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Renato Attolini
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Inserito - 14/12/2011 :  12:17:15  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Renato Attolini Invia un Messaggio Privato a Renato Attolini
La clinica privata sorgeva in una zona collinare a pochi chilometri dalla Svizzera, circondata dal verde e con una splendida vista sule montagne le cui cime erano già imbiancate in quella mattina autunnale che già faceva presagire l’imminente arrivo dell’inverno. Un lungo viottolo di beole passava attraverso il rigoglioso giardino e conduceva all’ingresso principale. Riccardo teneva una mano in quella di una bella signora di mezza età e con l’altra invece stringeva un peluche del gatto Silvestro dal quale non si separava mai.
“Mamma, abbiamo dimenticato la scatola di costruzioni in macchina!” disse con voce allarmata e un po’ piagnucolosa.
“Non ti preoccupare tesoro” rispose la signora mentre le si inumidivano gli occhi e non solo per il freddo “Dopo te la vado a prendere insieme alla tua valigia.”
La hall era calda e accogliente e si addiceva più ad un albergo di ottimo livello che a una clinica ma questo sembrava non interessare a nessuno dei due. L’infermiera addetta alla reception li squadrò con un sorriso stereotipato misto ad un’aria interrogativa.
“Siamo attesi dal professor Amati” spiegò la donna.
“Un attimo solo” replicò l’infermiera mentre digitava un numero sul telefono. Confabulò per qualche istante col suo interlocutore e poi chiuse la comunicazione.
“Ha detto che viene subito” disse con aria professionale.
Infatti, da lì a poco apparve un uomo alto, magro, abbronzato e con folti capelli brizzolati che emanava un profumo leggero ma assai gradevole. . Il camice bianco lasciava intravvedere un abito elegante, probabilmente di sartoria.
“Signora Colonna, buongiorno” si avvicinò con fare cordiale stringendo la mano alla donna e poi si rivolse a Riccardo.
“Eccolo qua il nostro ometto. Benvenuto fra noi! Contento di essere qui?”
La risposta fu un’alzata di spalle che il medico ignorò.
“Vedrai che ti troverai bene, farai tante amicizie e non ti annoierai mai. Adesso ti mostro la tua cameretta. Venga signora” sfiorò delicatamente il braccio della donna e li condusse per un corridoio dove erano posizionate varie stanze. Aprì una porta che dava su un piccolo soggiorno con divano e televisione mentre nell’altro locale c’era un letto con un comodino e un’altra porta dove c’era il bagno.
Riccardo guardò senza parlare creando un po’ d’imbarazzo e poi proruppe in un’esclamazione.
“Uh, adesso è l’ora dei miei cartoni preferiti. Posso vederli?”
“Certo che si” rispose sorridendo il medico “Guardali pure intanto che io e la tua mamma facciamo due chiacchiere. Possiamo lasciarti solo per qualche minuto?”
Non ottenne neanche un briciolo di risposta perché Riccardo aveva già azionato il telecomando e si stava disinteressando completamente di quello che c’era intorno a lui.
“Venga andiamo nel mio studio. ” il tono dell’uomo seppure sempre cordiale si era fatto improvvisamente serio.
Si sedettero l’uno di fronte all’altro e per qualche momento rimasero in silenzio, poi fu il medico ad aprire bocca.
“Signora, l’abbiamo già fatto, ma mi racconti ancora tutto dall’inizio senza tralasciare anche i minimi particolari, come saprà è necessario per studiare quale terapia dobbiamo adottare.”
La donna si schiarì la voce e mentre l’altro prendeva una penna e un blocco per appunti chiese con voce accorata:
“Ci sono speranze che guarisca?”
Giorgio Amati, che nel suo campo era considerato un luminare, assunse un’espressione molto pensierosa e poi la guardò fisso negli occhi.
“Sarò come mia abitudine molto sincero. Il tentativo lo facciamo ma non le posso garantire nulla e inoltre la devo avvertire che purtroppo per lei le costerà molto caro.”.
“Non è un problema” replicò seccamente la donna.
“Un problema invece” continuò il medico “potrebbe essere costituito dall’età. Suo marito ha superato i sessant’anni e non sappiamo se le cure potranno dare i risultati sperati. Ma adesso, la prego, mi racconti tutto sin dal principio.”.
Gloria Colonna si prese per un attimo la testa fra le mani, respirò profondamente e mentre con la mente andava indietro di qualche tempo cominciò a raccontare quell’insolita vicenda.
