luisa camponesco
Curatore
Italy
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Inserito - 09/04/2011 : 12:07:47
Incompiuto Osservava da ore il foglio bianco inserito nella macchina da scrivere, la mitica Olivetti 22, ma nessun pensiero gli passava per la mente, nessuno che valesse la pena d’essere scritto. Il cestino della carta colmo e sul pavimento parecchi fogli accartocciati che ricordavano il gioco delle biglie. Federico Rosati accese una sigaretta, brutto vizio quello ogni volta diceva a se stesso ch’era l’ultima e non lo era mai, riusciva sempre a giustificarsi. Il fumo azzurrino saliva verso l’alto formando strane figure e nel frattempo cercava una scusa plausibile per l’editore che lo avrebbe presto contattato. Un romanzo di successo, scritto l’anno precedente, gli aveva dato una certa notorietà , poi più nulla, il vuoto assoluto, niente ispirazione. Decise di uscire, forse in po’ d’aria l’avrebbe aiutato. Camminò senza una meta precisa fino a giungere nei pressi del Museo di Storia Naturale e sedette su una panchina sotto una pianta di magnolia. Qualcuno aveva lasciato un quotidiano, tanto valeva leggerlo, era del giorno prima ma le notizie poteva dirsi ancora attuali. Non si era ancora spenta l’eco dell’assassinio di Martin Luther King, un avvenimento che lo aveva profondamente scosso. Credeva fermamente nella non violenza, ma il dubbio che venisse intesa come debolezza e non come punto di forza lo tormentava. Alcuni bambini giocavano, Federico invidiò la loro spensieratezza, la guerra fredda, la cortina di ferro, il muro di Berlino erano così lontani dalla loro mente, ed era giusto così. Una palla rotolò ai suoi piedi, Federico si chinò a raccoglierla. - La palla è mia Un bimbetto lo guardava con aria di sfida. - Ringrazia il signore e sii più educato- Una giovane donna si era avvicinata evidentemente la madre del bambino. - Va bene così signora, non si preoccupi. - Sa come sono i bambini non guardano mai dove gettano le cose. Federico non sapeva com’erano i bambini o se lo sapeva lo aveva dimenticato. Il bambino corse via ma la donna rimase a guardarlo incerta. - La sua faccia non mi è nuova - Ho una faccia molto comune. - Dico sul serio l’ho vista ancora ma non ricordo dove. Mi scusi non volevo importunarla. Si allontanò di qualche passo poi tornò e il suo volto era illuminato. - Adesso ricordo, lei è l’autore di Tempesta sul Pacifico. Fantastico romanzo l’ho letto in un fiato. Federico non sapeva se sentirsi lusingato o infastidito, sta di fatto che la donna si sedette accanto ed iniziò a parlare, parlare, parlare.. Si distrasse, alcuni passeri zampettavano alla ricerca di briciole di pane mentre la voce della donna si allontanava sempre di più dalla sua mente. - Allora quando uscirà il prossimo romanzo? - Molto presto – rispose Federico tornando alla realtà – Ma ora mi deve scusare devo proprio andare. Lasciò il parco quasi correndo e si trovò ad imboccare il viale che portava alla stazione. Da molto non prendeva più un treno, da bambino era affascinato dalle locomotive e da loro“ciuff ciuff”. Notò i cambiamenti, l’edicola nuova, il bar e il tabaccaio. Da un cartellone pubblicitario una prosperosa e ammiccante ragazza invitava a bere un liquore corroborante e tonico che avrebbe reso la vita più allegra. L’autoparlante annunciava l’arrivo del diretto da Venezia e il marciapiede si affollava di passeggeri e nella mente di Federico risuonò ancora “CIUFF, CIUFF, CIUFF” Un gruppo di ragazzi scese ridendo e gridando da un vagone, gli passarono accanto senza prestargli la minima attenzione, una volta non era così, una volta la gente si guardava negli occhi. Era