Renato Attolini
Senatore
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Inserito - 15/01/2014 : 15:54:38
<Si avvisa la gentile clientela che il negozio chiuderà alle ore 19.30.>. Francesca non ebbe bisogno di consultare l’ora, sapeva già che il primo messaggio arrivava venti minuti prima della chiusura stabilita. Ne sarebbero seguiti altri. Con la meticolosità che la contraddistingueva e che per la quale era molto apprezzata dai suoi superiori, stava riordinando e sistemando i capi di biancheria intima sparsi un po’ ovunque dai clienti. Era un’operazione che svolgeva quotidianamente ma il sabato sera dopo che il grande “paese dell’abbigliamento” era stato preso d’assalto, era un po’ più laboriosa del solito. <Si avvisa la gentile clientela che alle 19.30 si chiude>. Erano passati altri cinque minuti e il tono della voce all’altoparlante sembrava già meno cortese. Soprattutto, si chiese Francesca, quel <si chiude> sembrava proprio un invito abbastanza rude a sbrigarsi. Sembrava quasi che volesse terminare con “Si prega di andare fuori dalle scatole”. Lei non era che una semplice commessa, ma era fermamente convinta che molti addetti ai lavori nel campo del commercio in Italia avrebbero fatto bene a seguire dei corsi di comunicazione con la clientela. Non le sfuggivano queste sfumature che magari potevano passare inosservate ma che a lei, se fosse stata una cliente, le avrebbero dato fastidio, come quando sentiva una collega che cercando si spiegare un concetto si esprimeva con un “Ha capito?” anziché con un “Ho reso bene l’idea?”. Non sopportava neanche di sentire rispondere con un “prego” quando un cliente ringraziava. Era più professionale un “grazie a lei.”. In fin dei conti erano i clienti a pagare lo stipendio ma al di là di quello Francesca aveva un suo motto preso in prestito da un proverbio giapponese: “Se non sai sorridere, non aprire un negozio!” Il messaggio fu ripetuto ancora, mancavano quindi dieci minuti alla chiusura quando fu avvicinata da una cliente che le chiedeva consiglio su un acquisto. Voleva fare un presente a un’amica di sua figlia ma non sapeva bene cosa scegliere. Francesca le mostrò alcuni capi, non mettendole assolutamente fretta di modo che potesse scegliere con tutta calma e alla fine si decise per uno in particolare che non era però in una scatola, quindi non si poteva fare la confezione regalo, per cui andò dietro alla cassa a cercare qualcosa che potesse andare bene per lo scopo, ignorando gli sguardi fulminanti delle sue colleghe che impazienti non vedevano l’ora di andare a casa. Dopo averne passate in rassegna un bel po’ la signora finalmente trovò quella giusta e soddisfatta comprò il capo. Congedandosi si rivolse a Francesca dicendole: “Grazie, Lei è molto gentile.” Messaggio sublimale: lei sì ma le altre non tanto. Il che non fece che aumentare l’ostilità delle altre commesse. Arrivò la tanta sospirata ora di chiusura, anche se Francesca non agognava di arrivare a casa. Mentre le sue colleghe sciamavano scambiandosi le confidenze su come avrebbero passato la serata, lei rifletté sulle ore di solitudine che l’aspettavano. Il giorno dopo, domenica, avrebbe voluto lavorare come faceva da qualche mese a questa parte, ma il capo del personale l’aveva invitata a riposarsi, spiegandole che, seppure apprezzasse la sua disponibilità, doveva comunque rispettare una turnazione. Poco prima di uscire notò una bambina molto piccola che stava piagnucolando perché il papà non le aveva comprato una maglietta con l’immagine di un personaggio dei cartoni animati, una maialina, che andava tanto di moda. Sorrise pensando a quando lei era piccola e quando chiedeva qualcosa a suo padre, la prima risposta era sempre ‘no’, ma lei conoscendo bene la sua adorazione per lei, insisteva e al terzo tentativo l’aveva vinta. Suo papà. Come le mancava e come avrebbe avuto bisogno adesso dei suoi consigli ma soprattutto della sua compagnia e del suo affetto. Prima di rincasare passò dalla pizzeria, il cui proprietario egiziano la riconobbe subito, dato che spesso si serviva da lui. Infatti, come la vide, le chiese “La solita?” già sapendo la risposta. Francesca prese la sua fumante e profumata “ortolana” e si avviò a casa, dove l’avrebbe consumata da sola. Una volta conversando con Marco, erano arrivati alla conclusione che se si fosse fatta una classifica mondiale dei pizzaioli, alle spalle dei napoletani, la cui supremazia non era in discussione, ci sarebbero stati gli egiziani. Marco, già. Dov’era, che fine aveva fatto? <Marco se n’è andato e non ritorna più> le parole della canzone della Pausini le tornarono prepotentemente in testa e lei abbandonata sul divano, sentì le lacrime che chiedevano solo di poter sgorgare liberamente. In un accesso di masochismo puro accese lo stereo, infilò un CD che conosceva a memoria essendo il suo preferito e le note de “Historia de un amor” si diffusero ovunque. La versione di questo bolero scritto dal cantautore panamense Carlos Eleta Almaràn nel 1956, interpretato da molti cantanti, era di Julio Iglesias. Il momento cruciale fu quando risuonò il ritornello: “Es la historia de un amor como no hay otro igual que me hizo comprender todo el bien, todo el mal que le dio luz a mi vida apagándola después hay que vida tan obscura sin tu amor no viviré.” “E’ la storia di un amore, come un altro non ce n’è uno uguale, che mi fece comprendere tutto il bene e tutto il male, che diede luce alla mia vita, spegnendola dopo, che vita tanto buia, senza il tuo amore non vivrò”. A quel punto le cateratte si aprirono e le lacrime sgorgarono come le cascate del Niagara. “Perché, perché?” si chiese Francesca tra i singhiozzi. Cinque anni di meravigliosa convivenza, in quella casa. Cinque anni di passione, di amore, di cenette intime o con gli amici più cari o semplicemente di serate accoccolati a guardare la TV o ascoltare musica. Qualche screzio, sì ma chi non ne ha? Poi d’improvviso, la fine. Poche e incomprensibili spiegazioni, un migliaio di