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 UNA SERA DI FEBBRAIO...L'INCUBO INSPIEGABILE
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zanin roberto
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Italy
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Inserito - 07/03/2010 :  12:36:25  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
Il fiumiciattolo che scorreva placido in mezzo alla campagna, nei pressi dei vecchi molini di Stalis, antica costruzione quattrocentesca ora restaurata, rifletteva la luce di una luna anemica e lattiginosa, la fredda sera invernale si avvolgeva di vapori densi, nebbie appiccicose e invadenti si alzavano a banchi e ogni tanto il richiamo della civetta rimbalzava di campo in campo. Teofrasto, un ragazzo di vent'anni camminava in quella stradina bianca di ghiaino sottile, che schioppettava sotto le suole delle scarpe come chicchi di granoturco esplosi al calore, aveva un grande peso sul cuore, la sua ragazza lo aveva lasciato, cosi senza una vera ragione, per un capriccio per una noia che attanaglia molte volte la normalità se mai amore fosse stato. Aveva lasciato l'abitato di quel paese della campagna friulana per perdersi in quell'angolo di natura, lontano da ogni luce o suono, lontano da quella umanità che l'aveva tradito, lontano dal pensiero di quella bella donna che l'aveva illuso. Più avanzava e più la poca luce argentea d'una strana luna che si nascondeva dietro nuvoloni minacciosi, si faceva rara e il buio lo copriva, nero e silenzioso, con un leggero odore di muschio che pervadeva i fossi e il solitario fruscio dei tanti animali che diventavano protagonisti di notte. I salici appena potati costeggiavano i fossi, proteggendo le vigne basse, per poi alternarsi alle acacie spinose e ai gelsi nodosi che delimitavano vasti pianori a foraggio, di tanto in tanto un ruscello attraversava la strada, con le acque di risorgiva fredda e limpida, sul ponticello di cemento Teofrasto si fermò a guardare il pelo dell'acqua, perso nei suoi pensieri, poi si accorse che la nebbia saliva veloce dalle rive, un tonfo nell'acqua lo destò, forse un roditore si era tuffato o un pesce aveva fatto un salto acrobatico, non ci diede peso e si voltò per incamminarsi verso i non lontani molini di Stalis, ma qualche cosa lo tratteneva, aveva una scarpa incastrata in una fessura del ponte. Tirò con forza ma non si sganciava, diede uno strattone e finalmente si liberò. Un gorgoglio saliva insolito dal fondo del letto del fiumiciattolo, un flebile lamento, una voce quasi umana ma che non osava definirsi, stette in silenzio, concentrato tirando le orecchie e gli parve di sentire un pianto, no forse era un'imprecazione.
- " Ehi, ragazzo, non andare oltre, torna sui tuoi passi, sei giovane ... e sei ... cosi indifeso!" - percepì nitida la voce di donna che lo minacciava di non andare oltre, un consiglio perentorio. Si abbassò per scrutare meglio il fondo del rivo, guardò sotto il ponticello, scese sulla riva sinistra ma non vide nulla, per un minuto la luce lunare tornò ad illuminare la scena, ma la nebbia cominciava ad avvolgere tutto, cosa aveva sentito?
