La responsabilità penale degli Enti.
Il D. Lgs. n. 231/01, generalità.
Il D. Lgs. n. 231/01 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico una forma di responsabilità delle persone giuridiche - formalmente definita ‘amministrativa’ - che colpisce direttamente enti e società nel caso di commissione di reati da parte di dipendenti e collaboratori ovvero da parte di soggetti in posizione apicale (amministratori, menager, ecc.). Pertanto, alla commissione di un fatto reato potrà fare seguito una dichiarazione di responsabilità, oltre che dell’autore del reato, anche di soggetti diversi dalle persone fisiche (società, fondazioni, associazioni anche non riconosciute ecc.).
Sono state due sostanzialmente le situazioni di fatto che hanno spinto il Legislatore a creare nel 2001 un atto normativo che disciplinasse la materia: l'abuso sempre più massiccio da parte di società di pratiche illegali che spesso costituivano reato ma lasciavano impuniti gli artefici; la spinta normativa dell'Unione Europea.
Tale disciplina, che trova peraltro applicazione ad una sempre maggiore gamma di reati, interessa un'area vasta di soggetti, essendo applicabile a tutte le società e le associazioni (anche professionali), siano esse fornite o no di personalità giuridica. Sono esclusi solamente lo Stato, gli enti pubblici non economici e quelli che svolgono funzioni di rilevanza costituzionale.
Altrettanto significativo è il dettagliato sistema punitivo introdotto (sanzione pecuniaria, misure interdittive, confisca e pubblicazione della sentenza), potenzialmente in grado di colpire l’ente in modo efficace e profondo.
Per limitare l’applicazione di questo nuovo tipo di responsabilità , si richiede ad enti e società di dotarsi, preventivamente, di un ‘sistema di procedure di controllo’ per l’esercizio delle proprie attività denominato Modello Organizzativo di Gestione e Controllo ex D.Lgs. 231/2001 (c.d. MOG 231). L’adozione di ‘modelli di organizzazione e di gestione’ prevede anche la creazione, all’interno dell’ente, di un autonomo organismo (Odv) con compiti di vigilanza e controllo.
E’, proprio, su questi aspetti operativi che gli enti e le società sono, oggi, chiamate ad attivarsi in modo virtuoso. Vale comunque ricordare che si tratta di adempimenti non obbligatori ma certamente decisivi in quanto, alla loro effettiva presenza ed efficacia all’interno della compagine sociale, è collegata la possibilità di esclusione della responsabilità. Dunque, si tratta di una disciplina che assume notevole importanza, sulla scia di un ‘movimento’, sempre più diffuso e condiviso in ambito internazionale, di contrasto del fenomeno della c.d. criminalità d’impresa.
Profili storici e costituzionali.
-L’introduzione del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 sulla responsabilità degli enti, segna un’eziologia di rottura in una posizione dottrinale tradizionale italiana derivante dal brocardo latino SOCIETAS DELINQUERE NON POTEST. Il brocardo latino societas delinquere non potest, risalente al diritto romano, è alla base dell’idea secondo cui destinatari della sanzione penale sono soltanto le persone fisiche e non le persone giuridiche. Nel diritto germanico, invece, così come nel diritto canonico e, in genere, nel diritto medievale, si ammise la responsabilità degli enti collettivi: ipotesi di responsabilità degli enti non sono mancate fino alla Rivoluzione francese, quando si negò al fenomeno associativo ogni forma di capacità personale e perfino di esistenza. Il principio individualistico, che si era già iniziato ad affermare – seppur in maniera non esclusiva – prima della Rivoluzione francese, dominò incontrastato nell’Europa continentale sino alla fine dell’800: epoca in cui si accese il dibattito circa l’adozione delle misure più adeguate a combattere il fenomeno della criminalità societaria.
Nel nostro ordinamento giuridico non esiste in realtà alcuna disposizione che esclude esplicitamente la responsabilità penale delle persone giuridiche anche se la dottrina ha talvolta fatto riferimento all’art. 197 c.p.: l’attribuzione alla persona giuridica, di una obbligazione civile di garanzia per il caso di insolvibilità di colui che abbia commesso il reato nel suo interesse ovvero in violazione degli obblighi inerenti la qualità di rappresentante o di amministratore dell’ente, non avrebbe ragion d’essere se l’ente potesse considerarsi soggetto attivo del reato.
