicinandosi alla donna la cui fronte era ancora imperlata di sudore per lo sforzo sopportato. “Con il nome santo della Madonna: Maria” fu la risposta, appena sussurrata, mentre con la mano accennava al segno di croce. “Se fosse stato un maschio, sarei stata più contenta...” continuò in un soffio “ mi sarebbe piaciuto offrirlo a Dio e farne un sacerdote...” “E stai contenta lo stesso” le disse il medico ridendo, “ne puoi sempre fare ‘na monaca “. La bambina, da sotto il fagotto di fasce, urlava a squarciagola tutto il suo dissenso. Si era in aprile e la primavera timidamente stava arrivando: i peschi sfoggiavano i loro delicati fiori di cera, i campi di grano ondeggiavano sotto il soffio del vento capriccioso e nelle siepi si udivano i sommessi pigolii degli uccelli appena nati. L’aria era a tratti tiepida e invitava a stare al sole. “Come sta Nicoletta?” chiese alle compagne una delle quattro donne sedute al sole della piazzetta, alzando la testa dal complicato ricamo che stava effettuando. “E’ ancora troppo debole...la piccinina invece sta bene” rispose la più anziana ; poi continuò, come svelando un segreto, “forse non ce la farà ad andare a votare ...” A quella parola le donne lasciarono il proprio lavoro e si guardarono. “ Ma che dobbiamo fare? Io non lo so che è ‘sto voto. “ disse la più giovane che si chiamava Felicetta, con uno sguardo interrogativo. “Mio marito mi ha detto che devo stare a casa e pensare alla famiglia” rispose una bruna che lavorava ai ferri, “ ma io voglio votare per il principe Umberto. Quant’è bello... è più bello di Rodolfo Valentino...” e sospirò rumorosamente. A questa esternazione tutte le donne si misero a ridere, lanciandosi occhiate di complicità . La donna anziana, che si chiamava Rosa ed era sorella della puerpera, continuò: “Non scherzate con queste cose. Ormai siamo una repubblica e il re non c’è più. Comunque io non lo so se ci vado a votare anche se Nicoletta insiste che è importante e che dobbiamo andare tutte a votare. Lo sapete che è fanatica, sempre a leggere giornali, i libri e ogni cosa che trova...” Il voto. Quello per le elezioni politiche del 18 aprile 1948 sarebbe stato la prima volta per le donne del piccolo paese del sud e, anche se alcune avevano partecipato al referendum del 1946, per altre era la novità che toglieva il sonno. Qualcuna, fra le più devote, aveva chiesto consiglio al parroco che aveva risposto: “Solo la democrazia - quando è cristiana - può essere destinataria della nostra preferenza...e poi, don Ciccio,... u’ cancelliere , no? È una degna persona. Sempre presente alle funzioni, gran lavoratore...” “Ma quello si mantiene la grandhotel... “ aveva ribattuto una ragazza senza peli sulla lingua, ricordando la tresca che il buon candidato aveva imbastito da anni con una nota signora, per così dire, di ampie vedute. “Piano, andiamoci piano con le calunnie....” era stata la sbrigativa risposta del religioso che aveva troncato sul nascere ogni possibilità di ulteriori chiarimenti sulla faccenda del voto. Ecco quindi che Nicoletta, con le sue ripetizioni di voto, diventava essenziale per quello che avrebbero dovuto fare le quattro amiche sedute al sole. E infatti, il giorno stabilito per la prova, si presentarono a casa della maestra. “Mi raccomando, non me la fate stancare che deve dare il latte alla piccinina” le apostrofò la sorella-cerbero della puerpera : Nicoletta, seppur bianca come morta, cercava di mascherare la sua stanchezza con il sorriso sincero di vedere le sue amiche. “Qua, venite qua, che vi faccio vedere come dovete fare. “ disse facendole accomodare attorno al tavolo da pranzo dov’erano sparsi due, tre fogli di carta. A lei come votare , oltre ad averlo letto sui giornali, l’ aveva spiegato e rispiegato suo marito Peppe che, il gran giorno, avrebbe dovuto essere anche al seggio in qualità di