“Riccardo è stato sempre un uomo particolarmente sensibile, anche da ragazzo, prima che ci fidanzassimo, infatti é da una vita che ci conosciamo. Gentile premuroso, affidabile, doti che l’hanno reso benvoluto ai più. Ha svolto un’attività di dirigente d’azienda con profitto e serietà, senza mai calpestare nessuno e cercando nel limite del possibile di risolvere i problemi soprattutto con i subalterni col dialogo e quasi mai con l’autorità che gli competeva. Nella vita privata è stato un marito e un padre esemplare e devo aggiungere anche uno splendido nonno da quando il nostro unico figlio ci ha regalato una nipotina. Certo, anche noi abbiamo avuto i nostri screzi ma chi non ce li ha? Solo che lui molto raramente usciva fuori dai gangheri e preferiva tenersi dentro di se la rabbia. Negli ultimi anni, però, poco prima che andasse in pensione ha cominciato a essere un po’ strano, diciamo così. Se la prendeva per ogni minima cosa, non tanto con me ma quando era fuori. Gli era diventato insopportabile andare a fare la spesa, odiava fare la coda alle casse ma soprattutto la ressa e la confusione. Non reggeva più il contatto con la gente, perché come spesso ripeteva: <La maleducazione delle persone è dilagante come una marea e ormai è un fatto trasversale che interessa tutte le classi sociali e le nazionalità. Non fai tempo ad uscire di casa che già come metti i piedi fuori dalla porta cominci a litigare. Se guidi, ti strombazzano se vai piano, se vai forte, se ti fermi un attimo, se commetti una piccola distrazione. Se per caso sei tu a suonare il clacson, fioccano i diti medi alzati e i vaffa stereofonici. Neanche camminando sei al sicuro: le strisce pedonali non le rispetta nessuno e quando qualcuno lo fa mi sento in obbligo di ringraziarlo calorosamente perché probabilmente è un alieno in incognita sulla terra e voglio fargli capire che non tutti gli esseri umani sono dei cafoni.>. Aveva quasi smesso del tutto di uscire di casa e passava molto tempo al computer a navigare su Internet. Ogni tanto lo sentivo urlare frasi del tipo. <Ma no! Non è possibile!> Correvo trafelata e lo vedevo con le mani nei capelli che indicava lo schermo e si lamentava dei vari forum dove gli utenti si scannavo fra loro, lanciandosi insulti irripetibili. <Ma come si fa a lasciare certi commenti su siti che trasmettono canzoni per bambini o ricette di cucina? E guarda qui, questo è un gruppo all’interno di un social network dedicato agli amanti del mare. Sono andato a curiosare e anche qui offese alle madri e via discorrendo. Ma sono impazziti tutti? Ma non c’è più rispetto di niente?> Non le dico poi quando si sedeva davanti alla televisione. Non ce la facevo più a sentire le sue litanie contro i programmi-spazzatura. Ce l’aveva contro quelli che politici o sportivi urlavano cercando di sovrapporre la propria voce a quella degli altri, che si accapigliavano anche per un nonnulla. Per non parlare di quella trasmissione che filmava senz’interruzione dei giovani rinchiusi in una casa o dei programmi cosiddetti comici. <Ma che idiozie sono mai queste? Ma cosa ci trovano mai da ridere come tanti scemi. E questa sarebbe comicità, questa è pura volgarità. Vergognatevi!> Io alzavo gli occhi al cielo e cercavo di rabbonirlo ma senza successo. Francamente non era facile sopportarlo e oltretutto questa sua involuzione cominciava a preoccuparmi. Certo c’erano dei momenti in cui non lo sentivo e un po’ preoccupata andavo a controllare cosa stava facendo e lo trovavo concentrato a guardare un film oppure mi giungevano delle sue risate fragorose e scoprivo che erano a causa di vecchie pellicole degli anni ’50, quelle con Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, ha presente? Mi guardava e diceva:<Questi film non so quante volte li ho visti, ma ogni volta mi scompiscio dal ridere. Mai una parolaccia, mai una volgarità. Quella sì che era ‘commedia all’italiana’. Non come adesso con i cosiddetti ‘cine-panettoni’> Quantomeno era sereno in quei momenti seppure abbastanza rari. Poi riprendeva le sue lamentele e spesso sembrava parlare fra se. <C’è troppa aggressività in giro. Ma cos’ha la gente addosso?> Io che generalmente facevo di niente ma ogni tanto sbottavo e gli rispondevo: <Guarda che anche tu sei parte della gente e anche gli altri vedono in te ‘la gente’.