la fine degli anni cinquanta o giù di lì, mamma lo teneva per mano. - Tu Federico guarda a destra se vedi la zia chiamami e non avvicinarti ai binari. Il treno arrivò fischiando e si fermò con grande stridore. Federico, con gli occhi sgranati guardava la gente scendere, non voleva certo perdere la zia, ma non era facile lui era piccolo. Si spostava avanti e indietro scrutando le persone. - Ti sei perso piccolo? - quell’uomo gli pareva un gigante, dopo aver appoggiato per terra una valigia di cartone legata con lo spago, frugò nelle tasche ed estrasse un arancia - Viene dalla mia terra – soggiunse – Mangiala è buona , me l’ha data mio figlio prima che partissi, sarebbe contento di sapere che l’ho data ad un altro bambino. - Federricoo, Federicooo – sua madre sopraggiunse allarmata – Vieni la zia è arrivata- l’uomo fece un sorriso triste e si allontanò con il suo bagaglio. - Chi era mamma? - Nessuno che conosciamo, vieni! Adesso lo sapeva chi era quell’uomo e tutti altri uomini venuti dal sud che si erano rimboccati le maniche ed avevano contribuito a quel miracolo economico di cui il paese stava godendo. Ma forse in tutto questo si era perso qualcosa, lui aveva perso qualcosa. Una lambretta lo sfiorò, poco più avanti un ragazzo mostrava con orgoglio la sua 500 Abarth , da una radiolina a transistor i Camaleonti cantavano “L’ora dell’amore”, da qualche parte del mondo qualcuno nasceva e qualcuno moriva, tutto come sempre. Federico tornò a casa e tornò a fissare la sua macchina da scrivere, ma il foglio rimaneva immacolato. Passeggiò per la stanza cercando qualsiasi che cosa od oggetto che potesse accendere l’ispirazione. L’arredamento poteva definirsi minimale, un poster di Che Guevara alla parete, una pipa in radica ricordo del padre, un calamaio vuoto e una penna col pennino spuntato, una poltrona che aveva visto tempi migliori, un televisore ventun pollici ancora in bianco e nero. Sua madre aveva più volte tentato di regalargliene uno a colori ma lui aveva sempre rifiutato considerandolo un oggetto non essenziale. Lo accese, il giornalista faceva la cronaca dell’ennesima manifestazione studentesca, alcune vetrine rotte il soliti motti urlati. - Ecco – disse Federico ad alta voce – Loro sanno cosa vogliono. Ma cosa vogliono? Un mondo migliore? E chi non lo vorrebbe. Si accorse di non avere le idee chiare in proposito anche perché concentrato solo su se stesso aveva lasciato il mondo fuori dalla porta. Forse era proprio questo che gli mancava, un contatto più vero con la gente, con quelli camminano in strada oppure fermi alla fermata dell’autobus. Dietro ogni volto una storia da raccontare, cambiare strategia, dare una diversa impostazione ai personaggi e fare in modo che ci si potesse riconoscere in essi. Uscì di nuovo, deciso questa volta a guardare le persone che incontrava, sorridendo e salutandole, l’avrebbero preso per matto? Ma cosa importava. Voci gioiose in una strada poco frequentata catturarono la sua attenzione, si avvicinò. - Salve, cosa state facendo se non sono indiscreto? Un viso impolverato prese a fissarlo. - Siamo i ragazzi di Campo Emmaus, svuotiamo cantine e solai, poi vendiamo e col ricavato comperiamo un’ambulanza da mandare in Burundi, sai là hanno bisogno di tutto. - Capisco. Ma siete tutti così giovani, avete la stessa età di quelli che sfilano nei cortei. - Anche questo è un modo di contestare non ti pare? – fu la risposta pronta del ragazzo. - Ehi pigroni dateci sotto! Vedo che ce n’è uno nuovo, coraggio vieni a darci una mano. - Don Alberto lui è solo un passante. - Allora? Anche i passanti sono esseri umani. – la battuta suscitò qualche risata