Tuttavia, negli ultimi anni, la necessità di predisporre un sistema penale di responsabilità che colpisse direttamente le persone giuridiche (forse sotto la spinta dell’esperienza riscontrabile nei paesi anglosassoni che conoscono già da tempo la figura del corporate crime) si è sentita in maniera sempre più forte.
Alla base di tale esigenza vi sono due ragioni di ordine criminologico:
• si è preso atto che le più gravi forme di criminalità economica costituiscono manifestazioni di criminalità d’impresa, ciò in quanto in una organizzazione complessa, quale l’ente collettivo, l’illecito costituisce la conseguenza di precise scelte di politica d’impresa (studi criminologici statunitensi dimostrano che qui i soggetti commettono crimini che, a sfondo egoistico, non avrebbero commesso in quanto si sostiene che il livello di inibizione sarebbe affievolito);
• all’interno delle strutture complesse, dove si ha una struttura orizzontale del lavoro, è difficile individuare con precisione la persona fisica responsabile (per farlo la magistratura ha talvolta forzato le norme creando indebite posizioni di garanzia e stravolgendo la portata applicativa di istituti come il concorso di persone e il nesso di causalità).
Chiarita la necessità di predisporre un sistema sanzionatorio a carico delle persone giuridiche si sono registrate diverse correnti di pensiero circa l’individuazione dei possibili meccanismi sanzionatori da adottare (responsabilità civile, amministrativa o penale). Inadeguato sarebbe il sistema della responsabilità civile: ciò in quanto il danneggiato potrebbe non avere i mezzi per agire contro una grande impresa. Del pari, predisporre un sistema di responsabilità di natura amministrativa avrebbe sicuramente una minore efficacia deterrente rispetto alla scelta della responsabilità penale. La dottrina ha però sollevato tutta una serie di obiezioni alla costruzione di un sistema penale di responsabilità delle persone giuridiche.
1. Si è rilevato che il principio societas delinquere non potest riceverebbe, nel nostro ordinamento, avallo costituzionale dall’art. 27 che, affermando il carattere personale della responsabilità penale, richiederebbe l’identità tra l’autore dell’illecito e il soggetto passivo della sanzione. Per superare questa critica si è fatto ricorso alla teoria organicistica: tale teoria (contrariamente alla teoria della finzione che nega soggettività penale alle persone giuridiche considerandole “mero soggetto artificiale”) ammette che la persona giuridica, al pari dell’uomo, è un soggetto naturale e reale e quindi non vi è ragione per escludere tale soggettività.
2. Se il principio di personalità di cui all’art. 27 Cost. viene inteso come inclusivo del requisito della colpevolezza ci si è chiesti come sia possibile che l’ente collettivo agisca con dolo o colpa. Per superare il problema si è proposto di accogliere una concezione normativa (piuttosto che psicologica) della colpevolezza: le persone giuridiche così come sono capaci di commettere illeciti extrapenali sono capaci di azioni penalmente illecite attraverso i fatti dell’organo che, attraverso il rapporto di immedesimazione tra organo ed ente, sono direttamente riferibili alle stesse.
3. L’ente collettivo sarebbe inidoneo ad assumere la qualità di soggetto passivo di una sanzione. L’obiezione è facilmente superabile se si considera che quando si parla di pena non si intende solo quella detentiva (si è infatti proposto di strutturare le sanzioni come misure di sicurezza e ciò anche al fine di superare l’obiezione suesposta relativa alla incapacità di colpevolezza dell’ente).
4. Infine si è rilevata la potenziale dannosità della sanzione: la punizione dell’ente – si dice – potrà avere delle conseguenze negative anche sui soci incolpevoli. All’uopo alcuni sistemi giuridici stranieri hanno introdotto dei correttivi volti a consentire al socio dissenziente di mantenersi indenne dagli effetti della responsabilità della persona giuridica.