> gli sottolineavo un po’ sarcastica quest’ultima parola che sembrava dargli così fastidio. <Non è vero!> s’inalberava <Io non insulto un altro se ha un’idea politica diversa dalla mia, se fa il tifo per una squadra che non è la mia, se ha parcheggiato male. Io rispetto le code, non cerco di passare davanti, non mangio per strada e butto gli avanzi per terra, mi rivolgo sempre gentilmente se parlo ad un estraneo. Se sto uscendo da un parcheggio e vedo qualcuno in attesa di entrare al posto mio, affretto la manovra e non faccio apposta a sistemarmi i capelli, a guardarmi i denti nello specchietto o a far finta di cercare qualcosa per il gusto stupido di fare un dispetto. E poi guarda i notiziari. Ogni giorno assassini rapine, violenze di ogni genere anche su minori. Padri che rapiscono le figlie e scompaiono nel nulla, mariti che sopprimono la moglie per stare con l’amante, genitori uccisi da adolescenti, adolescenti uccisi da parenti o non si sa da chi e perché. Ma che mondo è mai questo?> Aveva preso l’abitudine di chiamarmi quando leggeva sul giornale o su internet qualche notizia di cronaca nera. <Senti, senti un po’ questa: bambino legato col nastro adesivo al muro e filmato dalla madre e dal suo compagno. E poi questa: bimbo di 18 mesi, dico 18 mesi, ti rendi conto? Per colpa della madre ricoverato in overdose di cocaina e con lividi su tutto il corpo. E poi non faccio bene a domandarmi cosa ha la gente nella testa? Ascolta anche questa:….> <Basta!> lo interrompevo io a volte, gridando . <Piantala, mi fai diventare pazza!> Allora lui si rabboniva e pronunciava un’altra delle sue frasi preferite: <Non ci sarà bisogno di una guerra nucleare. L’umanità si autodistruggerà.>
Gloria fece una pausa e il dottor Amati che ascoltava molto attentamente e prendeva appunti su appunti ne approfittò per chiederle:
“I rapporti con suo figlio e sua nipotina com’erano?”
Gloria s’illuminò in volto.
“Riccardo adora sua nipotina, anche se adesso la considera una sorellina o una cuginetta…non saprei nemmeno io bene. Sta di fatto che quando lei veniva a casa, lui si trasformava. Passava tutto il tempo con lei a giocare alle bambole, alle cucine in miniatura, insomma a tutto quello che può piacere a una bambina. A mio figlio e mia nuora riservava un abbraccio caloroso, qualche battuta e poi si defilava e si dedicava interamente alla piccola. Mio figlio approvava, anche se era chiaramente in ansia per quello che gli riferivo di suo padre ma preferiva non intervenire visto che dopo qualche timido tentativo iniziale di parlargli seriamente aveva capito che era meglio non insistere.
E da questo amore smisurato per la bambina che ci siamo accorti che qualcosa cominciava a non funzionare in lui e precisamente da un giorno che mentre lei aveva raggiunto i suoi genitori lui continuava a giocare anche da solo. <Cosa stai facendo?> gli chiesi fra il divertito e l’allarmato e lui ridacchiò un po’ imbarazzato. Da allora in poi quei momenti s’intensificarono. Passava molto tempo davanti alla TV non più a guardare film o le partite ma i programmi di cartoni animati che lo tenevamo praticamente inchiodato alla poltrona quando poi non cominciò a sedersi sul tappeto a gambe incrociate. Anche le sue abitudini alimentari iniziarono piano piano a cambiare: non più vino o birra ai pasti ma bibite dolci, abbondanza di patatine fritte e merendine. Alternava dei momenti di lucidità, chiamiamola così, ed in uno di questi lo convinsi a farsi vedere da uno specialista che ci consigliò di non contraddirlo ma di stargli molto vicino e cercare qualche stratagemma per fargli ricordare chi era veramente. Purtroppo le cose peggiorarono fino al punto….” E qui Gloria scoppiò in lacrime. Pianse a dirotto e poi si asciugò il viso scusandosi col dottore che era rimasto in silenzio ma visibilmente toccato da quella scena.
“Non si scusi signora, la prego, anzi fa bene a sfogarsi. Se la sente di continuare?”
“Certo, certo, mi scusi ancora….e come stavo dicendo fino al punto in cui vide in me non più sua moglie ma sua madre e non iniziò a chiamarmi <mamma>. Solo allora e dopo aver sentito altri autorevoli pareri in proposito ci siamo decisi per il ricovero. Ci hanno vivamente consigliato di rivolgerci a Lei e alla sua clinica e perciò eccoci qui.”.
Il dottor Amati rimase pensieroso per qualche breve istante, con in bocca il cappuccio della biro e poi sospirando si rivolse alla sua ospite.
