Renato Attolini
Senatore
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Inserito - 10/02/2011 : 13:19:36
Erano da poco passate le sette di sera, quando Manuele Romano decise che per quel giorno ne aveva avuto abbastanza e che era finalmente giunta l’ora di staccare la spina e tornarsene a casa. Si alzò dalla sedia girevole prorompendo con uno sbadiglio gutturale conscio che a quell’ora nessuno l’avrebbe sentito e se anche ci fosse stato qualcuno poco importava perchè ormai i suoi collaboratori si erano abituati alle sue “uscite” stravaganti e poi anche perché se lo poteva permettere. Non per niente era uno dei più brillanti dirigenti di una famosa società finanziaria situata in Piazza San Babila proprio nel cuore della city milanese. Guardò giù per un attimo dalle vetrate del suo mega ufficio il brulicare affannoso della gente infreddolita che come lui si preparava al rientro o stava terminando gli ultimi acquisti. Mancavano, infatti, pochi giorni al Natale e l’animazione per le strade era frenetica. Si lasciò andare ad un sospiro di rassegnazione in quanto non amava in modo particolare quella festività per via della confusione, ma poi si consolò pensando alla sua splendida famiglia che con il suo calore gli avrebbe levato ogni sensazione di fastidio e fatto sembrare magica quella ricorrenza. Si diresse al garage sotterraneo dove l’aspettava il potente SUV che l’avrebbe condotto da lì ad un’ora circa, destreggiandosi nel traffico caotico, alla periferia della città verso l’esclusivo residence dove abitava. Quando aprì la porta, la sua adorata figlioletta Aurora di 5 anni gli corse incontro abbracciandolo forte, mentre dalla cucina gli giunse l’affettuoso saluto di sua moglie Laura che stava terminando di preparare la cena. Si guardò intorno e come sempre un profondo senso di soddisfazione e di orgoglio lo inondò. Era sposato da sei anni con una bellissima, e non solo fisicamente, ragazza con la quale aveva costruito uno stupendo rapporto allietato poco dopo dalla nascita di sua figlia che amava al di là di ogni immaginazione, il successo nel lavoro lo gratificava sia economicamente che moralmente. Cosa mai poteva chiedere di più alla vita, si chiese? “Un lucano, forse?” si rispose da solo scoppiando a ridere incurante delle facce perplesse ma anche divertite delle sue donne. “Cosa hai da ridere, tu?” gli chiese la moglie sorridendo. “Niente, niente una stupidata” rispose lui sorridendo a sua volta. L’atmosfera a tavola che era allegra come di consueto tra battute scherzose e ingiunzioni falsamente severe alla piccola perché mangiasse tutto fu interrotta dallo squillo del telefono. “Uffa, chi è che rompe?” sbuffò Laura. “Dai vado io” disse Manuele “sarà sicuramente per me, qualche cliente o collega.”. “Ma non ti lasciano neanche mangiare in pace?” si lamentò Laura. “La vuoi la bella vita, la bella casa, la bella auto, eh? E allora sopporta!” la prese in giro scherzosamente. “Ehi, guarda che lavoro anch’io!” replicò la moglie, con fare scanzonato. “Si, ma vuoi mettere la differenza?” replicò pavoneggiandosi. “Sbruffone!” gli gridò la moglie tirandogli dietro un tovagliolo. Manuele prese il cordless e si allontanò dalla tavola, com’era sua abitudine, quando lo chiamavano. Dall’altre parte del filo si udì una voce femminile con un forte accento straniero. “Manuele? Manuele Romano?” “Si, sono io chi parla?” rispose sorpreso e perplesso. “Sono Glasmy….Glasmy De La Paz Barrios di Cuba. Ti ricordi di me?” Manuele tacque completamente spiazzato. Con la memoria andò indietro di dieci anni ad un momento della sua vita che aveva quasi rimosso dalla sua mente, ad una vacanza nell’isola caraibica. Sole, mare, tanto divertimento ed una storia d’amore appassionata con una meravigliosa fanciulla mulatta, Glasmy appunto. Giornate in spiaggia, serate in discoteca e notti di passione, sempre insieme in ogni istante. Arrivò però anche la fine di quel fantastico periodo e l’ultimo giorno all’aeroporto intanto che aspettava la chiamata del volo Glasmy lo abbracciò piangendo e fra le lacrime mormorò: “Un nostro proverbio dice: <Los momentos buenos son cortos>, i momenti felici sono brevi.”