E' proprio indicato, secondo me, approfondire l'argomento su quanto sta avvenendo in Europa, perché pare che i protagonisti principali e cioè i cittadini europei e dei singoli stati, siano tagliati fuori da decisioni che devono solo subire ad opera di istituzioni continentali e nazionali che erano nate per rappresentare elettivamente le necessità dei popoli e che invece si stanno dimostrando solo in grado di imporre ricette che provocano un avvitamento recessivo e una sottrazione di risparmi e in alcuni casi anche di libertà e di democrazia.Rispetto alle prospettive da apocalisse di banche chiuse e di risparmi sequestrati e di attività economiche paralizzate a seguito di un tracollo della moneta unica, mi chiedo come queste misure potrebbero essere accolte da trecento milioni di europei informati e non certo dipendenti dalla sola informazione di stato come nelle crisi degli anni che precedettero la seconda guerra mondiale. Mi chiedo inoltre come misure di questo genere potrebbero essere imposte agli italiani da parte di un governo che non è neppure stato eletto, con un programma disastroso non votato dai cittadini, mentre sono ormai molteplici gli analisti dei maggiori quotidiani internazionali che denunciano una sospensione della democrazia.
L'adozione dell'euro da parte di tanti paesi diversi era nata come speranza per far cessare le guerre commerciali a suon di svalutazioni tra i paesi aderenti, per creare un mercato unico all'interno e forte verso l'esterno e per ridurre i debiti pubblici e diffondere la prosperità in un continente dal passato burrascoso. Dopo dieci anni abbiamo scoperto che si tratta di una architettura che non è stata in grado di resistere alla grande crisi finanziaria provocata dai debiti fuori controllo e che ha contagiato i debiti sovrani con la conseguenza della fuga degli investitori. In questi anni avrebbe dovuto essere compito dei diversi paesi aderenti all'euro raggiungere un equilibrio di conti interni simili, di modo che la moneta unica rappresentasse un valore comune, ma invece paesi come la Germania hanno diligentemente seguito il compito, mentre tanti altri, per ragioni politiche interne, non hanno trasformato la loro economia rendendola libera da lacci e statalismo. Così la Germania è divenuta uno dei maggiori esportatori in area extra euro e ha sviluppato il mercato dei suoi prodotti nell'area euro, senza più temere le svalutazioni competitive dei suoi ex concorrenti europei. Il problema iniziale fu che l'unificazione della valuta non partiva da una unificazione fiscale e quindi i paesi come la Germania, in cui l'impresa privata quale responsabile dell'assorbimento della disoccupazione veniva premiata dalla legislazione fiscale di uno stato minimo, sono fioriti, mentre paesi in cui l'impresa privata viene vista come "parassitaria" e lo stato non è una entità rappresentativa, ma di potere lontano dalla realtà sociale, sono appassiti. Se le tasse non sono le stesse nei diversi paesi, è evidente che quelli con tasse più alte non riusciranno a tenere il passo con quelli con le tasse più basse e che l'idea che le tasse servano per riempire le casse dello stato per una spesa pubblica in cui gran parte dei rivoli non tornano ai contribuenti si dimostra rovinosa.
La moneta unica ha portato la creazione di una banca centrale unica che non ha potuto mediare i suoi interventi sulle situazioni di tutti i paesi, ma ha dovuto farli coincidere con le situazioni dei paesi più forti, dunque non solo i paesi aderenti hanno rinunciato alla loro sovranità monetaria, ma si sono trovati con tassi di riferimento decisi da un ente che mantiene come compito principale quello del controllo dell'inflazione, di fatto un mandato che risponde alle richieste della Germania.
Una volta esplosa la crisi dei debiti sovrani dei paesi più deboli, si sono presentate diverse strade per contrastarla, la prima è stata quella di una maggiore integrazione europea, dunque di fare in pochi mesi quello che non era stato fatto in dieci anni, da qui l'idea del fiscal compact, cioè il pareggio forzoso dei conti pubblici che si è cercato di conseguire, per esempio in Italia, con l'innalzamento delle tasse in un paese già martoriato dai balzelli di ogni tipo e la conseguenza è stata la recessione.
