Gabriella Cuscinà
Senatore
Italy
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Inserito - 21/12/2011 : 18:08:19
Karima “Karima!” esclamò Sara abbracciandola, “ Che piacere!” “Signora, ho saputo casualmente del compleanno di suo marito Luigi e sono venuta a fargli gli auguri. Il bene ricevuto non si dimentica, signora, e suo marito me ne ha fatto tanto!” Giunta come profuga dal Kosovo, Karima s’era trovata subito in difficoltà. Era stata adescata e avviata alla prostituzione, ma era riuscita a venirne fuori grazie a Luigi e accolta da Sara come baby sitter. Qualche tempo dopo, la Kosovara aveva scoperto di avere un tumore al seno. Non lo aveva detto a nessuno e anzi aveva cominciato a comportarsi in maniera insolente e stranissima. Trascurava il suo lavoro, rispondeva sgarbatamente a tutti. Si allontanava da casa e portava via taluni oggetti. Una condotta misteriosa visto che fino a quel momento, Karima era stata un modello di onestà e affidabilità. Sara era una signora generosa e le era affezionata, aveva capito che qualcosa l’angosciava e invece di licenziarla, aveva cercato d’indagare sulle cause di quel cambiamento repentino. Era riuscita a sapere che la ragazza rischiava di essere rimpatriata. In Kosovo aveva diciotto anni quando le avevano bombardato la casa, ucciso i genitori e strappato l’adolescenza, offrendole la sola alternativa di una vita da profuga e di un ingresso clandestino in Italia. La storia della sua vita l’aveva raccontata a Sara piangendo. Aveva detto che nel suo paese la guerra aveva spazzato via tutti: non c’era più traccia di parenti o amici. Un paese che viveva di pastorizia e agricoltura; lì aveva avuto una grande famiglia ed era fondamentale, nella cultura Kosovara, una forte rete di parentela. “Signora, se non mi faranno restare in Italia, mi lascerò morire anche perché ho un cancro al seno.” Non poteva essere operata in Italia poiché era una extracomunitaria. Allora bisognava trovare una soluzione differente e cercare d’intervenire in ogni caso sul tumore. Sara e Luigi avevano fatto l’impossibile per aiutare la povera Karima. Avevano istituito una specie di volontariato che aiutasse le donne clandestine che rischiavano di morire perché non avevano diritto all’assistenza sanitaria. I volontari avevano sorretto materialmente e moralmente queste sventurate e le avevano assistite nel terribile percorso della lotta contro il cancro. La Kosovara era stata operata e le avevano asportato un seno. Ogni tanto Karima ricordava: “Quando i Serbi cannoneggiarono la mia casa, io stavo stendendo la biancheria nel cortile. Mamma e papà sono morti sotto le macerie.” Sara l’aveva aiutata a cacciare via tristezza e paura e l’aveva stimolata a ritrovare se stessa e la sua dignità di donna. Luigi s’era industriato per farla restare nel paese che l’aveva vista quasi morire e poi rinascere. “E’ qui in Italia che sente di dover iniziare la ricerca di sé,” aveva detto “un rientro in Kosovo significherebbe per lei un lutto senza redenzione. Un’espulsione sarebbe vissuta come un rifiuto che suggella un passato di emarginazione.” Luigi c’era riuscito. Adesso la ragazza lavorava come infermiera alla Croce Rossa e lentamente stava ricostruendo la propria esistenza. Luigi ha visto da lontano Karima, le va incontro e l’abbraccia. “Sei venuta anche tu! Grazie!” “Tanti auguri dottore! Tanti auguri da chi le sarà grata per la vita!” Gabriella Cuscinà
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