La sua immaginazione gli faceva brutti scherzi, aveva scambiato degli sciaquii per una voce umana, era davvero nervoso e non voleva ammettere di avere paura, solo, al buio, in mezzo alla sperduta campagna, con dei vecchi molini abbandonati, ma si rincuorò, si strinse nelle spalle e girò i tacchi per raggiungere lo slargo della piazzola dove si sostava a visitare gli storici manufatti. Fece solo un paio di passi poi il cammino era sbarrato da una figura alta e scura, un uomo con un cappellaccio rovinato in testa e un vestito di sacco, con una sorta di sorriso forzato mostrava denti neri e storti, le mani nodose ed esangui stringevano una specie di lunghi spilloni che fremevano con un tremolio insistito e anormale, ebbe solo il tempo di vedere alzarsi le braccia scheletriche del losco individuo e poi sentire una fitta lancinante alle gambe. Si guardò e vide rivoli di sangue scendere lungo i polpacci, aveva quattro fori sottili alle coscie. Si portò le mani alle gambe poi cercò di avanzare per bloccare l'aggressore ma non c'era più, era scomparso, inghiottito in quel mondo di vapori e di nebbie che si spegnevano dentro un pioppetto a fianco. Raggiunse con dolore i molini, si avvicinò al fiume e bagnò il fazzoletto per tamponare e lavare le ferite che però già si stagnavano. Il fluire sinuoso e felpato del fiume Lemene leniva quel tormento psicologico più che il dolore fisico,ora la luna era uscita con forza dalla stretta delle nuvole e illuminava i molini posti in successione, il secondo ancorato su un'isoletta circondata dai rami del fiume. Era seduto Teofrasto, incredulo e impaurito, non voleva ammettere di aver visto un fantasma o cosa diavolo era quella figura ma certo considerava gli effetti di un'agressione bella e buona, di una violenza gratuita e di una logica incomprensibile, il battito del cuore si era stabilizzato, il sudore freddo ora non scendeva più e il sangue si era coagulato sulle ferite.
Si alzò in preda a un raptus liberatorio e gridò con quanta forza aveva:
- " Chi sei, animale o creatura demoniaca, bestiaaaaa!!! ...." - urlò con tutto il fiato in gola e con enfasi che lo rincuorò, rinsaldando un minimo di coraggio nel suo essere scosso e disorientato. Dall'acqua che scorreva perpetua si sollevò un vasto fiato di nebbia che si accumulò densa sulla riva, una faina si aggirava sospettosa nel canneto ai margini dello spiazzo, con un scricchiolio debole e scontato, si alzò ancora la nebbia e di colpo una voce di donna si fece nitida.
- " Ragazzo, io ti avevo avvertito, non ci sono possibilità di ripiego, il fato segue il suo corso, ora preparati all'estremo sacrificio ... ! " - rise mesta e compiaciuta la inafferrabile entità mentre Teofrasto simultaneo come una miccia incendiata, preso un grosso bastone, roteava su se stesso a 360 gradi, menando colpi alla vegetazione. Non vedeva nessuno ma quando lo sguardo cadde sulla superficie dell'acqua, scorse il volto deturpato dalla peste, di una vecchia sdentata, avvolta in laceri panni, con le unghie lunghe e nere, uno sguardo febbricitante, con i cappelli che le corpivano le spalle come cordame d'un vascello antico, si avvicinò e affondò un colpo nell'acqua con una forza tremenda, producendo uno schizzo ampio e frammentato con un gesto violento e saettante.
L'immagine scomparve ma non la sua rinnovata paura, si diresse all'ingresso e di tanto in tanto dava dei colpi con il bastone finchè si paralizzò difronte alla comparsa dell'uomo con il cappellaccio, gli occhi iniettati di fuoco, le mani che stringevano un'ascia grande e arruginita, il sorriso del cacciatore con la sua preda in trappola, gli facevano pensare che stava vivendo gli ultimi attimi della sua vita, sgoccioli di gioventù,frammenti di esistenza, un'impensabile fine illogica e imprevedibile, uno schiaffo del destino, una rivalsa della sfortuna, chiuse gli occhi nella consapevolezza che ormai era la fine e in un'ultimo disperato gesto, alzò il bastone e vibrò un colpo con tutta la forza rimastagli. Senti un cedimento materiale alla traiettoria e di colpo senti un peso sul piede sinistro, apri gli occhi e vide una faina sanguinante ai suoi piedi. Aveva ucciso un animale ma della orrenda creatura non c'era più traccia, tutto era tornato normale, forse anche il suo incubo, forse una distorsione temporale del suo animo ma le fitte delle ferite lo riportarono a considerare che forse non sempre tutto è spegabile.
La luna stanca e indifferente si nascose ancora quella notte tra le torbide forme delle nuvole senza pudore.

zanin roberto

   
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