. Manuel la scostò dolcemente, la guardò fisso negli occhi e le disse dolcemente: “Ascolta, ne avremo degli altri. Ti prometto che ti porterò in Italia, ci sposeremo e nessuno e niente ci separerà.”. Glasmy non rispose e continuò a piangere. Una volta tornato a casa, Manuele le scrisse e telefonò assiduamente per qualche mese, poi piano a piano sempre di meno fino a quando, oramai ritornato completamente nel suo mondo, smise di chiamarla. Dopo qualche anno conobbe Laura se ne innamorò e convolò a nozze. Poi dopo un anno nacque Aurora e Manuele di dimenticò completamente di quell’avventura. Fino a quella sera. “Manuele, Manuele…..pronto, ci sei?” la voce di Glasmy lo riportò alla realtà. “Si, si ci sono….Ciao Glasmy, ma che sorpresa! Dopo tanti anni! Come stai?” Rispose in spagnolo lingua che conosceva perfettamente, fingendo una contentezza che non sentiva affatto. La donna eluse la domanda di circostanza e con un po’ di esitazione gli disse: “Scusami se ti disturbo, ma sai sono in Italia e avrei bisogno di vederti…anche solo per poco tempo.”. “In Italia?” esclamò Manuele decisamente stupito “E come hai fatto a venire?” Sapeva benissimo che per la gente di quel paese è quasi del tutto impossibile andare all’estero per cui non riusciva a capacitarsi. “Te lo spiegherò a voce..ci possiamo vedere?”. “Uhm,Glasmy, forse non sai che mi sono sposato, ho una famiglia e sono molto occupato col lavoro” cercò di ribattere. “Si, lo immaginavo, ma non ti preoccupare, non voglio crearti alcun problema e ti porterò via pochissimo tempo” insistette la donna. Manuele era combattuto, ma la curiosità ebbe il sopravvento. “Trovati domani alle 17 in punto in Piazza San Babila all’incrocio con Corso Monforte. Hai difficoltà a raggiungermi?” “No, no non ti crucciare. Prenderò un taxi e gli darò queste indicazioni. A domani. Ciao.” E chiuse la comunicazione. Manuele rimase col telefono in mano per un po’. Mille domande senza risposta gli affollavano la mente. Come aveva fatto a venire in Italia? Come l’aveva rintracciato e soprattutto cosa voleva dopo tutto questo tempo? Ritornò in sala da pranzo e quando sua moglie e sua figlia gli chiesero chi fosse rispose evasivamente, cercando, sforzandosi, di assumere un comportamento che non desse luogo ad alcun sospetto. La notte dormì poco e male e il giorno seguente per quanto cercasse d’impegnarsi sul lavoro non vedeva l’ora di incontrare Glasmy. Amava follemente sua moglie e da parte sua non c’era nessuna intenzione di riprendere una storia ormai finita ma nondimeno voleva sapere cosa significava questo pezzo del suo passato che ritornava improvvisamente. Si sentiva nervoso e inquieto. L’ora stabilita si recò al punto d’incontro e nonostante la folla la riconobbe subito. I capelli neri lunghi e ondulati, il suo corpo prorompente, la sua pelle vellutata color caffè e latte erano gli stessi di una decina d’anni indietro, gli stessi che aveva amato intensamente. Con un po’ d’emozione le andò incontro e la salutò, ricambiato, in modo abbastanza formale: un piccolo abbraccio e un bacio sulle guance. Decisero di andare in un bar a prendere un aperitivo e seduti ad un tavolino si guardarono in faccia senza parlare per qualche secondo che parve interminabile. Manuele ruppe il ghiaccio e diede sfogo a tutte le domande che le voleva fare. “Dimmi, ma come hai fatto a venire in Italia? Io so che se non hai una carta d’invito, l’unico mezzo è la fuga.”. Glasmy sorrise e gli rispose: “Ti ricordi che io sono infermiera e presto servizio nell’Ospedale più importante dell’Avana? Ebbene alcuni medici sono stati invitati per un convegno nel tuo paese, proprio qui a Milano, e quando mi hanno offerto di accompagnarli ho accettato. Saprai che i medici cubani sono fra i più rinomati del mondo e il loro parere è tenuto in altissima considerazione.”