Lo spread, secondo me. è un problema di facciata che viene utilizzato, specialmente in Italia, per ragioni politiche. Si tratta di un indice che misura la differenza di rendimento dei nostri titoli di stato rispetto a quelli tedeschi, più è maggiore, più è maggiore la sfiducia degli investitori verso di noi rispetto alla Germania e più interessi siamo costretti a pagare per mantenere gli acquisti sui nostri bonds. Ma perché gli investori non hanno fiducia nei nostri titoli e dunque perché non sono ottimisti sul fatto che supereremo la crisi? La risposta si trova nei numeri della nostra crescita economica che scende sotto lo zero, senza lo straccio di una politica di sviluppo, di abbattimento della spesa e di liberalizzazione dei lacci che soffocano l'impresa. Le imprese italiane, che boccheggiavano per una legislazione fiscale borbonica prima della crisi, adesso chiudono perché le tasse e i balzelli sono aumentati, anziché come avrebbe dovuto essere ovvio e coraggioso, diminuirli, permettendo la ripresa e l'assorbimento della disoccupazione ed ecco che sarebbe rinata la fiducia interna che avrebbe riportato la fiducia degli investitori esteri. Invece l’Italia pare essere l’unico paese a non voler ridurre la spesa e il ruolo dello stato e ad insistere sulle tasse. Parlare di chi perde il lavoro e non ha la pensione crea “disagio”, parlare degli imprenditori che si suicidano crea “disagio”, discorsi che allontanano l’entità astratta che si chiama stato dall’entità reale che si chiama cittadino, rendendo la seconda suddita della prima.
Nel nostro paese il dibattito economico è stato cancellato dalla sospensione della democrazia e dall'appoggio incondizionato dei partiti maggiori ad una politica economica recessiva. Le invocazioni alla crescita sono ridicole, come può crescere un bambino a cui si toglie il cibo? Come può nuotare un uomo a cui si tira una pietra in testa anziché un salvagente? Il governo italiano ripete in questi giorni che spera in soluzioni europee, discorsi patetici e di ammissione di fallimento, visto che l'unica cosa che l'Europa potrebbe chiederci è di fare il contrario di quello che stiamo facendo. E dunque queste richieste nascondono invece un altro obiettivo, quello di chiedere alla Germania di pagare per tutti, accettando gli eurobonds, cioè titoli che avrebbero un rendimento medio tra quelli tedeschi e quelli dei paesi in difficoltà. Appare assai arduo che la formica Germania accetti di accollarsi il debito dei paesi cicala, anche perché gli elettori tedeschi evidentemente non gradirebbero. D'altro canto, se i problemi di alcuni non vengono divisi tra tutti gli altri, la tentazione per rimanere nella moneta unica è quella di arginare le voragini con le tasse ed ecco che i paesi finiscono in recessione senza riuscire a chiudere i buchi. La Germania tra l’altro è divenuta un rifugio per il capitali in fuga dai paesi a rischio e così gli interessi sui bonds tedeschi sono bassissimi e il paese si finanzia a tassi che permettono una buona tenuta dell’economia reale e invidiabili risultati nell’occupazione.
Riguardo alla Grecia, leggendo il testo delle condizioni imposte dai creditori dell’Unione Europea per la concessione di ulteriori fondi e per la restituzione dei debiti, mi è sembrato di rileggere le condizioni che le potenze vincitrici della prima guerra mondiale imposero alla Germania, provocando il collasso del paese e la sua successiva caduta nelle mani della tirannia. Non discuto che la Grecia sia caduta nel torto e non abbia usato il tempo dalla sua entrata nell’euro per le riforme strutturali, ma la corruzione è stata principalmente del settore pubblico e domenica gli elettori greci si troveranno per la seconda volta a dover scegliere tra partiti responsabili della catastrofe finanziaria e partiti populisti che rischiano di aggravarla. Sono i popoli dunque in questo momento storico a trovarsi ingabbiati in un futuro che in un caso o nell’altro aggraverà le condizioni già povere delle famiglie e cancellerà le speranze delle nuove generazioni.