scuse, le valigie pronte e una porta che si chiude sul passato. Prese una sigaretta dal pacchetto soffermandosi sulla scritta che ammoniva sui pericoli mortali di quel vizio. Gli scappò un sorriso pensando all’aforisma di Woody Allen che recitava: ‘Ho smesso di fumare. Vivrò una settimana di più e in quella settimana pioverà a dirotto.' Gli piaceva moltissimo il regista americano e non si perdeva neanche un film. A Marco invece no, lui preferiva i movies-action, quelli con Sylvester Stallone, Jean Claude Van Damme, per intenderci. Ogni volta che si doveva scegliere un film da vedere era sempre una lotta: lei amava il Cinema d’autore, anche brillante, anche d’azione ma di un certo livello. Lui era solo ‘effetti speciali’ e combattimenti marziali. Salvatores, Tornatore, Tullio Giordana, Kubrick per lui erano degli emeriti sconosciuti mentre lei gli osannava. Per non parlare dei musicals. ‘Chicago’ ‘Les miserables’ ma anche il divertente ‘Mamma mia’ se li aveva dovuti vedere da sola. Qualche volta il compromesso si raggiungeva con Brian De Palma o pellicole interpretate da Denzel Washington. Volendo guardare non avevano proprio tutti gli interessi in comune, ma anche questo fa parte del gioco. Finita la sigaretta chiuse gli occhi appoggiando la testa sul divano. La stanchezza e la tensione di tutta una settimana ebbero il sopravvento e Francesca si addormentò. Il suo sonno fu inquieto come sempre, popolato da sogni nei quali Marco ritornava da lei, innamorato più di prima. Si svegliò la mattina seguente con le ossa indolenzite. Era Domenica e per di più era libera e questo significava solo una cosa: il pranzo obbligatorio a casa di sua madre. Al pensiero fu colta da brividi. Si recò in bagno, riempì la vasca di acqua bollente e schiuma e s’immerse cercando di non pensare a quello che l’aspettava da parte di sua madre e cioè: 1. Insistenze continue perché mangiasse tutto quelle che le aveva preparato; 2. Recriminazioni sulla fine del rapporto con Marco, della serie ‘Te l’avevo detto che non andava bene per te ‘. 3. Esortazioni a cercarsi un nuovo amore 4. Inviti a trasferirsi da lei 5. Pressioni perché uscisse con le sue amiche e non si rintanasse in casa.Puntualmente si verificarono tutte e Francesca non ci prestò attenzione, facendo finta di assentire, anche se con la mente era altrove. Cercò di limitare le pietanze che ancora un po’ sua madre gliele avrebbe imboccate direttamente per riuscire a farla mangiare di più. Terminato il pranzo, appesantita non solo per il cibo, s’inventò la scusa che doveva andare al cinema con una sua amica per cui si accomiatò dalla madre che la salutò felice di aver ascoltato finalmente un suo consiglio. Giunta a casa si sprofondò sul divano e meccanicamente accese il televisore facendo un frenetico zapping tra un campionario di trasmissioni insulse, gag che teoricamente avrebbero dovuto essere divertenti ma che non sarebbero andate in scena neanche sul palco del più infimo villaggio vacanze, talk show nei quali il pubblico applaudiva anche se un ospite starnutiva, dove s’intervistava una soubrette che aveva appena partorito chiedendole, come se il mondo intero pendesse dalle sue labbra dalla risposta che avrebbe dato, se aveva già fatto il bagnetto al neonato. Su un altro canale c’era un programma sportivo, dove cosiddetti e sedicenti opinionisti di diverse fedi calcistiche si scannavano fra loro insultandosi a più non posso in un chiasso assordante mentre uno dalla testa completamente calva saliva su una scala per elencare le postazioni delle squadre in classifica e quando arrivava alla sua, si agitava come un forsennato mantenendo appena l’equilibrio. Spense in preda alla desolazione e mentre si accingeva a schiacciare un pisolino le venne in mente una canzone degli anni ’30: ‘Gloomy Sunday’, Cupa Domenica. Il testo recitava così: ‘Glommy Sunday, with shadow I spend it all My hearth and I have decided to end it all’ ‘Cupa Domenica, la passo con le ombre Il mio cuore ed io abbiamo deciso di farla finita’. Aveva sentito parlare di questa canzone che era considerata ‘maledetta’ per il gran numero di suicidi che a torto o ragione avrebbe istigato. Sembrava proprio adatta a lei e al suo stato d’animo ed anche lei era intenzionata a farla finita, con la differenza che lei voleva cessare non con la vita ma con quel tipo di vita. Era ora di voltare pagina, di reagire. Si preparò per uscire senza chiamare nessuno. Amici, dopotutto, non ne erano rimasti. Sembravano si fossero defilati tutti dopo la fine della storia con Marco, per cui poteva contare solo su stessa. Entrò in un bar piuttosto elegante e si sedette a un tavolino appartato, ordinando una tazza di cioccolata calda. Mentre sorseggiava la bevanda, si era già pentita di essere uscita. ‘Cosa ci faccio qui da sola come una scema?” si domandò, promettendosi di ingurgitare in fretta la cioccolata e di uscire rapidamente tanto si sentiva a disagio, vedendo soprattutto gli altri tavolini pieni di gente allegra e scherzosa. Non finì questo pensiero che un tizio, non avrebbe saputo dire se interessante o insignificante tanto per lei era lo stesso, le si avvicinò e con fare mellifluo le chiese: “Cosa ci fa qui tutta sola una bella ragazza come lei? Se non aspetta nessuno, posso sedermi e offrile qualcosa?”. Eh no, ci mancava solo il solito cascamorto/bellimbusto che cerca di arpionarti. Era l’ultima cosa al mondo che desiderava. Francesca lo squadrò e con un tono gelido che più gelido non si poteva gli sibilò: “Dal suo sguardo immagino già quello che sta cercando. Il suo scopo è solo quello di portarmi a letto. Non aspetto nessuno e di nessuno voglio la compagnia. Non occorre essere un’indovina per capire le sue intenzioni. Non sono interessata a questo genere di cose e come cantava De André in una sua canzone; ‘Ad altra più facile fonte la sete calmate.’ Buona serata!” Il tizio rimase a bocca spalancata e come suol dirsi completamente basito, dopodiché si allontanò non prime di averle replicato. “Le consiglio signorina, di stare attenta alla data di scadenza del latte al mattino. Inacidisce anche il carattere.” Con un sorriso gli rispose: “La ringrazio dell’avvertimento ma al mattino bevo solo caffè.” Subito dopo però si pentì della sua aggressività. Aveva scaricato su quel malcapitato tutta la rabbia e la frustrazione di quei mesi successivi all’addio di Marco e seppure non gradisse essere importunata non era il caso di comportarsi così, bastava semplicemente un garbato rifiuto. Stava per alzarsi e uscire quando incrociò lo sguardo divertito di un ragazzo che stava appoggiato al bancone e aveva assistito a tutta la scena. “Certo che gliele hai proprio cantate a quel poveraccio” le disse sorridendo. “Normalmente non mi comporto così, non è nel mio modo di fare. Sarà meglio che me ne vada. Buonasera.” “Aspetta, non avere fretta. Ti va di bere qualcosa con me?” Francesca lo fissò: era proprio un bel fusto. Carnagione olivastra, occhi scuri, capelli folti e nerissimi e denti bianchissimi su un “telaio” da copertina di riviste di moda. Non sembrava italiano. “Che fai, ci tenti tu adesso?” la diffidenza riprese il soppravvento in lei. “No, te lo assicuro. E’ solo per chiacchierare, se ti va.” “Sì, sì, dicono tutti così.” Il giovane rise di gusto e Francesca faceva fatica a mostrarsi fredda. “Parola di scout, giuro.” Lo sguardo un tantino irriverente e la mano sul petto la fecero sorridere ma si trattenne. “Come no? E chi ci crede?” “Beh, se mi fai sedere, te lo spiego.” ‘Ma perché no?’ si chiese, in fondo che c’era di male a fare due chiacchiere, se poi le cose fossero precipitate, sapeva come comportarsi. “E va bene, accomodati” Il giovane si sedette e si presentò: “Piacere, mi chiamo Manuel e tu?” “Io sono Francesca e tu non sembri italiano, sbaglio.” “Azzeccato. Cubano, di Camaguey per l’esattezza.” “Mi sembrava dall’aspetto. Però parli benissimo la nostra lingua, anche se hai uno strano accento.”. “Grazie, sono tanti anni che sono in Italia. E per quanto riguarda l’accento è un segnale che conosco al meno due lingue, non ti pare?”. “Carina come risposta, un po’ vanitosa magari.” “No assolutamente, credimi” le rispose con un largo sorriso “E’ che ho letto questa frase in un libro e non vedevo l’ora di poterla dire.” “Bene Manuel, sono curiosa di sapere perché dici che non ci proverai con me.” Il ragazzo si passò una mano fra i capelli e poi le chiese: “Al di là del fatto di come hai trattato quel tizio, penso che comunque tu ti senta attratta dagli uomini, o no?” “Beh, dipende da come sono fatti. Ma comunque fisiologicamente lo sono. ” rispose un po’ imbarazzata. “Vedi, abbiamo già una cosa in comune. Anch’io.” Francesca si portò la mano alla bocca per la sorpresa e soprattutto per la disarmante sincerità di Manuel. “Vuoi dire che tu sei…..” “Si, esatto, sono….come mi vuoi definire? Omosex, diverso, gay. Hai presente “Saturno Contro” quando quell’attore diceva: ‘Io non sono gay, sono frocio, sono all’antica.” Francesca scoppiò a ridere, senza rendersi conto che non le succedeva da tempo immemorabile. “Sì, me la ricordo benissimo quella scena. Stupenda, come tutto il film.” “Concordo pienamente. Ma adesso parliamo seriamente: cosa bevi?”. “Ma niente, ho già preso una cioccolata. Sto bene così.” “D’accordo, come vuoi.” E poi rivolto al barista: “Due mojitos per favore.” Francesca lo guardò allibita. “Ma….” “Niente ma, qui fanno dei cocktails favolosi e il mojito è uno di questi. E’ della mia terra, l’hai mai bevuto?” “Non bevo molto gli alcolici a dire il vero.” “ Oh Dios Mio, que lastima. Che peccato! Questo vedrai ti piacerà: Rum Cubano 3 anni, zucchero di canna, menta o meglio sarebbe la Hierbabuena che sarebbe la stessa cosa ma cresce dalle nostre parti e ghiaccio tritato. Ah dimenticavo: “Lime” dei caraibi o in mancanza un mezzo limone spremuto.” Arrivarono i due cocktail con qualche tartina. “Salud” disse Manuel facendo tintinnare il suo bicchiere con quello di Francesca che bagnò appena le labbra ma poi conquistata dal gusto ne bevve un sorso abbondante. Subito si sentì riscaldare dentro ed esclamò: “Ma è proprio buono!” “Lo so, e poi aiuta a dimenticare……soprattutto gli amori infelici, vero?” sorrise Manuel guardandola. Francesca rimase interdetta ancora una volta. Quel ragazzo era un po’ impiccione ma lo si poteva perdonare grazie alla sua esuberanza ed allegria contagiosa. “Chi ti dice che soffro pene d’amore?” replicò comunque sulla difensiva. “Per usare le tue stesse parole, non occorre essere indovini. Basta guardarti in faccia per capirlo.” “Cambiamo discorso per favore. Cosa fai di bello in Italia?” “Sono proprietario di una scuola di ballo latino-americano. Hai presente Salsa, Merengue, Mambo, Cumbia?”. “Certo, le conosco queste danze, anche se non le so ballare.” “Magnifico, è l’occasione buona per iniziare. Perché non provi?” Francesca si schernì ma non fece in tempo a rispondere perché in quel momento entrò un ragazzo che si diresse diritto verso di loro. Manuel lo vide ed esclamò: “Oh ecco che c’è Yorgo.” Poi con un sussurro le disse: “E’ il mio boyfriend.” e poi rivolto al nuovo arrivato: “Yorgo ti presento Francesca una mia nuova amica. Francesca lui è Yorgo, italiano acquisito ma nativo della Grecia.” I due si strinsero la mano ma Francesca notò negli occhi del ragazzo un lampo di freddezza quasi di ostilità, che subito dopo disse a Manuel: “Adesso dobbiamo andare, si fa tardi.” “Certo hai ragione, vai in macchina che ti raggiungo subito.” Yorgo salutò con un cenno del capo Francesca e si allontanò. “Non farci caso è un po’ geloso. Dopo gli do una bella strigliata.” “Ma no dai, lascia perdere, non è il caso.” “Si che lo é. L’educazione innanzitutto. Ora ti devo lasciare per perché andiamo a una festa, ma permettimi di darti il mio numero di cellulare e ovviamente se lo gradisci farmi avere il tuo.”