-Per chiudere queste riflessioni, diciamo che lo stesso Relatore al decreto legislativo n. 231/2001 richiama, e colloca alla base di una precisa scelta normativa, un’altra fondamentale teoria sviluppata nell’ambito della dottrina tedesca), la «teoria organica». Evidenti i riflessi penalistici: se le persone giuridiche danno vita a «veri organismi naturali», dotati di «volontà propria» come le persone fisiche, diventa possibile in vista di un «rapporto di immedesimazione organica» imputare all’ente non solo gli atti leciti, posti in essere a suo nome da rappresentanti e/o amministratori, ma anche gli atti illeciti. In quest’ottica, già negli anni ’70, si affermava: «Societas delinquere potest» (PECORELLA).
Fattispecie di reato e natura giuridica della responsabilità.
Premesso quanto sopra, vale ora la pena chiarire la natura giuridica della responsabilità.
Innanzitutto quello che interessa è che i reati per i quali è prevista la responsabilità dell’ente sono solo quelli tassativamente indicati dal D.Lgs. 231 del 2001 o da altra norma e che, dunque, il legislatore ha adottato il c.d. ‘’modello chiuso di responsabilità’’, fondato sull’elencazione nominativa dei reati, con la conseguenza che nel nostro sistema non ogni reato può fare sorgere la responsabilità dell’ente per l’illecito da questo dipendente.
Il decreto presenta oggi un catalogo di delitti che risulta notevolmente ampliato dalla sua versione d’esordio ad oggi, avendo nel frattempo visto l’introduzione numerose ed ulteriori ipotesi di reati ed altri se ne attendono. Attualmente il catalogo dei reati è cosi composto:
1. Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello stato o di un ente pubblico– c. d. reati nei confronti della Pubblica Amministrazione
2. Delitti informatici e trattamento illecito dei dati
3. Delitti di criminalità organizzata
4. Concussione e corruzione– c. d. reati nei confronti della Pubblica Amministrazione
5. Falsità in monete, carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento
6. Delitti contro l’industria ed il commercio
7. Reati societari
8. Delitti di finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico
9. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili
10. Delitti contro la personalità individuale
11. Abusi di mercato
12. Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro
13. Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita
14. Delitti in materia di violazione del diritto d’autore
15. Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria
16. Reati transnazionali.
Ciò premesso, con il Decreto è stata effettivamente introdotta, nel nostro ordinamento, una nuova forma di responsabilità delle persone giuridiche per un fatto costituente reato, formalmente definita ‘responsabilità amministrativa’.
Nella sostanza, la nuova forma di responsabilità consiste nell'imputazione di un reato anche – ed è qui la novità - a soggetti diversi dalle persone fisiche autrici dell’illecito. Sul punto, è stato fin da subito osservato che la responsabilità delle persone giuridiche, pur presentandosi quale autonoma e diretta responsabilità, discende sempre dal comportamento di un soggetto persona fisica (a essa appartenente in quanto ‘apicale’ o ‘sottoposto’) che integri uno dei reati indicati dal decreto, ciò in considerazione della “natura spersonalizzata degli enti e la necessaria riconduzione a una condotta che solo una persona fisica è in grado di porre in essere’.
La novità è, dunque, l'introduzione, nel nostro ordinamento, di una responsabilità dell'ente, oltre a quella dell'autore del reato persona fisica. Da qui l’affermazione che la rivoluzione ‘sta nel superamento’ del tradizionale principio della responsabilità penale personale (‘societas delinquere potest’).
Così inquadrata la normativa, è ora possibile affrontare ulteriori riflessioni al fine di rispondere alla domanda circa l’esatta qualificazione della nuova forma di responsabilità introdotta.
Quanto allora alla natura giuridica della responsabilità degli enti, va detto che il Decreto, al comma 1 dell’art. 1, prevede la “disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”. Si discute, allora, sulla natura giuridica di tale responsabilità e cioè se essa sia di ‘natura amministrativa’ ovvero se configuri una vera e propria ‘responsabilità penale’.
Al riguardo, occorre notare che, nonostante la norma faccia espresso riferimento ad una responsabilità amministrativa, è la stessa Relazione Governativa al Decreto ad affermare l’introduzione di una forma di responsabilità considerata come 'tertium genus‘, rispetto a quella penale ed amministrativa, con lo scopo di coniugare i tratti essenziali sia del sistema penale sia di quello amministrativo. In effetti, la nozione di ‘responsabilità degli enti per illeciti amministrativi’ e’ una formula equivoca, per una serie di motivi che qui possono essere così riassunti.
