Gabriella Cuscinà
Senatore
Italy
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Inserito - 04/07/2010 : 08:15:31
Reminescenze Mia nonna Santina è una signora ancora in gamba nonostante i novant’anni. I suoi ricordi sono vividi e chiari. Ha vissuto la sua giovinezza in una cittadina della Sicilia. Rammenta la povertà di quei tempi come una parte di se stessa, qualcosa che non scorderà più. Oggi la nonna è benestante, non abita più là, ma continua a conservare intatto il senso di una vita austera, semplice, dedita al lavoro e al sacrificio. Per esempio ricorda una bambina più povera di lei che andava a rubare il pane e che quando fu sorpresa a rubare, disse al fornaio: “Ma solo voi dovete mangiare il pane?” Povertà. Nella Sicilia degli anni Trenta vi era tanta povertà. I bambini giocavano in mezzo alle strade con i sassolini, con i pezzi di legno, con delle semplici cordicelle o con i cani e i gatti randagi. Quando aveva quattordici anni, una delle sue amiche s’innamorò del ragazzo più bello del paese e scommise che sarebbe riuscita ad andarlo a baciare davanti a tutti. Ci riuscì, ma il risultato fu che da quel momento venne considerata una specie di donna perduta. A quei tempi aveva un amico che si chiamava Ruggero. Era un ragazzino terribile, una vera peste. Le loro madri erano molto amiche e li avevano partoriti quasi contemporaneamente. Quando aveva cinque anni, Ruggero ne combinava di tutti i colori e allora i suoi genitori, per tenerlo a bada, avevano assunto una bambinaia. Questa donna era una specie di guardia nazista e, per farlo addormentare, gli metteva il tubo del gas in bocca per due secondi. Un bel giorno la madre di Ruggero s’accorse di questa operazione e, invece di urlare, restò senza fiato, senza parole, come un’ebete. Dopo essersi ripresa, disse: - Ah! Ecco perché paghiamo tanto caro il gas! Esca subito da casa mia. - Il padre di Ruggero faceva l’avvocato e nel suo studio legale aveva una segretaria molto avvenente. Quando il bambino aveva dodici anni, si recava spesso allo studio e se ne stava nella stanza della suddetta segretaria, che era sempre intenta a battere a macchina. Si divertiva a parlare con lei e la faceva ridere. Una volta inventò un giochino: s’intrufolava sotto il tavolo dove lei scriveva a macchina e la sfidava a riuscire a continuare a lavorare e battere sui tasti mentre lui le toccava le gambe, le cosce e le natiche. Il bello era che la segretaria ci stava, si dimenava sulla sedia e continuava la battitura. Naturalmente sbagliava varie volte, sghignazzava, doveva correggere e si capiva che le piaceva farsi tastare da Ruggero. Quanti ricordi di una vita trascorsa nel posto più bello del mondo! Perché i luoghi della sua infanzia rimangono per nonna Santina i migliori che possano esistere. Aveva un altro amichetto, Giuseppe, che le raccontava che il maestro lo toccava sempre. Il bambino scappava, lui lo rincorreva e quando l’afferrava gli manipolava il culetto minacciando di sculacciarlo. Giuseppe a scuola conobbe Giulia e provò la voglia di toccarla sempre. Lo confidò alla sua amica Santina e insieme capirono che nella vita si può provare piacere anche a palpare le persone, a toccarle, a ricavare soddisfazione dal contatto carnale. Nella cittadina c’era un carrettiere che si chiamava Tommaso. Questi per sfamare la sua numerosa famiglia, smerciava vino di contrabbando. Una volta era stato sorpreso dai carabinieri e arrestato. Aveva scontato un anno di carcere, poi era uscito e aveva ricominciato il contrabbando. Un giorno la madre di Santina gli chiese un passaggio sul carretto e lui fece una strada del tutto diversa da quella solita. Alla domanda del perché avesse fatto quella strada, Tommaso rispose: - Molti anni fa mi ero ubriacato e stavo tornando al paese col carretto. Era notte fonda e non si vedeva nulla. Il cavallo procedeva lungo la strada e ad un tratto ebbe uno scarto, s’impenno, poi continuò la sua marcia nitrendo e sbuffando. Nel frattempo avevo sentito il carretto sbattere e sobbalzare, ma non ci avevo fatto caso perché ero troppo sbronzo. L’indomani mattina quando tornai sobrio, seppi che avevano trovato un morto lungo la via. Dicevano che un poveraccio s’era addormentato in mezzo alla strada ed era stato ucciso dalle ruote di un carro. Capii subito d’essere stato io ad ammazzarlo, ma non l’avevo fatto consapevolmente. Mi recai dai carabinieri e raccontai tutto. Non riuscivo a portarmi quel peso sul cuore. Mi fecero il processo ma non fui condannato. Da allora non mi sono ubriacato mai più e non ho percorso più quella strada.- Gabriella Cuscinà
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