. La risposta non convinse del tutto Manuele che, infatti, le chiese. “Ma come fai ad andare in giro da sola senza nessuno che ti segua. Non hanno paura che tu possa scappare e chiedere asilo politico?” “Per prima cosa non ne ho nessuna intenzione e se anche se ce l’avessi le ritorsioni contro la mia famiglia sarebbero così pesanti da togliermi qualsiasi voglia.”. “Come hai fatto a rintracciarmi?” “Beh, per quello basta un semplice elenco telefonico. Non ci sono molte persone che si chiamano come te e poi potevi essere andato a vivere in un’altra città, ma mettiamola così: sono stata fortunata.”. La donna fece una pausa e poi proseguì scrutandolo in volto. “Hai finito con l’interrogatorio? No, non credo perché hai una cosa ancora da chiedermi forse la più importante. Vero? Ti tolgo dall’imbarazzo. Cosa voglio da te, dopo tutto questo tempo? E questo che intendi chiedermi, no?” Manuele sorseggiò il suo cocktail e annuì silenziosamente. Glasmy guardò pensierosa fuori della vetrina e parlò sommessamente, con un velo di malinconia: “Sai, io ci avevo creduto veramente che mi avresti portato in Italia…..”. Manuele guardò in basso con un pizzico di vergogna. “Ero sincero quando te l’avevo promesso. Poi sai come vanno le cose, sono tornato a casa e…” “Non ti devi scusare né giustificare” l’interruppe “sono io che sono stata stupida ad illudermi, avrei dovuto immaginarlo che ti saresti dimenticata di me non appena fatto ritorno nel tuo paese. Con tutta franchezza dopo di te ho avuto altri uomini ma, te lo giuro, non ho mai amato nessuno come te”. Improvvisamente il suo tono di voce si fece più deciso e lo guardò fisso negli occhi: “Ad ogni modo, prima che tu mi chieda se è per dirti questo che sono venuta a cercarti vengo al punto. No, non è solo per questo ma per informarti che dalla nostra relazione è nata una bambina.”. A Manuele andò di traverso il drink e il bicchiere gli scivolò di mano andando in frantumi per terra. Cercò di calmare l’attacco di tosse convulsa che l’avevo preso tra gli sguardi degli altri clienti, mentre un cameriere si precipitò per pulire. Appena ricompostosi con un filo di voce rauca le sussurrò: “Ma cosa mi stai dicendo? Com’è possibile?” “Oh, com’è possibile?” rise sarcasticamente la donna “Come vuoi che sia successo? Non ti rammenti cosa facevano tutte le notti?” Manuele prese un po’ di fiato, respirò profondamente e ormai ripreso il controllo le fece quella che era un’ignobile domanda ma che la sua mente razionale non poté fare a meno di formulare: “Come fai ad essere sicura che sia mia?” Glasmy scosse la testa: “Me l’aspettavo che me l’avresti chiesto. Lo so e basta. Una donna lo sa meglio di chiunque altro non pensi?” Manuele si sentì infastidito da quel colloquio. Vide delle fosche nubi addensarsi al suo orizzonte, nubi che dovevano dissolversi subito ad ogni costo. “Va bene, ho capito che hai bisogno di un aiuto o sbaglio?. E’ questo che vuoi, soldi? Non c’è problema, dimmi tu la cifra.” La donna lo guardò con malcelata compassione. “ Oh Manuele, Manuele, che tristezza! Mi aspettavo anche questo da parte tua. Voi che vivete nell’agiatezza pensate di sistemare tutti i problemi, i sensi di colpa, le paternità indesiderate col denaro. Se non fosse che c’è di mezzo mia figlia mi alzerei e ti manderei in quel tal posto dove voi italiani vi ci mandate spesso come mi hai insegnato tu.”