Innanzitutto, per il fatto che l’accertamento fattuale è identico al fatto reato. Inoltre, il procedimento di accertamento è modellato sul processo penale (si svolge innanzi al Giudice penale e prevede per l'ente le stesse garanzie in favore dell'imputato nell'attuale processo). A ciò si aggiunga, anche, la circostanza che l’autorità competente a contestare l'illecito è il PM, così come l’autorità competente ad irrogare la sanzione è il Giudice penale. Pure le sanzioni previste dalla norma sono in gran parte mutuate dal diritto penale. Infine, vi è la previsione di un sistema di 'annotazione' delle condanne in tema di d.lgs. 231 del 2001, inquadrato nell'ambito del Casellario Giudiziale penale.
Per tutto quanto richiamato, è evidente come sia stato introdotto un nuovo corpus di norme all'interno del sistema penale, così che la neoresponsabilità delle persone giuridiche si presenta “con caratteristiche spiccatamente penale, nonostante la stessa sia stata definita ‘amministrativa”.
Lo schema sanzionatorio
Così chiarita la ‘natura’ giuridica della ‘responsabilità’ è certamente più agevole individuare lo schema sanzionatorio tipico della nuova responsabilità introdotta, che può essere così riassunto:
a) verifica dell’ambito soggettivo di applicazione (presenza di uno dei soggetti previsti dall’art. 1 co. 2 e 3: enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità) - presupposto soggettivo -;
b) verifica dell’ambito oggettivo di applicazione (presenza di uno reati di cui all’art. 25 e ss.:catalogo dei ‘reati presupposto’) - presupposto oggettivo -;
c) presupposto della diretta responsabilità della persona fisica autrice del reato ;
d) accertamento della responsabilità dell’ente che abbia un legame con l’autore individuato come soggetto ‘apicale’ o 'sottoposto‘ (art. 5) e nel caso in cui il reato sia stato commesso ‘a vantaggio’ e ‘nell’interesse’ dell’ente - criteri obiettivi di imputazione -, determinata con i criteri di cui agli articoli 6 e 7 del Decreto - criteri soggettivi di imputazione -;
e) diretta applicazione all’ente delle sanzioni previste dal Decreto (art. 9).
Preliminarmente, occorre una verifica degli ambiti sia soggettivi sia oggettivi di applicazione della normativa.
Nel primo caso (lett. a) si deve accertare se l’ente rientra nella previsione di cui al comma 2 dell’art.1 del Decreto mentre nel secondo caso (lett.b), si deve verificare le presenza di uno dei reati tassativamente indicati dalla normativa c.d. ‘reati presupposto’ (artt. 25 e ss. o da altra legge entrata in vigore prima del fatto). Sotto questo profilo, non ogni reato può generare responsabilità anche dell’ente, ma solo ed esclusivamente uno tra quelli espressamente previsti dalla norma.
Inoltre (lett. c), si dovrà poi verificare la diretta responsabilità del soggetto, persona fisica autore del reato, secondo i tradizionali principi del codice penale.
A questo punto, si dovrà/potrà individuare una diretta responsabilità dell’ente, secondo specifiche regole previste dal Decreto (articoli 6 e 7), di cui si dirà meglio nel paragrafo successivo, ma non prima di aver chiarito che la responsabilità “sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile“ (art.8).
Dunque, è solo alla fine di questo ‘percorso’ logico-giuridico che si potrà procedere con l’applicazione del particolare sistema punitivo previsto per l’ente (art. 9 comma 1). Ovviamente, la sanzione così determinata prescinderà da quella comunque applicabile alla persona fisica autrice del reato (multa, reclusione, arresto, multa).
I criteri di imputazione
Il percorso fin qui svolto ci chiede ora, di approfondire il tema dei criteri di imputazione dell’ente, con particolare riferimento al regime della prova.
Il criterio oggettivo: L'art. 5, al comma 1, dispone che l’ente è responsabile per i reati commessi “nel suo interesse o a suo vantaggio”:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, a gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lett.a).