. Scambiatisi i numeri, Manuel la salutò e uscì. Francesca rimase seduta un po’ in preda ad una strana sensazione. Era parecchio tempo che non parlava con una persona al di fuori di sua madre e delle sue colleghe e dovette ammettere che non le era dispiaciuto. Manuel era un giovane molto simpatico e socievole ed anche molto…bello. Però da quel punto di vista non c’erano possibilità visto quello che le aveva detto ma anche perché lei non era ancora pronta per una nuova relazione. Rimirò il biglietto col suo numero di telefono e poi lo mise nella borsetta, convinta che comunque non lo avrebbe più visto. Tornò a casa meno triste del solito e si preparò ad affrontare la serata e soprattutto dall’indomani la nuova settimana. Passò qualche giorno e Francesca quasi si era dimenticata di quell’incontro quando una sera squillò il cellulare. Meccanicamente lo prese con la certezza che fosse sua madre, perché era l’unica persona che la chiamava in quel periodo, tanto che non guardò neanche sul display chi fosse e quale non fu la sua sorpresa quando sentì la voce di Manuel. “Ciao Francesca, ti ricordi di me?” “Certo, come va?” “Bene, grazie. Ti ho chiamato per due motivi. Il primo è che volevo scusarmi per l’altro giorno: ti avrei anche invitata a quella festa ma dovevo fare subito un “cazziatone” al mio amico per come si era comportato con te e non volevo che tu assistessi e il secondo….” “Ma ti ho detto che non era il caso, di lasciar perdere…” lo interruppe Francesca “E il secondo, stavo dicendo” proseguì Manuel ignorandola “è che sabato sera ho invitato un po’ d’amici a casa mia per una cena e mi piacerebbe che venissi anche tu.” Francesca rimase in silenzio per la sorpresa: da quanto tempo non riceveva un invito e non sapeva cosa dire. “Pronto, ci sei?” Manuel la stava chiamando “Hai riattaccato?” “No, scusami e che non so….” “Cosa non sai? Se i miei amici sono tutti come me? Non ti preoccupare ci sono anche quelli anormali.”. Francesca rise di gusto: quel ragazzo era davvero divertente e la sua esuberanza era coinvolgente. “No, credimi non è per quello, è che non conosco nessuno a parte te e volendo guardare ti conosco pochissimo.” “Come scusa non vale un granché. Perciò ci vediamo sabato alle otto a casa mia” e prima di riattaccare le diede l’indirizzo. Rimase col telefono sospeso in aria, molto interdetta. Da un lato non le sarebbe dispiaciuto andare, aveva bisogno di un po’ di distrazione ma dall’altro temeva di sentirsi fuori posto. Decise che non ci sarebbe andata, voleva crogiolarsi ancora un po’ nella sua amarezza. Il sabato sera uscì come sempre alle 19.30 e improvvisamente cambiò idea: passò da un supermercato lì vicino, acquistò una bottiglia di champagne, corse a casa per una doccia e un trucco veloce e alle otto e mezza era sotto casa di Manuel. Quando lo vide si scusò per il ritardo nel mentre che si baciavano sulle guance ma il ragazzo la tranquillizzò: era una cena a buffet per cui non importava tanto l’orario. L’appartamento di Manuel si trovava all’ultimo piano di un dignitoso condominio, non era molto ampio ma aveva un bel salone dove c’erano perlomeno una ventina di persone che chiacchieravano fra loro e si servivano in piatti di plastica da un lungo tavolo sul quale erano sistemati i cibi e le bevande. Una musica caraibica ad alto volume contribuiva non poco ad aumentare la confusione. “Vieni che ti presento ai miei amici, ci sono molti stranieri ma anche italiani, tutti comunque parlano la tua lingua.” Ritrovò Yorgo che le sembrò molto più affabile rispetto al primo incontro, grazie forse alla ‘tirata di orecchie’ di Manuel, Anita, una ragazza peruviana, una coppia di brasiliani e via discorrendo. Le illustrò le varie pietanze sistemate sul tavolo: “Questa salsina che vedi si chiama Tzatziki, è una specialità greca a base di yogurt bianco intero, cetrioli e aglio e l’ha preparata Yorgo, insieme al ‘Mussaka’ una specie di parmigiana di melanzane con la carne trita. Poi ci sono ‘arroz con pollo’ che sarebbe riso con pollo e papas con huancayna il tutto dalle mani di Anita, piatti tipici del suo paese. Il riso lo vedi verde perché è stato cucinato col coriandolo, spezia del Sudamerica mentre le papas sono le patate lesse condite con questa salsina di colore giallo che prende il nome dalla città di Huancayo in Perù ed è fatta frullando del formaggio molle, dei crackers, olio, sale latte e la cosa più importante l’aji amarillo. Questo è un peperone estremamente piccante che non si trova in commercio nella grande distribuzione ma lo puoi comprare nei negozietti etnici che fanno servizi telefonici intercontinentali e che vendono prodotti provenienti da tutto il mondo. Quando lo si pulisce è meglio usare dei guanti di lattice perché se poi inavvertitamente ti passi la mano da qualche parte, te la ustioni sicuramente. Il latte serve proprio per stemperare il sapore troppo piccante. E qui invece abbiamo la ‘Feijoada’ piatto tipico brasiliano a base di fagioli neri, costine di maiale e pancetta affumicata ‘“. Francesca rimase a bocca aperta. “Mai mi sarei immaginata di ascoltare delle lezioni di cucina internazionale.” disse sorridendo “E’ davvero molto interessante e soprattutto molto ‘dietetico’” osservò con un pizzico d’ironia” e aggiunse “Ma del tuo paese non c’è nulla?” “Rum, anzi ron cubano, 3 o 7 anni secondo l’uso e in gran quantità. Giovane per i cocktail, più vecchio da degustare a fine cena magari con un pezzettino di cioccolato fondente che rende meglio. Ma adesso assaggia queste leccornie.” Francesca provò prima le patate con la salsina e sobbalzò per il fuoco che le era entrato nelle viscere. “Manuel, acqua per favore, subito” balbettò con voce roca. “Acqua? Scherzerai vero? Amici abbiamo acqua qui?” disse a gran voce rivolto ai suoi ospiti. Tutti risero e qualcuno gridò: “In bagno e per lavarsi.” Altre risa. Manuel notò che Francesca si era adombrata, sembrava non avesse gradito la battuta per cui intervenne immediatamente. “Dai non te la prendere. Si sta scherzando. Beviti questa cervezita heladita.” “Cosa?” “Birra ghiacciata, vedrai che ti farà bene. A proposito grazie dello champagne, dopo ce lo scoliamo.”