Le parole che ogni giorno il ministro delle finanze tedesco e altri politici europei riservano alla Grecia, sembrano uscite da testi di dichiarazioni di guerra più che da alleati della Nato e dell’Unione e sicuramente possono provocare una reazione contraria dell’elettorato greco, oltre a far pensare a che cosa sia divenuta l’Unione Europea, una entità che cancella la libera scelta dei suoi appartenenti e impone sistemi vicini alla dittatura.
L’Euro era nato senza pensare che fosse necessario prima un equilibrio fiscale tra i paesi membri, la conseguenza è stata che i paesi che avevano i conti in ordine e le tasse basse hanno prosperato portandosi via i mercati dei paesi tartassati. E oggi la Germania è ovviamente preoccupata di una implosione dell’unione monetaria che riporterebbe il pericolo delle svalutazioni competitive.
Insomma, pare che ci troviamo di fronte ad una nuova guerra civile europea, seppure non combattuta con le armi, ma in cui i popoli sono divenuti le pedine e in cui il potere centralizzato non rappresenta più le loro speranze di miglioramento.
Riguardo ad un ritorno alle valute nazionali, se si presentasse il caso, dovrebbe essere gestito a livello politico e in comune accordo tra i paesi aderenti all’euro, altrimenti il mondo intero ne uscirebbe sconvolto. Si potrebbe pensare ad un serpente monetario con l’euro come valuta di riferimento e le monete nazionali che assumono valori proporzionali rispetto a tale valuta, ad esempio il marco sarebbe equivalente ad un euro, la lira a novanta centesimi di euro e così via. Ogni paese diverrebbe così libero di utilizzare la leva monetaria di una propria banca centrale e la leva fiscale per incoraggiare la ripresa delle aziende, delle esportazioni e dell’occupazione. Sarebbe certo un ritorno al passato, con la prospettiva di ricostituzione di una valuta unica quando tutti i paesi saranno pronti fiscalmente a farne parte.
Nei giorni scorsi cento miliardi sono stati stanziati per la Spagna, per evitare un percorso greco, dunque si è prevenuto, mentre con la Grecia l’Europa non ha usato la ragione. La Francia pure in crisi economica ha eletto un nuovo presidente nel cui programma c’è un ritorno all’assistenzialismo pensionistico, che di fatto allontana il paese dal fiscal compact. E Portogallo, Irlanda e Italia sono strangolati dalle politiche di mancanza di credito bancario e di austerità, che colpiscono in mondo diverso e per ragioni diverse e persino in Olanda il governo è caduto.
Gli Stati Uniti, che verrebbero coinvolti dalla rovina europea, insistono per l’adozione da parte dell’Europa di politiche espansive per le imprese, i consumi e l’occupazione e propongono che la Bce si comporti come una banca centrale di paesi che hanno valute indipendenti, se il denaro non c’è, occorre in qualche modo inventarlo e pomparlo nel sistema economico. Ma la Germania obietta, teme il ritorno dell’inflazione.
Una Unione Europea dunque in cui il termine “unione” non ha più il significato di condivisione.
Il giornale greco di area moderata Ekathimerini ha oggi pubblicato un articolo di fondo molto sentito in cui ricorda che siamo in questa situazione a causa dell’errore della Germania e dell’Unione Europea di accettare che si tenesse il referendum greco sull’euro dello scorso novembre e da quella umiliazione irresponsabile la deriva divenne inarrestabile.
Il giornale ricorda che se è vero che i creditori del paese contano, contano anche i cittadini elettori, le gente che ha pagato, che non è corrotta, che non gode dei privilegi dei politici e i cui figli stanno emigrando perché comunque vada non ci sono prospettive di lavoro per i prossimi anni.
E’ importante dunque che parliamo dovunque di quanto sta accadendo, perché l’Europa deve essere dei suoi cittadini e non dei poteri che impongono dall’alto ricette indiscutibili, deve essere veicolo di diffusione di ricchezza e non di imposizione di povertà.
Roberto Mahlab