. “Ma allora cosa vuoi da me?” quasi l’aggredì. Glasmy gli prese entrambi le mani e con fervore gli disse: “Non voglio i tuoi soldi, non so che farmene. Ti chiedo solo una cosa in nome del nostro antico amore. Vai a Cuba, almeno una volta, una volta sola, vai a trovarla. Falle sentire che ha un padre, anche se vive lontano e poi ritornate pure a casa. Io per me non voglio nulla.” Manuele rimase in silenzio per un po’, poi esclamò: “Io ho una famiglia, una moglie, una figlia. Non se ne parla proprio. E poi, scusami, ma come faccio ad essere sicuro d’essere proprio io il padre?” La donna ignorò quella domanda offensiva che gli veniva posta per la seconda volta e lo guardò con dolcezza: “Vedrai che quando arriverai a Cuba e andrai da lei avrai la certezza assoluta di essere tu il padre.”. “Non capisco come ma comunque perché hai aspettato tutti questi anni e non me l’hai detto subito.”. “Non sarebbe cambiato nulla e poi diciamo che adesso ho avuto l’opportunità di dirtelo a voce.”. “Va bene, ci penserò” disse l’uomo per tagliare corto. Poi colto da un pensiero le chiese: “Nel caso decidessi di venire, dove ti trovo?” Glasmy ridacchiò: “Guarda che a Cuba quando hai una casa quella ti rimane per tutta la vita, non è che uno cambia come da voi. Il quartiere e la casa sono sempre gli stessi di quando mi hai conosciuto. L’Avana, Municipio Diez de Octubre se per caso te lo fossi dimenticato, Avenida Santa Catalina,116. Più precisa di così….Adesso scusami ma devo proprio andare.” Si alzò di scatto, lo abbracciò fortemente e gli sussurrò nell’orecchio: “Ti prego con tutta me stessa: promettimi che andrai. Un’ultima cosa: l’ho chiamata Manuela come te.”. Manuele ricambiò l’abbraccio senza risponderle e la vide poi uscire senza che si voltasse. Ordinò ancora da bere e rimase seduto al tavolino immerso nei suoi pensieri. Rifletté sul fatto che questa faccenda poteva seriamente mettere a rischio la serenità sua e della sua famiglia. Il fatto di avere una figlia mai conosciuta così lontano era motivo più di disappunto che di gioia. La sua vita ormai era qui, il passato era sepolto e non doveva interferire col presente. Mille domande gli affollavano il cervello. Doveva o non doveva dirlo ai suoi cari? Come l’avrebbero presa sua moglie e soprattutto Aurora che scopriva di avere una sorella maggiore? S’impose di far emergere la parte pragmatica di se stesso nella quale aveva sempre confidato e che tanto successo gli aveva recato. Il Natale era alle porte, c’erano al momento cose più importanti e avrebbe esaminato la questione più avanti. Le festività passarono gioiosamente seppure un tarlo nel suo animo ogni tanto gli ricordava quel incontro. Più volte aveva deciso di lasciare perdere, tanto Glasmy molto difficilmente sarebbe ritornata in Italia e se anche lo avesse tempestato di telefonate, prima o poi si sarebbe arresa. Quando pensava così si sentiva più leggero e soddisfatto ma subito dopo un “grillo parlante” nella sua coscienza gli faceva cadere le sue certezze. Alla fine si convinse: “Via il dente, via il dolore” quasi urlò un giorno battendo il pugno sulla sua scrivania. Per buona sorte sua nessuno lo udì. Sarebbe andato a Cuba, avrebbe conosciuto sua figlia e poi nulla più. Per quanto ovvio, in casa silenzio assoluto. Doveva comunque trovare una scusa plausibile per giustificare un’assenza di almeno una settimana. L’occasione gli fu fornita dalla sua società che aveva organizzato da lì a un mese uno stage di alcuni giorni in Spagna, una specie di vacanza-premio con abbinate ore di corsi di aggiornamento. Ne aveva già parlato con Laura ancora prima che cominciasse il tutto, accordandosi sul fatto che ci sarebbe andato da solo a causa degli impegni di lavoro di sua moglie alla quale avrebbe detto poi che si sarebbe fermato un po’ di più inventandosi qualcosa al momento. Non restava che trovare una scusa con la sua azienda e il gioco era fatto. Era un pochino pericoloso, ma poteva funzionare. Prenotò via internet un volo andata e ritorno Milano - L’Avana e si preparò alla partenza. Quel giorno sull’aereo si ritrovò insieme a centinaia di turisti allegri e festosi ma dalla sua postazione in business class poté tranquillamente sprofondare nel comodo sedile e dar via libera a tutte le sue riflessioni. Sbarcò