. Non era per niente una gran bevitrice di alcolici ma con la bocca in fiamme, la birra gelata scese nel suo stomaco alla velocità del suono. Passato il bruciore, Francesca trovò di suo gusto la salsina sia messa sulle patate che sul riso col pollo. Provò anche lo tzatziki non piccante ma decisamente saporito per via dell’aglio in abbondanza ma ormai si era abituata ai sapori forti. La sua attenzione fu catturata dai numerosi poster affissi sulle pareti. Ritraevano paesaggi e personaggi esotici. “Sono volti e luoghi della mia terra” la voce improvvisa di Manuel alle sue spalle la fece quasi sobbalzare. “Vedi questa è la spiaggia di Varadero, bianchissima con un mare che sembra una piscina tanto è trasparente, però la località è troppo turistica, non c’entra niente col resto del paese. Potrebbe essere da qualsiasi altra parte del mondo. Pensa che i cubani non ci possono neanche entrare se non per motivi di lavoro. C’è un posto di blocco all’ingresso.” “Ma dai possibile?” si sorprese Francesca. “Possibilissimo, credimi. Questa Cattedrale invece si trova nella parte vecchia dell’Avana, che è anche la più caratteristica, vicino alla ‘Bodeguita del Medio’ un locale dove Ernest Hemingway beveva il suo ‘moijto’ il cocktail che ti ho fatto assaggiare quando ci siamo conosciuti. Diceva sempre: ‘Mi moijto alla Bodeguita, mi daiquiri alla Floridita’, altro bar dove spesso si recava. Il daiquiri è un altro cocktail a base di rum, se non lo conosci.”. “No infatti, ma questo vecchio col sigaro in bocca chi è?” “Ray Company Segundo, leggendario musicista che seppure sia stato un grande artista ha raggiunto la fama internazionale solo nel 1997 quando un chitarrista jazz americano Ry Cooder è andato a Cuba riunendo delle vecchie glorie della musica in un'unica sessione diventata famosa come ‘Buena Vista Social Club’ nella quale parecchie canzoni cubane del passato sono state rivisitate con venature jazz. Un successone! Lo stesso anno rilasciò un’intervista nella quale lasciava trapelare la possibilità di diventare padre per l’ennesima volta. Raccontò anche che all’età di 5 anni accendeva i sigari per sua nonna per cui erano 85 anni che fumava.”. “Un personaggio straordinario!” esclamò Francesca affascinata. “Si è vero ma ce ne sono tanti nella mia Isola.” ‘Mi sa che anche tu lo sei’ disse tra sé, sorprendendosi del suo pensiero. In quel mentre le note di una canzone a volume alto esplosero nella sala. “La conosci? Questa è ‘Vivir lo nuestro” una salsa famosissima cantata da Marc Anthony e da India. Vieni balliamo, lo stanno facendo tutti.” Le disse prendendola per mano. “Ma non sono capace!” protestò vivacemente Francesca impuntandosi come un mulo. “Non c’è problema, sono o non sono un insegnante di ballo? Guarda, metti i piedi come faccio io, un passo dietro, uno avanti, uno….” In quel mentre le si avvicinò un ospite che assomigliava molto a Ray Company che sorridendo le bisbigliò: “Señorita no haga caso a las tonterìas de este hombre. Que se tome dos Cuba Libre y bailarà una maravilla sin alguna lecciòn.”. Manuel scoppiò a ridere mentre Francesca non sapeva cosa dire perché non aveva capito nulla. “Ti sta dicendo di non ascoltare le sciocchezze che dico, perché basta che ti bevi due 'Cuba Libre' e ballerai una meraviglia. Francesca ti presento Ramon, mio vecchio amico, cubano pure lui. Vecchio non solo perché lo conosco da tanto tempo ma anche, come vedi, per l’età.” “Viejo serà tu poto” ribattè l’uomo con una pacca nello stomaco di Manuel che esclamò: “Questa è meglio non tradurla.” Francesca si stava davvero divertendo e soprattutto si sentiva a suo agio come da tempo non le capitava. “Ascolta Manuel, ho notato che fra i tuoi ospiti ci sono anche anziani. E’ strano sai, quando andavo a qualche festa di amici con Marco erano tutti più o meno giovani.”. “La cosa ti spiace?” “Assolutamente no, anzi però per me è una novità.” “Sai Francesca, noi in America Latina non emarginiamo gli anziani come, scusami ma è vero, fate voi. Per noi sono importanti, fanno anche loro parte della nostra vita, delle nostre famiglie. E poi i nostri sono più in gamba e brillanti di molti giovani. Da noi quando ci si riunisce, ci sono tutte le età.”. “Beh, non vedo bambini.” Obiettò Francesca. “Vai in camera da letto e troverai i figli di Anita e quelli di altre coppie che giocano tranquillamente. Non li lasciamo mai a casa con qualcuno che li accudisce, fosse per noi le baby sitter sarebbero perennemente disoccupate.”. “Per loro spero almeno che ci sia l’acqua.” Osservò maliziosa. “Beh, si dai, per loro sì, anche bibite in quantità.” Un’altra canzone risuonò nell’aria e un’ombra di malinconia passò sul viso di Manuel. “Qualcosa non va?” gli chiese un po’ allarmata. “Non è nulla, è solo che quando sento questa canzone mi viene un po’ di tristezza.” “Perché?” “Si tratta di ‘Mi tierra’ di Gloria Estefan. Parla della nostalgia che sente per la sua terra lontana che ha lasciato e mi ricorda tanto il mio paese.”. “Ti manca?” “Non hai idea di quanto.” “Perché l’hai lasciato allora?” “Per quelli come me, sai cosa intendo la vita era davvero difficile. Ero non solo discriminato dal regime ma anche deriso e vilipeso. Perciò una notte fuggii con altri su una ‘balsa’, una zattera, arrivai a Miami in Florida e da lì poi con l’aiuto dei profughi che vivono là da anni e hanno costituito una comunità, sono venuto in Italia. All’inizio mi sono adattato a fare molti lavori e infine con tanti sacrifici sono riuscito a realizzare il mio sogno che era quello di aprire appunto una scuola di ballo.”