poi ripresero il lavoro.. Un prete, in mezzo agli stracci e cocci di bottiglia chi l’avrebbe immaginato così Federico, senza rendersene conto si ritrovò a caricare un carretto con abiti smessi e pentole in alluminio. - Qua per oggi abbiamo finito, andiamo a scaricare. Chi ha fame alzi la mano. Tutti le alzarono con grida di approvazione. - Coraggio, prima arriviamo prima mangiamo. Lungo la strada per oratorio don Alberto entrò in una salumeria uscendo poco dopo sconsolato. -Che è successo? – chiese Federico -Ho chiesto se aveva del prosciutto da dare ai ragazzi, e mi ha risposto che senza soldi non mi dava nulla. Nostro Signore ha digiunato per quaranta giorni, possiamo resistere per qualche ora. Federico lasciò che il gruppetto si allontanasse e tornò rapidamente indietro. Li raggiunse poco dopo. - Don Alberto, don Alberto – mostrò con orgoglio un sacchetto. – Il salumiere ci ha ripensato mi ha detto di darle questo da parte sua. I ragazzi batterono le mani ed aumentarono l’andatura mentre don Alberto si avvicinò a Federico. - I ragazzi hanno bisogno di credere nella bontà del prossimo, grazie, vieni a dividere il pane con noi. - Io però sono ateo. - Stare con noi per te è un problema? - No ma era giusto che lo sapesse, non mi ha chiesto nemmeno come mi chiamo. - Questo si che è un problema- Don Alberto sottolineò la frase cono una sonora risata. Federico si sentiva incredibilmente sereno, cosa che non gli accadeva da tempo, nel cortile dell’oratorio i ragazzi scaricavano il carretto suddividendo gli oggetti per genere e lui seguì don Alberto in uno stanzone adiacente. - Questo è il nostro luogo di lavoro e preghiera. – disse indicando con un gesto tutto l’ambiente. Nel centro un tavolo con una tovaglia banca e sotto la scritta: “OGGI MI HAI INCONTRATO” Il sacerdote si preparava per la santa messa. I ragazzi entrarono alla spicciolata , qualcuno sedette per terra, poi una chitarra e un giovane prese a cantare “We shall overcome” Federico li invidiò, ma quel momento apparteneva solo loro per cui si allontanò silenziosamente. Camminando verso casa pensò a quei ragazzi e alla fede che li univa, e lui in cosa credeva? Bella domanda. L’appartamento gli sembrò più silenzioso e vuoto, guardò la macchina da scrivere e il foglio bianco. Aveva creato personaggi da fumetto, come Nembo Kid il suo eroe da bambino, non si trattava quindi di un blocco da scrittore, la sua fantasia aveva un limite ed ora lo aveva superato. Un uomo in transito, ecco cos’era, ma per andare dove? Il telefono squillò, l’editore? Sua madre? Non rispose. Nel mangianastri mise una cassetta di Fausto Papetti, le note del sax riempirono la stanza. La sera si preannunciava serena, Federico masticò il bocchino della pipa, sedette in poltrona e non accese la luce. Gli anni sessanta stavano finendo col loro bagaglio di avvenimenti e storie di uomini e di donne. Il foglio bianco nella macchina da scrivere risaltava nell’ombra, da domani avrebbe scritto qualcosa di nuovo, di diverso, avrebbe avvisato l’editore del cambio di programma, avrebbe scisso il contratto? In fondo non gli importava, voleva godersi la pace di quella sera e riflettere su cosa fare nel resto della sua vita. Il rumore della città pareva lontano le luci si accendevano, scie luminose sui viali, fari saettanti sulle strade. Federico guardò la luna circondata da un alone sfumato, chissà se gli uomini sarebbero arrivati anche lassù e avrebbe mantenuto ancora il suo fascino? Lo avrebbe saputo molto presto, ma nel grande disegno dell’universo questo, in fondo, era solo un dettaglio. Luisa Camponesco
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