“Bene, e adesso che abbiamo parlato, che facciamo?”, esclama la titolare del panificio, una delle prime a raccontarmi in una intervista che cosa sta accadendo al mondo del lavoro perseguitato da una politica inetta, onnipresente e infastidita dall’esistenza in vita del mondo dell’impresa.
“Iniziare a parlare è una fiammella nel buio”, si commuove invece una consulente del lavoro che ha testimoniato del cortocircuito che paralizza l’Italia.“Che fare adesso, io non so dirvelo”, rispondo, “traete le conseguenze dalla vostra presa di coscienza, altrimenti, come si dice che stiano facendo in molti, abbandonate questo paese, anziché attivarvi a rifondarlo.
Ma è davvero così risolutivo andarsene?
A caratteri cubitali, tipo quelli che i giornali americani riservavano all’Europa in corsa verso la rovina negli anni trenta del secolo scorso, in prima pagina sull’International New York Times è comparso il 16 novembre un reportage della giornalista Liz Alderman, intitolato “Giovani e disoccupati in Europa. Il problema più pressante del continente lascia milioni a patire”.
La reporter descrive casi esemplari, una diplomata in sociologia che trema in attesa della risposta di un supermercato al suo curriculum e intanto alloggia in una stanzetta grazie alla cortesia di amici. Racconta che non era certo il suo sogno dopo tanti studi, ma forse solo una rara speranza dopo tanti impieghi a termine, descrive altre domande di impiego finite nel nulla e datori di lavoro che offrono posizioni non pagate. I genitori l’avevano pregata di unirsi all'attività di famiglia, ma non avrebbero avuto il modo di pagarla. "Una situazione al di là del nostro controllo, ma non diminuisce il senso di colpa, è dura alzarsi dal letto, cosa ho fatto di sbagliato?", conclude.
L’articolo riporta che sono milioni i giovani europei a porsi la stessa domanda. Cinque anni dopo l'inizio della crisi, la disoccupazione sotto i 24 anni è al 56 percento in Spagna, 57 percento in Grecia, 40 percento in Italia, 37 percento in Portogallo, 28 percento in Irlanda, 25 in Francia, 22 in Belgio, Dai 25 ai 30 anni siamo a metà o due terzi di tali cifre e continuano a salire, 41 percento in Grecia, 34 in Spagna, 22 in Portogallo, 20 in Italia.
I lavori oggi disponibili sono precari e a basso salario, la vita è difficile anche per chi è già nella forza lavoro, nei paesi più colpiti le condizioni di offerta di lavoro sono ai limiti dello sfruttamento.
Dalla Grecia all’Italia, dalla Spagna al Portogallo i giovani in gran numero scelgono di andarsene in cerca di opportunità altrove, togliendo al proprio paese cervelli, ambizioni, talenti. Una sfida economica in tempi di populismo che cresce. Pur nella limitata crescita che pare da qualche parte stia tornando, il problema non pare aggiustarsi. Una intera generazione teme di essere saltata.
Dicono :
"Non ho raggiunto alcuna delle mie aspettative ad una età in cui avrei dovuto (28 anni)", "anche se usciamo dalla crisi in quattro anni, ne avrò già 32 e poi cosa?", per la generazione colpita dal 2008, la domanda è se recupereranno gli anni perduti.
"Andarsene dal paese di nascita dovrebbe essere una libera decisione, non una scelta obbligata”.
"Veniamo visti come persone che arrivano per rubare posti di lavoro”.
"Ci criticano perché siamo scappati via, non siamo scappati via, siamo andati via perché obbligati dalla situazione economica e dai politici".
"Perderanno due generazioni di giovani intelligenti e capaci".
"Ricevo offerte per due mesi di stage non pagati, poi per altri due mesi, a volte ci si domanda se vale la pena vivere".
" Non posso neppure pensare a fare progetti per una casa e una famiglia”.
"Non ottenere il posto significa aver perduto la mia indipendenza e l'intera vita che ho cercato di costruirmi".
“I salari dei posti temporanei servono solo alla sussistenza”.
Migliore è la situazione per chi ha intrapreso studi specialistici, già centinaia di migliaia di giovani laureati in ingegneria e medicina se ne sono andati nel nord Europa, in Australia, Canada e Stati Uniti. "E' la parte più qualificata che se ne va"; dicono al centro di ricerca europeo.
E intanto :”14 milioni di giovani europei sono fuori dai circuiti di lavoro e costano 153 miliardi di euro in sussidi o produzione persa.”
Tirando le somme dopo aver letto questo articolo, direi che non si tratta in generale di una emigrazione tipo quella attorno al 1900 quando di fronte c’erano le immense possibilità di un paese in costruzione come l’America, dai paesi colpiti dalla crisi politico-economica si fugge per raggiungere un minimo che non è certo la conquista delle proprie aspirazioni. I discorsi dei giovani che se ne vanno paiono molto simili a quelli degli immigrati dal Nord Africa.
E allora a mio avviso bisognerebbe rivedere il mito dell’andarsene all’estero per far fortuna, non è in generale risolutivo, di conseguenza ci si deve impegnare a cambiare questo paese e a sostituire i timonieri del Titanic.
Il primo suggerimento è cambiare letture, anziché i media addomesticati e privi di informazione del nostro paese, iniziare a leggere i veri media informativi delle altre grandi democrazie, per comprendere quello che abbiamo il diritto di avere e che ci negano senza ragione.