Il comma 2 della medesima norma prevede, inoltre, che l’ente ‘’non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi‘’.
Per quanto sopra richiamato, è chiaro che l’ente è responsabile (criterio oggettivo) solo per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, da persone con funzioni di rappresentanza, amministrazione e direzione dell’ente (‘apicali’) o da persone sottoposte alla direzione o vigilanza (‘sottoposti’). La responsabilità è, invece, esclusa se il soggetto autore del reato ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
Per quanto riguarda i soggetti in posizione ‘apicale’ (Amministratori, Direttori Generali, Rappresentanti legali a qualsiasi titolo, Preposti a sedi secondarie, Direttori di divisione), sono tutti quei soggetti che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa. Sono da escludere da questa categoria i sindaci, per la loro funzione di controllo. Ebbene, ai
reati commessi da tali soggetti, la legge associa una responsabilità tendenzialmente assoluta.
Quanto ai soggetti ‘sottoposti’ all'altrui direzione (Lavoratori dipendenti, Collaboratori, Agenti, Parasubordinati, Distributori, Fornitori e Consulenti), sono tutti i soggetti che eseguono nell'interesse dell'ente le decisioni intraprese dal vertice. Ai reati commessi da tali soggetti è, invece, associata una responsabilità dell'ente per colpa (anche su questo punto, si ritornerà con un ulteriore approfondimento nelle
pagine che seguono).
Elemento fondamentale è, poi, rappresentato dall’ulteriore presupposto dell’ interesse o vantaggio pure richiamato dalla norma: il criterio dell’interesse (inteso come finalizzazione della condotta) sarà accertato dal giudice penale con valutazione ex ante, mentre il criterio di vantaggio (inteso come evento di concreta acquisizione di una utilità) verrà accertato ex post. In tutti i casi, è esclusa la responsabilità dell’ente (art. 5 co. 2) ove risulti che il reato è stato commesso nell’interesse esclusivo dei soggetti autori ovvero nell’interesse di terzi (se non c’è l’interesse
da parte dell’ente allora non c’è nemmeno la sua responsabilità). Al riguardo, è la Relazione governativa al decreto ad affermare che “la norma stigmatizza il caso di
‘rottura’ dello schema dell’immedesimazione organica; si riferisce cioè alle ipotesi in cui il reato dellapersona fisica non sia in alcun modo riconducibile all’ente perché non realizzato neppure in parte nell’interesse di questo. E si noti che, ove risulti per tal via la manifesta estraneità della morale, il giudice non dovrà neanche verificare se la persona morale abbia per caso tratto un vantaggio”.
E’, invece, previsto il caso di riduzione della sanzioni pecuniaria e di esclusione di quella interdittiva (art. 12 co. 3), ove risulti che l’autore del reato ha agito nel prevalente interesse proprio e di terzi e l’ente non ne abbia ricavato alcun vantaggio o vantaggio minimo. Tale norma, è tra l’altro, confermativa della citata tesi secondo la quale i due termini ‘intertesse’ e ‘vantaggio’ vanno intesi in modo disgiuntivo.
I criteri soggettivi di imputazione (attribuzione della responsabilità ed esimenti): Passando all’analisi dei criteri soggettivi d’imputazione, vale fin d’ora osservare che la responsabilità dell’ente non può solo oggettivamente discendere dalla circostanza che il reato sia stato commesso da un proprio ‘apicale’ o ‘dipendente’, ma deve necessariamente trovare il suo fondamento anche in un difetto di organizzazione o di controllo imputabile alla struttura o al funzionamento dell’ente stesso.
Dunque, l’adozione dei modelli organizzativi, come esonero della responsabilità fa si che ‘’la colpevolezza dell’ente non viene identificata tout court con la colpevolezza di persone fisiche, ma starebbe in ultima analisi in un deficit dell’organizzazione o dell’attività rispetto a un modello di diligenza esigibile dalla persona giuridica nel suo insieme’’.