all’aeroporto “Josè Marti” della capitale cubana e subito si rese conto che il tempo si era fermato in questi dieci anni: nulla o poco era cambiato, il solito via-vai di persone, di venditori di sigari e di tassisti abusivi che ti prendevano d’assalto offrendoti passaggi o abitazioni private le cosiddette “case particular” dove poter soggiornare. Ne scelse uno a caso, non contrattò neanche il prezzo e si fece portare all’Hotel Riviera che già conosceva essendoci stato con Glasmy. Non è scontato che faccia sempre bel tempo, però Manuele trovò un sole bruciante, un clima caldo e secco che sembrava il mese di Luglio come nel Sud Italia. Ne approfittò dopo essersi cambiato per fare un bel tuffo in piscina e con l’acqua fresca riordinare le idee. Aveva gia impostato il programma del soggiorno: riposo dal viaggio e il giorno dopo andare a trovare sua figlia, sempre ammesso che lo fosse e Glasmy. Una volta sbrigata la faccenda si sarebbe fermato un altro po’ e poi magari ripartire anche prima del previsto. La mattina seguente dopo aver dormito profondamente e rimessosi in forma, si fece condurre da un taxi al posto indicatogli. Guardando fuori del finestrino riconobbe i luoghi dove era già stato che adesso gli sembravano familiari, raggiunse le Avenidas Camillo Cienfuegos e Santa Catalina poco dopo. Arrivò così alla casa di Glasmy e notò con stupore un affollamento di persone fuori del portone d’ingresso. L’abitazione era quelle ad un piano solo perciò non potevano esserci dubbi sul fatto che erano tutte lì dove era diretto lui. Si fece largo con molta fatica cercando il volto di Glasmy fra i presenti, ma riuscì solo intravedere dentro la casa una donna di colore piuttosto corpulenta e agghindata con abiti variopinti e uno strano foulard in testa che sembrava stesse recitando delle orazioni. Stava con ogni probabilità assistendo ad un rito della Santeria Cubana. Quello che udì lo colpì come un pugno nello stomaco. “Ci rivolgiamo con profonda umiltà a te Misericordiosa Oddua che rappresenti i segreti e i misteri della morte. Intercedi con il grande Olofi, dio supremo, padre del cielo e della terra per l’anima della nostra amata sorella Glasmy De La Paz Barrios affinché trovi pace e conforto per l’eternità.”. Si sentì mancare e dovette appoggiarsi ad una donna che gli stava accanto. “Si sente male, signore?” gli chiese allarmata. “Oh mio Dio!” balbettò “ Ma com’è successo?” “E’ da un anno circa che è stata colpita da una male incurabile. Purtroppo se n’è andata, quando mancava poco a Natale” disse tristemente la donna. “NON E’ POSSIBILE!” stavolta urlò facendo voltare tutti “IO L’HO VISTA IN QUEI GIORNI E STAVA BENISSIMO, ERA UN FIORE!” La gente rimase in silenzio e si fece da parte facendolo passare, così Manuele si trovò nella stanza dove al centro c’era in bella vista una <bòveda espiritual>, un altare casalingo dedicato ai morti, costituito da un tavolino su cui sono disposti alcuni bicchieri pieni d’acqua, un crocifisso, fiori e candele e sul quale troneggiava una foto gigante di Glasmy, bella e sorridente. La santera interruppe la cerimonia, lo guardò e gli andò incontro. “Dove l’hai vista, figliolo?” gli chiese dolcemente. “E’ venuta in Italia a cercarmi, aveva bisogno di parlarmi” rispose frastornato. Un mormorio si levò dalla folla. “Questo credo proprio sia impossibile” gli disse la santera mettendogli le mani sulle spalle. “Sai bene quanto è difficile espatriare per noi e poi comunque lei non si è mai mossa dal letto negli ultimi mesi. Era molto malata.” “Ma io l’ho vista, le ho parlato.” Insistette con calore. “Tu hai visto e parlato col suo spirito subito dopo che è spirata. Prima di andarsene per sempre voleva dirti una cosa molto importante, una cosa di cui noi tutti eravamo a conoscenza e sapevamo quanto ci tenesse. Se tu sei qui e perché il suo desiderio è stato esaudito. Adesso finalmente potrà riposare serenamente.”