scrutatore e che quindi aveva un’indiscussa autorità agli occhi di tutti. “Ecco, questa è la Democrazia Cristiana” e disegnò un quadratino con vicino una specie di bollo con una croce. Poi, fermandosi a metà, quasi sorpresa dal suo stesso pensiero : “Tanto tutte per la Democrazia Cristiana votiamo o no?” disse rivolgendosi interrogativamente alle compagne. “Si, si, vai avanti” disse una. “E che dobbiamo votare per “Baffone” ?” disse un’altra, alludendo ai comunisti. “Io vorrei votare tanto il principe Umberto...” disse con un sospiro la solita bruna. “E dai con ‘sto Umberto ” ribattè Nicoletta. “Questa è una cosa seria. Pensate che il nostro voto farà eleggere una persona che ci deve rappresentare e che dovrà fare leggi nel nostro interesse e in quello di tutta l’Italia. “ “Si, come quando abbiamo dato le fedi d’oro alla patria...” disse sarcasticamente, e senza alzare la testa dal foglio, la donna più anziana, mostrando la mano sinistra dove all’anulare, invece di una vera d’oro, portava un cerchietto di rame. “Adesso è diverso” continuò Nicoletta. “dai, state attente che non sto bene. Allora. Segnate con la croce nel quadratino, e mi raccomando, che è importante, scrivete il nome di don Ciccio e ....” “Ma quello tiene 'nu nome strano....Straccadamo.. Straccaimmo...Come si scrive, ‘sora mia ..? “ chiese Rosa rivolgendosi alla sorella. “S-t-r-a-c-q-u-a-d-a-i-n-o F-r-a-n-c-e-s-c-o-p-a-o-l-o ” sillabò Nicoletta e scrittolo sui fogli di carta li diede alle amiche. “Imparatelo bene e dopo averlo scritto, ripiegate la scheda, incollatela come una busta da lettera, avete capito?, e andate a imbucarla dove vi dice Peppe, tanto ci sta lui al seggio e non vi potete sbagliare. “ Le amiche si guardarono, presero il foglio e, per rispetto verso la puerpera, lasciarono la casa senza dire altro. Negli ultimi giorni di campagna elettorale la propaganda si fece più insistente. Ogni candidato si ricordava delle parentele più lontane, dei comparaggi non più rispettati, delle vecchie e nuove amicizie, e ogni incontro diventava motivo per omaggiare i potenziali elettori con un ricordino con il proprio nome da votare. Anche il Partito Comunista aveva il suo bravo candidato: tale Ciro Bove, calzolaio, uomo mansueto come il suo cognome, scelto da partito che, ben sapendo di non poter in alcun modo vincere in un paese dove la componente cattolica era una forza imbattibile, aveva bisogno di un nome di facciata, tanto per presentare qualcuno nelle liste. La sua era stata una campagna discreta ma incisiva. Infatti, seduto al suo banchetto di lavoro, mentre batteva i chiodi sulle scarpe rotte dei suoi clienti, cantava modulando la bella voce baritonale ai colpi di martello sulle tomaie. “Scrivi il nome e fai in fretta, Ciro Bove , sì, è perfetto”. E la pubblicità è l’anima di ogni attività. Il gran giorno era arrivato. Felicetta di buon mattino era andata alla messa e, all’uscita, il parroco le aveva detto sottovoce : “ricordati che Dio ti vede”; poi si era recata alla scuola elementare dove era stato allestito il seggio elettorale. Una fila di persone aspettava il turno e molte donne erano visibilmente emozionate. Anche Felicetta lo era. Mentalmente ripassava tutte le mosse simulate nella casa di Nicoletta ma era in apprensione per l’incognita della novità che l’amica aveva caricato di così grandi aspettative. Sarebbe stata all’altezza? Il cuore le batteva forte quando, con la scheda e la matita in mano scostò la tenda per entrare in quel piccolo camerino di legno. Ecco: aprire la scheda, trovare il quadratino con il simbolo e scrivere il nome di don Ciccio: dunque, S-t-r-a-c...... “ ripeteva a fior di labbra. “Mannaggia a te e a ‘sto nome difficile che c’hai !” si disse Felicetta e, fattosi coraggio, scrisse con decisione : ”Ciro Bove”. Ophelja
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