zanin roberto
Senatore
Italy
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Inserito - 09/01/2016 : 20:42:25
La nebbia umida scendeva viscida dai rami degli alberi, cadeva in gocce scivolando a terra, l'orizzonte grigio e indefinito si perdeva lontano, la terra madida s'infangava corrotta, il cielo silenzioso ammoniva il volo ad ogni uccello, la giornata invernale non era fredda, era un pungente fastidio, penetrava la carne per offendere le ossa. Camminavo lambendo un fosso piccolo e dimenticato che la strada da anni cercava di fagocitare, mi sentivo pesante, sconfitto, arrendevole, ogni passo era una pena e il male non aveva un'origine, lamenti interiori mi scuotevano, i lampioni accesi scandivano un susseguirsi di aloni d'un giallo sporco che la nebbia cercava di occultare, tutto si colorava di un tono sporco, l'asfalto ora bagnato sembrava la cosa più pulita, più linda, più regolare, più bella. Un gatto bianco attraversò da marciapiede a marciapiede e con un salto liberatorio superò il fosso e scomparve lontano senza degnarmi d'uno sguardo, di nessuna attenzione, semplicemente non mi considerò, mi passò davanti superiore e dominante, la cosa mi diede fastidio, mi sentii ignorato, incompreso, ne più ne meno come gli uomini, come la società d'oggi che si ferma solo nella eccezionalità, nella contingenza, nell'attimo del successo per poi archiviarci con velocità nell'oblio. Il periodo di Natale che dovrebbe segnare un tempo di pace e perdono, di tolleranza e carità, di benevolenza e comprensione, avanzava anonimo e pesante, senza particolari attenzioni ai deboli e indifesi, senza impregnare di atmosfere idilliache il mondo, la nebbia era un preciso alfiere della sua epifania. Le luci del Natale apparivano vicino alle porte d'ingresso o nei giardini delle abitazioni, le alternanze elettriche erano l'unica dinamicità di una statica e anonima sera, davano colore ma non scaldavano il cuore. Le feste sono un enorme contraddizione, la ricerca esasperata di una felicità che non è mai raggiunta e non è mai sufficiente, l'illusione di un effimero piacere che svanisce, la nebbia nascondeva le linee delle cose, tutto si evaporava in una massa di cose uguali e illeggibili, le poche foglie secche rimaste sugli alberi erano bagnate e rendevano la natura morta, ferma, impotente, vinta. Camminavo con le mura settecentesche del convento domenicano che mi inseguivano con i mattoni rossi crepati e bucati, curvavano e si stringevano in un abbraccio non desiderato. Ritornavo con la mente a quando bambino aspettavo la notte della vigilia, la venuta di Babbo Natale, un suo rumore, uno scricchiolio in quella grande e vecchia casa, una luce improvvisa, un riflesso magico che mi avvisasse della sua presenza, ero lì pronto sotto le lenzuola a stupirmi di incontrarlo, a spiarlo, a seguire l'affascinante aurea, a superare la paura della sua personalità, gli occhi si chiudevano arresi al sonno e solo allora quando il sogno si materializzava la magia si compiva. Una goccia d'acqua gelida mi colpì sul collo, pirata, un ramo maestoso di platano che prendeva tutta la strada era sopra me e gocciolava, poco dopo arrivai alla piazza, la mia piazza che conoscevo da fanciullo, raggiunsi la fontana centrale, dove nella vasca a volte immergevo le mani in un gesto di conquista, una presa possesso dell'acqua che sgorgava fresca e limpida. Una bicicletta scomparve lontana portandosi via una sagoma scura verso la curva secca del paese, due persone entravano al bar di fronte, aprendo la porta la musica uscì per un attimo esplodendo note forti poi il silenzio, mi sedetti sul bordo e alzai lo sguardo al cielo, vidi un tetto regolare di lana grigia che spruzzava goccioline microscopiche, la nebbia incombeva autoritaria, la vetrina del panificio a un lato della piazza si ornava di un presepio colorato che brillava di tinte accese. Un gorgoglio sommesso, una voce lontana dal timbro di vecchio, una rauca inflessione attirò la mia attenzione: "ma da dove proveniva? ..." ebbi un attimo di esitazione, mi stavo perdendo nei ricordi, mi allontanavo sempre più da questo tempo, uno sciabordio improvviso poi di nuovo una voce che mi chiamava con educazione e pedagogicamente ammiccante: - " Roberto, ragazzo mio, mah ... mi vuoi ascoltare? " - rimasi sorpreso. - " Ehhh ? ... Che cosa? ... Ma chi mi chiama ? " - dissi con titubanza. Lento il silenzio scendeva con la nebbia, una coltre pungente che impediva ogni entusiasmo, ogni dialogo, ogni speranza, tesi l'orecchio perché forse avevo risposto con la testa e non con la bocca, ma cercavo ancora nella realtà che mi circondava risposte, silenzio. Non capivo se i miei pensieri si erano impossessati del mio tempo o se semplicemente sognavo ad occhi aperti, quello spazio indefinito, quella sera malinconica e il Natale che esigeva i suoi riti. - " Sono Babbo Natale ... dimmi cosa ti angustia ? " - - " Chiii ? ... ma che scherzo è questo! " - mi alzai violentemente dal bordo di cemento freddo e umido e girai attorno alla fontana circolare senza trovare nessuno, scrutai la piazza, la mia piazza, la mia piazza che non mi aveva mai tradito, ma era vuota, alzai gli occhi alle finestre delle case vicine, del resto alcune erano disabitate, niente e nessuno. La luce gialla soffocava ogni discrepanza, tutto appariva uguale. - " Certo, che ingenuo! E' tutto un sogno " - mi dissi consolandomi ma non tanto. Mi risedetti sul bordo della fontana lasciando che le mani agitassero lo specchio d'acqua, in un gesto atavico, ripetuto nella memoria, la temperatura fredda ridestò in me il senso del razionale per un momento sopito, prima di lasciare quello stato ipnotico e surreale sentii distintamente la calda e amorevole voce di un vecchio. - " Lo so, mi hai sempre aspettato Roberto ... da bambino per i regali e l'aurea magica, da adulto per ritrovare il bambino ... lo so! " - Alzai un braccio per dire qualche cosa poi lo immersi nello specchio della fontana, sentivo bagnata la guancia ... non di acqua ma da calde lacrime che la nebbia occultava con benevola complicità in un ultimo gesto di pietà.zanin roberto
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