“Non credo sia un caso unico questo, ma certamente è abbastanza raro. Potremmo parlare di <regressione allo stato infantile> e qui le statistiche forse ci sono di conforto, anche se ribadisco non penso che una casistica come questa si sia verificata molte volte. Perlopiù si fa riferimento a episodi sporadici del tipo di quello del film <Marnie> di Alfred Hitchcock, non so se l’ha visto, quando la protagonista ritorna bambina rivivendo un dramma vissuto in quell’età ma si trattava però di una situazione temporanea di qualche minuto che poi anzi la aiuterà a rimuovere quel trauma subito. Qui invece ci troviamo di fronte ad un’involuzione completa e, se mi permette, alquanto inquietante. Questa è una situazione di rifiuto, rifiuto totale. Di che cosa? Di tutto, del mondo che lo circonda. Anche della famiglia? No, non credo, anzi è proprio dall’amore che lo lega ad essa che hanno avuto inizio i suoi tormenti. Probabilmente suo marito non è mai stato un uomo forte di carattere e la paura che questo mondo infame, e su questo concordo con lui, potesse costituire un pericolo per i suoi cari ha fatto traballare il suo equilibrio psichico. Avrebbe forse voluto trasformarsi in Superman per dare il massimo della protezione a chi voleva bene, ma rendendosi conto, e non potrebbe ovviamente essere altrimenti, di non poterlo fare ha cominciato a rifiutarsi di accettare la realtà, in modo crescente ma sistematico. Da qui anche l’insofferenza verso piccole contrarietà che in un'altra persona magari passano quasi inosservate ma per lui invece costituivano dei veri e propri crucci. Volersi allontanare completamente da una situazione che si è resa invivibile, questo si è abbastanza normale. C’è chi preferisce trasferirsi ai Caraibi se non gli va bene la sua vita, chi tenta nuove avventure, chi, al contrario ed è la maggioranza, cerca di sopravvivere e soffre in silenzio. Suo marito invece si è rifugiato nello stato mentale dove ha sempre ritenuto l’individuo puro, genuino, cristallino come un ruscello di montagna: quello di un bambino. Potrebbe sembrare una scelta di comodo o anche codarda, se mi passa l’espressione, ma è chiarissimo che non l’ha fatto coscientemente. Il suo subconscio ha lavorato in modo frenetico a 360 gradi e, a parer mio, quando ha capito che ormai i suoi cari non avevano più tanto bisogno della sua protezione e qui apro una piccola parentesi, Lei signora e suo figlio non è che non avete bisogno di lui ma siete adulti e la sua nipotina ha pur sempre i suoi genitori, si è come dire ‘lasciato andare’ e sopraffare dal suo nemico, il mondo esterno, fuggendo in quella ‘dimensione mentale’. ”.
Gloria aveva ascoltato attentamente e poi gli rifece la domanda posta all’inizio del colloquio.
“Ci sono speranze che guarisca, che ritorni ad essere mio marito?”
“Le ripeto signora, che garanzie non gliene posso dare e che suo marito comunque è un po’ avanti con gli anni. Intendiamoci, non è che sia vecchio decrepito ma queste terapie possono richiedere molto tempo prima che sortiscano qualche effetto accettabile, quindi in una persona con un’aspettativa di vita non elevatissima rischiano di fallire. Perdoni la franchezza, ma è molto meglio essere sinceri. Ad ogni modo tenga presente, e questo vale per ogni branchia della Medicina e quindi a maggior ragione per la psicanalisi, che un paziente non è mai, dico mai, uguale ad un altro, per cui è anche possibile che si risolva il tutto positivamente in un periodo inferiore a quello che pensavamo. Per intenderci tra un anno, un mese, chi può dirlo?, suo marito si sveglia una mattina e si chiede cosa ci fa in questo posto da solo e coma mai è circondato da giocattoli. Qui però stiamo parlando di fortuna e come tale evento possibile ma non certo preventivabile. Sicuramente come già altri colleghi hanno consigliato, per il momento lo asseconderemo nella sua nuova identità per poi cercare mano a mano di ricondurlo con fotografie, musiche, parole a quello che era prima ma questo è ancora tutto da studiare. E poi c’è un'altra cosa….” Il medico fece una breve pausa subito incalzato da Gloria.
“Mi dica dottore, non mi tenga sulle spine”.
“Una cosa sulla quale dobbiamo molto lavorare è sulla volontà di guarigione. Badi bene che è solo un’impressione la mia ma temo che suo marito non abbia nessuna intenzione di ritornare quello che era prima. Comunque non fasciamoci la testa prima di essercela rotta e adesso andiamo a trovarlo.”.
Uscirono dallo studio e s’incamminarono verso la camera di Riccardo e appena furono nei pressi si fermarono guardandosi un po’ perplessi udendo provenire dalla stanza delle risate sguaiate. Aprirono la porta e videro Riccardo seduto per terra che guardava un cartone animato dove un’arzilla vecchietta prendeva a bastonate un grosso gatto mentre un uccellino giallo volteggiava cinguettando nell’aria. Il dottor Amati scosse la testa e lanciò a Gloria un’espressione di sconforto.


   
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