. “Cosa ti manca di più?” “L’allegria. Là sono poveri ma sono sempre col sorriso sulle labbra. Ogni occasione è buona per riunirsi a fare festa, anche quando ci sono i tornado o gli ‘apagon’ i black out elettrici. ‘Mi casa es tu casa’ si entra e si esce dalle case degli altri come se fosse la propria. Se vai in una ‘tienda’ un negozio e all’improvviso parte la musica non è affatto raro che le commesse si mettano a ballare. Le prime impressioni quando sono arrivato qui è di vedere quanta gente incazzata che va in giro, quanta acidità, aggressività e malanimo ci sia verso il prossimo. Eppure avete tutto e vi lamentate sempre. Certo ci sono anche i risvolti positivi, se stai male con la gola, per esempio, vai in farmacia e hai una scelta vastissima di prodotti a seconda se hai anche la tosse, il raffreddore o la febbre. Da noi ti prendi il miele sciolto col limone e speri che ti passi.”. Francesca rifletté su quanto aveva detto Manuel e si mise a ridere fra se immaginando cosa avrebbero pensato i clienti se nel suo negozio lei e le sue colleghe si fossero messe a ballare. Ramon la invitò a ballare e nonostante le sue proteste alla fine cedette senza sapere bene cosa stesse facendo e Manuel si occupò degli altri ospiti che aveva trascurato un po’. La serata filò via allegramente tra danze e bevande alcoliche in abbondanza e quando qualcuno cominciò ad andare via, si accorse che si erano fatte le tre del mattino. “Manuel è ora che vada. Grazie per la splendida serata.” Lo salutò abbracciandolo e baciandolo sulle guance. “Grazie a te per essere venuta, ci sentiamo presto.” Arrivò a casa un po’ stordita e si buttò sul letto sprofondando in un sonno pesante ma allo stesso tempo sereno. Il cellulare continuava a squillare e solo dopo parecchio tempo rispose con la voce impastata. “Francesca, ma che ti succede? Stai male? Come mai non sei ancora arrivata?” Quante domande! Era sua madre. Guardò l’orologio e trasalì: era quasi l’una e a quell’ora avrebbe dovuto essere a pranzo da sua madre. “Mamma, scusami tanto, sto bene ma non ce la faccio a venire, sono stanchissima. Mettimi il cibo nei contenitori e dopo lo vengo a prendere così lo mangio in settimana. Buona notte!” “Ma come Buona Notte! Che cosa stai dicendo…” ma ormai aveva già riattaccato. Non era abituata a fare così tardi e soprattutto a bere tanto: la testa le girava e aveva bisogno di un’aspirina ma soprattutto di dormire ancora. La domenica passò così nel dormiveglia ma stavolta non le pesò. Il giorno dopo si recò al lavoro con uno spirito nuovo e le sue colleghe se ne accorsero subito. Qualcuna malignò che aveva già trovato il sostituto di Marco ma lei non diede nessuna importanza a quelle voci. Non era guarita non poteva esserlo ma si sentiva meglio e questo era già importante. Chissà se avrebbe rivisto Manuel. Non si nascose che le avrebbe fatto molto piacere. I giorni passarono con le solite routine e quando arrivò il week-end, si accorse con smarrimento che le si stava prospettando di passarlo in solitudine. Il pensiero le sembrava insopportabile più che in passato e quando già si era decisa a chiamare Manuel con un pretesto qualsiasi ecco che lui si fa vivo. “Ciao Francesca, ti piace la pittura?” le chiese subito direttamente. “Sì, abbastanza, non sono un’esperta ma non mi dispiace.” Rispose un po’ perplessa. “Bene, ti va domenica pomeriggio di andare a una mostra con me, Yorgo e un’amica? C’è un’esposizione di quadri di Manet, Klimt, Picasso e Van Gogh più qualcun altro assai famoso.”. “Caspita!” esclamò “Non me ne intendo tantissimo ma credo sia un evento eccezionale tutti questi grandi nomi insieme in un’unica mostra. Ne avranno parlato giornali e televisione ma non ho sentito nulla.”. “Beh è facile che non se ne sia parlato in giro. La mostra s’intitola ‘Falsi d’autore’ e sono solo copie per opera di pittori dilettanti ma penso sia comunque interessante. Ci vieni?” “Volentieri” “Bene ci vediamo a casa mia nel primo pomeriggio.” Le venne in mente quella volta che a Firenze durante una gita propose a Marco di visitare la Galleria degli Uffizi e ottenne un rifiuto. ‘Che cosa ci trovi a vedere tanti quadri?’ le chiese. Preferì non rispondergli ma si domandò che cosa avrebbe detto Stendhal se l’avesse sentito. La lontananza le stava chiarendo che più passava il tempo e meno erano le cose che si ritrovava ad avere in comune con lui. La mostra era stata allestita in una sala messa a disposizione dal Comune ed era visitata da un discreto numero di persone. La prima opera davanti alla quale si soffermarono ritraeva delle persone che stavano facendo una specie di picnic. Nel gruppo una donna seminuda, l’altra completamente. “Lo conosci questo quadro?” sussurrò Manuel a Francesca. “Mi sembra di sì, ma non ne sono sicura.” “Si tratta di ‘Dejeuner sur l’herbe’ di Eduard Manet, scuola Impressionisti. Alla sua prima presentazione al pubblico suscitò scandalo e polemiche per le raffigurazioni di nudo.”. Passarono poi a un altro che suscitò l’entusiasmo di Francesca. “Ah, questo è famoso. E’ ‘Il Bacio’ di Klimt.’ Bellissimo!” “Si concordo. Anche a me Klimt piace molto. Sembra che le sue opere siano state influenzate dalle teorie di Sigmund Freud.”. Francesca non ricordava di avere mai avuto una conversazione così interessante con Marco. “Queste opere sono identiche agli originali.” Osservò “Certo, a un critico d’arte non sfuggirebbe la differenza ma i profani come noi potrebbero cadere nell’inganno. In che cosa secondo te si distinguono?” “Non saprei proprio. Forse l’intensità del colore, qualche piccolo particolare di sicuro. Una cosa è quasi certa: che gli imitatori in un angolo del quadro lasciano la firma, un piccolo segno che li identifichi in futuro, un modo per dimostrare che il lavoro l’hanno fatto loro.”. “E tu come le sai tutte queste cose?” chiese Francesca ammirata. “L’ho sentito dire dal protagonista di un film che ho visto: ‘La miglior offerta’.” “Ah che imbroglione! Ed io che ti pensavo un esperto!” lo prese in giro scherzando. “E perché? Anche il Cinema è un veicolo di cultura, come i romanzi. Non occorre solo studiare sui libri di testo, s’imparano tante cose vedendo film o leggendo racconti.”. “E’ vero, hai ragione.” “Anzi sai che ti dico. Dopo la mostra perché non andiamo tutti a vedere quel film? Io l’ho già visto ma lo rivedo volentieri se ti va.”