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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 La malinconia felice
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 15/06/2011 :  16:50:10  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
La malinconia felice
Sembrerebbe la solita contraddizione in termini. Come può essere una malinconia felice? Il termine malinconia significa di per sé un atteggiamento dell’anima triste e infelice. Eppure talvolta nelle vicende umane anche l’inverosimile è vero. Infatti Valentina aveva un’espressione costante di felicità incompleta, soffusa di qualcosa d’indecifrabile, come se fosse affetta da dispepsia, per cui sorrideva con dei crampi allo stomaco. In sostanza era perennemente malinconica, ma allo stesso tempo sorridente.
Era innamorata di due uomini ed era fidanzata con entrambi senza che l’uno sapesse dell’altro.
Nel passato era stata insieme ad un ragazzo, ma poi l’aveva lasciato essendosi accorta di provare per lui l’affetto di una sorella. Aveva avuto un altro amore, ma questo era finito tragicamente poiché il poveretto era morto in un incidente stradale. S’era innamorata di un ragazzo argentino, ma la lontananza aveva fatto scemare l’interesse così come era nato. Poi alla fine, quando le pareva d’aver trovato l’uomo della sua vita, aveva scoperto che era sposato, aveva due figli e l’aveva ingannata. Quest’ultimo disinganno era stato veramente tragico perché Valentina si fidava ciecamente di lui. Erano stati insieme per due anni. Le pareva una persona splendida, onesta, leale, e invece s’era imbattuta in un perfetto mascalzone. Infatti un’amica lo aveva incontrato in compagnia della moglie e dei figli e gliel’aveva riferito. Quando gli aveva chiesto spiegazioni, tutto quello che lui aveva risposto era stato: “ Chi te l’ha detto? Quella deficiente di mia moglie?” Dopo di che aveva bloccato il telefono.
Valentina aveva intuito che s’era fatto scoprire di proposito per indurla a lasciarlo. Da quel momento la rabbia aveva accompagnato la sua esistenza, una voglia di vendicarsi di tutto e di tutti.
Era vissuta impegnandosi al massimo nel lavoro, ricavandone soddisfazioni ed introiti considerevoli e aveva cominciato ad assumere quell’atteggiamento felice e soddisfatto che però era sempre soffuso di mestizia. Come se non fosse perfettamente realizzata poiché la sua piena realizzazione sarebbe stata avere un marito e dei figli, insieme al lavoro di commercialista che era l’unico ad appagarla completamente.
Ogni tanto si commiserava e si considerava una miserabile, una donna perduta che, per vendicarsi degli uomini, adesso ne ingannava due contemporaneamente. Quei due non le avevano fatto nulla di male, anzi erano sempre stati innamorati e affettuosi. Uno, Mauro, era un impiegato di banca alto e magro, con una grave forma di strabismo. Era innamoratissimo di Valentina e più volte le aveva ripetuto di non capire come una ragazza così bella potesse volere un tipo goffo e insulso come lui. Infatti il poveretto era proprio brutto, con le pupille diametralmente opposte. L’altro, Attilio, era un uomo maturo, brizzolato e tracagnotto. Era divorziato e aveva lasciato la moglie per i begli occhi di Valentina.
Dunque Mauro non sapeva di Attilio e viceversa. Valentina invece provava una soddisfazione perversa ad ingannare entrambi. Ogni tanto rifletteva che la vendetta è una bevanda amara, ma se ne fregava e continuava a prendere in giro Mauro facendo finta di volergli bene e a riservare ad Attilio delle attenzioni particolari fingendo d’amarlo perdutamente.
Non si era mai concessa completamente né a l’uno né all’altro e li faceva spasimare affermando di non sentirsi pronta. Nel passato era stata a letto con tutti gli altri suoi fidanzati, principalmente con l’uomo sposato da cui aveva sperato di avere un figlio. Adesso il non concedersi la faceva sentire forte e desiderata, padrona di se stessa e dominatrice. Dunque era felice? Pareva di sì, ma a guardarla attentamente si scorgeva nei suoi lineamenti una amarezza struggente, una malinconia inconfessata.
Aveva raggiunto i quarant’anni e questa vita di donna libera, ricca, bella e desiderata l’appagava, ma non completamente. Difatti guardava con desiderio i bambini delle amiche e pensava che forse lei non ne avrebbe mai avuto uno. Poi rifletteva che forse era meglio così poiché ricordava la sua infanzia infelice e segnata da un’esperienza tremenda: era divenuta muta dagli otto ai quattordici anni. Questo perché suo padre, appassionato cacciatore, aveva lasciato partire un colpo di fucile che l’aveva sfiorata ad una spalla. Aveva riportato solo un lieve graffio ma il terrore l’aveva privata della facoltà di parola. Da quel giorno suo padre aveva fatto un lento declino. Quel padre che era stato il suo bene più grande, il suo idolo. L’aveva cominciato a vedere morire lentamente mentre lei non riusciva più a parlare. Invece avrebbe voluto gridargli che non le importava niente di non poter proferire parola perché aveva lui che era tutto il suo mondo, il suo papà speciale, speciale anche nel modo in cui la guardava con un amore profondo in cui si leggeva tutto il rimorso che lo consumava.
Il padre era morto quando lei aveva tredici. Quello strazio e quella disperazione avevano iniziato a far comparire sul suo viso una mestizia disincantata. Aveva assunto un’espressione distaccata come se stesse sempre guardando lontano.
Poi a quattordici anni s’era innamorata di un ragazzo crudele che la prendeva in giro per la sua menomazione. Aveva conosciuto per la prima volta la rabbia ed il bisogno di dirgli in faccia che faceva schifo. Così era riuscita a parlare dopo sei anni.
Nel mese d’aprile, aveva detto ai suoi fidanzati di dover partire per partecipare ad un convegno di Economia aziendale. Durante quel viaggio conobbe un collega commercialista. Era bellissimo, alto, affascinante, con un sorriso smagliante e due occhi ammaliatori. Si erano piaciuti subito ed erano finiti a letto in men che non si dica. Dopo il convegno s’erano salutati ripromettendosi di sentirsi e di rivedersi. Al contrario lui non l’aveva più chiamata e ne aveva perso completamente le tracce. Nel mese di giugno, Valentina si era accorta d’essere incinta. In un primo tempo si era sentita disperata, ma poi pensò che un bambino è sempre e comunque una benedizione del cielo. Come diceva Goethe: “anche sui sassi della nostra vita può nascere qualcosa di buono”. Lasciò entrambi i fidanzati e si tenne il bambino. Quando nacque, Valentina si rese conto che era perfettamente identico a suo padre. Quel bimbo le dava una gioia sconosciuta, le procurava una tenerezza profonda. Divenne lo scopo della sua vita, ma l’espressione di malinconia felice non abbandonò mai più il suo viso.

Gabriella Cuscinà

   
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