Sul punto, non potrà certo sfuggire il fatto che, perché il sistema sia efficiente, occorre: da un lato, che il reato sia vantaggioso per l’ente, così da determinare l’esigenza di prevedere una controspinta che determini l’ente a prevenire il crimine commesso nell’ambito della sua organizzazione, anziché incoraggiarlo; dall’altro, che l’ente sia in grado di controllare l’operato dell’autore del reato. così che la citata controspinta possa avere un reale effetto di prevenzione generale attraverso la attività cautelativa indotta nell’ente.
Anche per questo il decreto (agli artt. 6 e 7) distingue i casi in cui il fatto reato il reato sia stato commesso da un soggetto in posizione apicale rispetto all’ipotesi in cui la responsabilità è di soggetti sottoposti all’altrui direzione.
Dunque, i criteri di imputazione soggettiva variano a seconda di quale tipologia di soggetto abbia commesso il reato.
La responsabilità nel caso di soggetti ‘apicali’:
Nel caso di reati commessi da soggetti in posizione ‘apicale’ il Decreto (art. 6 comma 1) dispone che l’ente non risponde se prova che:
a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro
aggiornamento e' stato affidato a un organismo dell'ente dotato di poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi e' stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo.
Come osservato dalla dottrina, il legislatore ha scartato un criterio meramente oggettivo (rispettando così il principio di colpevolezza), costruendo un particolare modello di imputazione del colpevole, prevedendo il seguente meccanismo processuale di inversione dell’onere della prova:
a) la predisposizione di modelli di organizzazione e di gestione; b) l’idoneità dei modelli organizzativi e di controllo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi; c) l’affidamento ad un autonomo organismo di controllo (ODV); d) la commissione del reato eludendo fraudolentemente i modelli; e) la sufficiente vigilanza dell’organismo di controllo.
La responsabilità nel caso dei ‘sottoposti’:
Nel caso di reati commessi da soggetti sottoposti all'altrui direzione, il Decreto (art. 7) dispone che l'ente e' responsabile se la commissione del reato e' stata “resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza”.
A norma del comma secondo del medesimo articolo, “e' esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello … idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.” In questo caso, l’ente risponde solo se sono stati violati gli obblighi di controllo e vigilanza generalmente facenti capo ai dirigenti. Si tratta,
pertanto, di una responsabilità per colpa. Sarà, dunque, il PM a dover provare la violazione degli obblighi di direzione e vigilanza e del nesso causale tra il loro mancato adempimento ed il reato.
A differenza del caso dei reati ‘apicali’, nei quali la mancata adozione del modello presuppone per ciò stesso responsabilità dell’ente, nel caso dei sottoposti, la mancata adozione dei modelli o la mancata prova della loro efficacia non comporta l'automatica responsabilità dell'ente. Ad ogni modo, l'ente potrà fornire, senza inversione dell'onere probatorio che resta in capo al PM, la prova dell'adozione dei modelli al solo fine di vedere operare immediatamente la scriminante di cui all'art. 7 co. 2 (c.d. “esclusione della responsabilità ex lege”).
In tutti i casi, è sempre necessaria la prova positiva dell'inosservanza degli obblighi di vigilanza.
Come è stato puntualmente chiarito, occorrerà provare che ‘vi sia stato un deficit di sorveglianza o di organizzazione e individuare quindi una colpa dell’ente per il mancato controllo che ha reso possibile la realizzazione di una condotta penalmente illecita’.
In conclusione, si può ben comprendere come i criteri di imputazione della responsabilità siano stati ‘strutturati’ in modo diverso, a seconda della posizione effettivamente rivestita dal soggetto autore del reato (persona fisica) rispetto all’ente. Infatti, nel caso in cui l’autore del reato sia soggetto in posizione apicale, vale il c.d. principio di identificazione, in base al quale quando agisce il rappresentante dell’ente agisce tout court anche l’ente. In questo caso il legislatore ha previsto un meccanismo di inversione dell’onere della prova, non avendo voluto prescindere da un paradigma di “colpa di organizzazione” dell’ente, quanto alla prevenzione del rischio della commissione di reati da parte dei suoi stessi vertici 32 . Diversamente, nell’ipotesi di reato commesso da una soggetto in posizione subordinata, si delinea una vera e propria fattispecie colposa, in virtù della quale vi sarà responsabilità dell’ente se la realizzazione del reato è stata resa possibile da un deficit di direzione e vigilanza.
giusy melillo