. “Perché no? Io non l’ho ancora visto.” Così dopo si recarono tutti in un Multisala, dove proiettavano la pellicola e fu lì alle biglietterie che Francesca rivide Marco. Ebbe un tuffo al cuore al primo istante ma ne arrivò subito un altro quando si accorse che aveva al suo braccio una ragazza bionda notevolmente appariscente sia come forme sia come modo di vestirsi. “Ecco quindi il vero motivo per cui sono stata lasciata.” Pensò con amarezza. Manuel si accorse del suo turbamento e le chiese se andasse tutto bene. “No, che non va bene. Quello là è Marco. Ti prego tienimi stretta, fai finta che stiamo insieme.”. Manuel la cinse con un braccio e le sussurrò: “Fai finta di ridere forte!” Cosa che Francesca fece immediatamente. Marco, che era lì appresso, si voltò e vedendola impallidì. Ci furono il solito scambio di convenevoli e le presentazioni dei rispettivi accompagnatori. Marco sembrava sorpreso, non si aspettava evidentemente di trovarla con un altro, forse credeva che Francesca si sarebbe crogiolata per sempre nel suo ricordo. Le stava appunto dicendo che andavano a vedere un film di quelli tutto raggi laser e super effetti speciali quando la voce della bionda lo richiamò impaziente: “Dai Fuffy, tesoro, muoviti che sta per iniziare.” Si salutarono e Manuel bisbigliò all’orecchio di Francesca con un tono alquanto canzonatorio: “Day Fuffy, sbrigati!” Francesca non ebbe bisogno stavolta di fingere e rise proprio di gusto. Usciti dal cinema Manuel le disse: “Ma ti ha lasciata per quella Barbie tutta curve e zero cervello? Non pensarci più, non ne vale proprio la pena.”. “Mi sa che hai proprio ragione. Ma fa male ancora.” “Ancora per poco, per molto poco vedrai.”. La serata si concluse in pizzeria e poi tutti a casa per iniziare una nuova settimana. Francesca riprese a lavorare con un animo diviso fra la delusione provocata dall’aver visto Marco con un’altra e il crescente attaccamento che sentiva per Manuel. Si poneva troppe domande su questo sentimento che non sapeva ancora ben identificare, se era dovuto a una grande considerazione che sentiva per lui o se era imputabile alla ricerca di un ripiego, di uno “chiodo schiaccia chiodo”. In quest’ultimo caso sapeva di non avere molte speranze, per i noti motivi. A metà settimana ricevette una telefonata di Manuel che le propose una cena a casa sua, solo per loro due. Rimase un po’ interdetta ma alla fine accettò, spinta soprattutto dalla curiosità. Quella sera la tavola era apparecchiata in modo elegante, non c’era la confusione della prima volta e non solo perché erano solamente loro e non tutta quella baraonda. Francesca notò i calici di cristallo, tovaglioli bianchi e dentro un cestello col ghiaccio una bottiglia di champagne. “Te la ricordi? L’hai portata tu. Ti avevo detto che ce la saremmo bevuta subito ma l’ho messa da parte per un’occasione.”. Francesca era emozionata ma anche perplessa. Sembrava che Manuel la stesse corteggiando. Non è che le dispiacesse ma sapeva bene che non poteva essere vero. La cena si svolse in allegria seppure misurata tra fettuccine con capesante e gamberoni alla piastra, cibi sui quali lo champagne sembrava evaporasse tanto si consumava in fretta. Approfittando di un momento di silenzio, Francesca, aiutata anche dall’effetto dell’alcol, volle fugare quel dubbio che un po’ la tormentava. “Manuel, posso chiederti come mai quest’invito a due? Non che non mi abbia fatto piacere, anzi, però mi ha sorpresa. ” “Prima di risponderti, ho qualcosa per te.” Il ragazzo si allontanò e tornò con un pacchetto regalo. “Domani è San Valentino. Tanti auguri.” La perplessità si trasformò in imbarazzo totale e Francesca balbettò: “Manuel, perché? E’ la festa degli Innamorati e noi non stiamo insieme, o sbaglio?”. “No, non ti sbagli. Ma per noi latino-americani San Valentino è anche la Festa dell’Amicizia, ‘El dia de la Amistad’ per dirla a modo nostro. E’ uso e consuetudine scambiarsi regali fra amici, certo quelli più importanti.”. “Oh, questa proprio non la sapevo!” arrossì confusa. “Sai, non te la prendere, ma alle volte penso che se la nostra gente appartenga al cosiddetto ‘Terzo Mondo’ dal punto di vista economico, la vostra invece lo è da quello spirituale e sentimentale. Troppa aridità e schematismo in voi, troppa rigidità, sembra che codifichiate anche i sentimenti. Vi manca la fantasia in questo campo. Esclusi i presenti, ovviamente.” “Lo sono sempre. Ma al di là di questo, un po’ di ragione ce l’hai. Ovviamente anche voi credo non siate perfetti. Penso che non possiate considerarvi esenti dalle meschinità e cattiverie del genere umano.”. “Assolutamente no, anzi. Ripicche, gelosie, dispetti, violenze le abbiamo anche noi, eccome. Diciamo che comunque in generale cerchiamo sempre di far prevalere l’aspetto affettivo e sentimentale in ogni cosa, anzi non lo cerchiamo ci viene naturale. Poi può succedere che qualche volta non avvenga, siamo esseri umani anche noi. Te lo dice uno che ne ha passate di tutti colori per il suo modo di essere.”. Francesca rimase un po’ in silenzio, poi gli rivolse una domanda diretta. “Manuel, sembra che siamo amici da chissà quanto tempo eppure sono poco più di due settimane che ci conosciamo. Non so come ringraziarti dell’affetto che mi offri ma perché lo fai? Cosa ti ha spinto a conoscermi a frequentarmi così assiduamente? Mi piacerebbe proprio saperlo.” Manuel la fissò negli occhi con fare un po’ indagatore. “Ti spiace forse?” “No, cosa dici. Tutt’altro.” “Beh, se vuoi saperlo, la prima cosa è stata la curiosità. Mi aveva proprio divertito il modo col quale avevi sistemato quel tizio al bar….”. “Non me lo ricordare. Provo ancora vergogna. Avevo esagerato.” “No, avevi fatto bene. E’ mai possibile che una donna non possa entrare da sola in un locale pubblico senza che questo autorizzi qualche bellimbusto a importunarla? E dopo, lo ammetto, ho voluto un po’ provocarti. Ti ho detto subito qual era la mia condizione per vedere come reagivi, ma tu non hai fatto neanche una piega, non ti sei sentita né imbarazzata né mi hai chiesto niente. Semplicemente la cosa ti è scivolata addosso. E questo mi ha colpito immediatamente. Alle volte quelli come me non cercano né sostegno né comprensione ma solo “indifferenza”, nel senso di essere trattati come qualsiasi altra persona. Da quel momento ho sentito dentro di me che volevo esserti amico e che mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio.”