. Manuele affranto, sconcertato si guardò intorno. Gli occhi dei presenti erano fissi su di lui, ma quello che lo sorprese è che questo fatto sovrannaturale fosse accettato in quel luogo in modo assolutamente normale, una cosa di tutti i giorni. La santera si scostò da lui, alzò gli occhi al cielo allargando le braccia ed esclamò, seguita dalla folla: “Grazie o grandi Olofi, Oddua, grazie a tutti gli Orichas. Grazie per averci ascoltato!” Dopodiché si avvicino a Manuele, lo prese per mano e lo condusse davanti a una bambina bellissima con i capelli ricci, la carnagione mulatta che piangeva disperatamente. “E’ lei” gli disse. Le si avvicinò e le domandò: “Manuela…sei tu?” La bimba annuì asciugandosi gli occhi nel tentativo di calmare il pianto. “Tu….Tu sai chi sono io?” chiese con un po’ d’apprensione. Altro cenno affermativo. A quel punto si sentì in evidente imbarazzo, non riuscì più a sopportare gli sguardi degli astanti.. “Vorrei uscire a fare due passi” disse rivolto alla santera “posso portare la piccola con me?” “Vai figliolo, sei qui per questo” fu la sua sorridente risposta. Camminarono per le strade del quartiere fra le case diroccate per un po’ senza parlare, uno accanto all’altra. “La mia mamma mi parlava sempre di lei, signore. Mi diceva che viveva lontano e che non poteva venirmi a trovare” fu la bambina a rompere il ghiaccio. “Non chiamarmi signore, chiamami Manuele anzi Manuel.”. Le disse fissando davanti a sé. Non proferì altro fino a quando non si trovarono vicino alla “Iglesia de Los Pasionistas”. “Vieni entriamo, andiamo a pregare per la tua mamma.”. La chiesa era semivuota, ma i pochi fedeli presenti erano inginocchiati in profondo raccoglimento. Si sedettero su una panca e Manuele prese il suo volto fra le mani. Era credente ma non praticante e il suo atteggiamento verso la religione era abbastanza distaccato. Sarà stata la suggestione creata dalla bellezza della chiesa con le sue vetrate artistiche, i confessionali di legno intarsiato e, non ultimo, la situazione surreale che stava vivendo che s’inginocchiò e mormorò: “Dio mio cosa devo fare? Dimmelo tu, io che non ho mai avuto dubbi nella mia vita, non so più nulla.”. Sentì un calore improvviso dentro di sé, forse avrebbe avuto la risposta che si aspettava o forse la sua coscienza gli stava parlando. Esaminò tutta la sua vita: soldi, successo, famiglia, felicità. Aveva avuto davvero tanto, ora era il momento di dare e fare qualcosa per chi era stato meno fortunato di lui. Non gli si chiedeva poi molto: doveva solo semplicemente assumersi le sue responsabilità. Guardò l’enorme crocifisso che troneggiava sull’altare e si sentì sollevato e sereno: sapeva cosa doveva fare. Sul sagrato, appena usciti, Manuele abbracciò commosso la bambina. “Ti faccio una promessa: non appena possibile ti porterò in Italia con me.”. Una fitta al cuore lo trafisse. Si ricordò che erano praticamente le stesse parole che aveva pronunciato a Glasmy, sua madre, molto tempo prima. “No, stavolta le cose andranno diversamente!” si ripromise, fra sé. “Grazie Manuel….o posso chiamarti papà?” rispose la bimba. “Non puoi chiamarmi papà!” e prima che la delusione si stampasse sul volto della bimba l’abbracciò ancora più forte, ridendo e piangendo allo stesso tempo. “Tu devi chiamarmi papà!”. La giornata era caldissima e asciutta ma sentì un alito di vento fresco sul viso come una carezza. Guardò in alto e strizzò un occhio. Ora lo aspettavano due imprese molto difficili e importanti. La prima era avviare le pratiche per un affidamento che sarebbe stato lungo e assai complesso. La seconda non meno impegnativa era parlare alla sua famiglia e metterla al corrente. Non sapeva quale delle due fosse maggiormente spinosa e piena d’ostacoli ma non doveva perdersi d’animo. Andavano fatte entrambi e poi dopotutto non era solo: lassù qualcuno l’avrebbe aiutato.
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