. “Anche tu mi sei piaciuto subito e non mi dispiaceva affatto iniziare un rapporto con qualcuno senza che sarebbero potute sorgere complicazioni sentimentali di cui non sentivo e non sento la necessità.” “Scusami Francesca, ma dovresti invece cominciare a sentirle. Sei giovane, bella e una delusione per quanto cocente non può inaridirti a tal punto. Hai constatato di persona che non vale la pensa soffrire per uno che non ti merita. Ricordati le parole di quella canzone di 30 anni fa circa: ‘Lascia aperta la porta del cuore, vedrai che una donna già cerca di te.’ Nel tuo caso sarebbe un uomo e anche nel mio”. Francesca sorrise per la battuta. “E Yorgo?” “Come si dice in questi casi: pausa di riflessione che non è altro che l’anticamera di ‘ognuno per la sua strada’. Era già un po’ di tempo che le cose non filavano per il verso giusto fra noi.”. “Mi spiace” “Cose che capitano” disse Manuel sbrigativamente per poi aggiungere subito cambiando argomento: “ Ma non apri il mio regalo?” Francesca scartò l’involucro che conteneva un DVD. “Grazie Manuel. E’ davvero gradito.” “E’ una piccola cosa. Spero tu non ce l’abbia, in caso contrario lo posso cambiare.”. “No, non ce l’ho e non l’ho ancora visto. Come facevi a sapere che adoro Woody Allen?” “Chiamala intuizione, se vuoi.” Lo vediamo insieme, adesso?” “Perché no?” Si misero sul divano per vedere ‘Midnight in Paris’ il regalo che Manuel aveva fatto a Francesca. Risero alle battute del film, ammirarono le vedute di Parigi e quando il film finì Francesca appoggiò la testa sulle spalle di lui e gli prese la mano. Sentiva nascere qualcosa dentro di se, forse complice la serata piacevole e l’effetto dello champagne. “Sai forse avremmo anche potuto essere qualcosa di più che semplici amici” gli disse dolcemente mentre le sembrava che il tono della voce diventasse roco. Manuel rimase un attimo in silenzio poi altrettanto dolcemente le sussurrò: “Francesca tu mi piaci molto e stasera potremmo anche fare l’amore se volessimo. Tecnicamente, se mi passi il termine, è possibile. Quelli come me possono anche sentire attrazione per una donna, come la sento io per te e anche forte. Sono più o meno le stesse parole che dice Marcello Mastroianni che fa la parte di uno come me a Sofia Loren in ‘Una giornata particolare’. E così per lui anche per me non cambierebbe nulla, per te no. Non ci può essere una storia fra noi e rimarresti con un’altra delusione. E questo non sarebbe giusto per te. Non te lo meriti. Tu hai bisogno di un amore vero, di una persona che ti stia accanto sempre con la quale costruire anche una famiglia, se lo desideri. Non sei e non potrai mai essere una da avventure e basta. ” Francesca rimase in silenzio. Non sapeva se essere lusingata, delusa o frustrata. Quando si rivolse a Manuel, la sua voce era un misto di tenerezza, stizza e curiosità. “Ma tu chi sei veramente? Mi conosci da pochissimo tempo e sembra che sappia tutto di me. Alle volte penso che tu non sia reale, che sia una specie di angelo custode camuffato mandato sulla terra per risolvere i miei problemi. Mi hai offerto la tua amicizia da subito, disinteressatamente prodigandoti in consigli e in attenzioni come mai mi era capitato in vita mia. Mi hai fatto sentire bene, compresa, mi hai aiutato, ascoltato e quando potevi anche approfittare della situazione, ti sei tirato indietro mentre un altro non si sarebbe fatto scrupoli. Da quale pianeta vieni?” “Pianeta terra, zona nativa isola di Cuba, attuale residenza Italia. Non sono un angelo custode e con tutto il rispetto per te penso che ci siano moltissime altre persone che avrebbero bisogno del suo intervento. Sono solo un tuo amico e tale voglio restare per sempre.”. “Grazie” gli disse baciandolo su una guancia “Adesso è meglio che vada.” Il giorno dopo Francesca si sentì piena di vita e in forma come non mai. L’affetto di Manuel l’aveva guarita e si sentiva una persona nuova e con tanta voglia di ricominciare. Nel mentre sistemava dei capi negli scaffali, le si avvicinò un cliente. Francesca lo guardò e non poté fare a meno di sentirsi attratta: non proprio giovanissimo, capelli brizzolati folti ma curati, abbastanza alto, atletico, indossava una giacca di renna con un foulard di seta annodato al collo e jeans di marca ed emanava un profumo sottile ma penetrante. “Posso esserle utile?” gli chiese Francesca con un tono di voce che voleva essere professionale ma che lasciava trapelare un certo interesse. “Si grazie. Molto gentile da parte sua. Sto cercando un completo intimo che sia un po’ spiritoso, sexy ma non volgare. Una cosa speciale per una persona speciale.” Le disse con un sorriso. Francesca sentì una punta di delusione che la lasciò un po’ sorpresa. “Vediamo subito cosa possiamo trovare per sua moglie o la sua fidanzata.” Si stupì della sua intraprendenza che rasentava un eccesso di confidenza che non mai avrebbe usato nei confronti della clientela. Si aspettò una risposta secca che la invitava ad occuparsi dei fatti suoi che invece non arrivò. Anzi l’uomo sorrise e molto affabilmente le disse: “Ma no, si tratta di mia nipote alla quale sono affezionatissimo. Per quanto mi riguarda sono libero come il vento.”. Era un messaggio sublimale o lei lo stava interpretando come tale? Forse che sì, forse che no ma alquanto sollevata pensò che poteva essere l’inizio di chissà che cosa come essere solo il contatto fugace con una persona amabile. Non era quella la cosa importante ma il fatto che lei adesso si sentiva con l’animo completamente sgombro e sereno e pronta a ricevere quello che la vita voleva offrirle. E questo grazie a Manuel e alla sua amicizia.
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