"Vieni a fare osservazioni con il telescopio o sei impegnato stasera?", mi ha domandato ieri pomeriggio il mio grande maestro di astrofotografia. "Ho un impegno, con una gru", ho risposto e ho sentito dall'altra parte della cornetta che gli era rimasto il fiato in gola. "Una... gru?", ha ribattuto con tono stupito. "Sì, ieri sera sono uscito con la mia Canon per riprendere la Luna dietro la gru nel quartiere dove stanno mettendo su un palazzo e, al momento dello storico scatto, ho scoperto di aver dimenticato di caricare la macchina fotografica, così ci riprovo oggi", gli ho spiegato. "Be', spero almeno che la tua gru sia carina", mi ha augurato poco convinto. La Luna mi aspettava in mezzo al cielo, certo aver perso il giorno precedente mi aveva svantaggiato perché ogni giorno essa sorge circa cinquanta minuti più tardi e quindi sarebbe stato più difficile riuscire nell'impresa di fotografarla insieme agli edifici una volta sceso il buio.
Le prime foto le ho fatte dal piccolo parco del Politecnico, con luce ancora pomeridiana e mi spostavo di modo da avere la Luna in mezzo ai caratteristici edifici, ma poco a poco calavano le ombre della sera e dovevo continuamente aggiustare i tempi di scatto altrimenti si sarebbe vista solo la Luna con il resto troppo scuro.
Con in mano il cavalletto con su la macchina fotografica mi spostavo da una via all'altra per cercare le posizioni che mi interessavano fino a fermarmi davanti alla vetrina di un negozio proprio mentre una nuvola avvolgeva la Luna. Così mi misi ad aspettare e la proprietaria è uscita e mi ha chiesto con curiosità cosa stessi facendo, "fotografo la Luna", le ho risposto e lei ha ribattuto :"E perché?"
Una questione di enorme livello psicoanalitico quasi a ora di cena rischiava di mandare in frantumi la mia traballante psiche, bloccate sulla punta della lingua mille parole per spiegare del Planetario, degli amici astrofili, delle conferenze e all'improvviso la luce, forse un antenato che visse sulle rive della Senna e ascoltai la mia voce rispondere :"Ah madame, vous savez, c'est l'amour!". Lo sguardo della signora si è illuminato e ha chiamato l'intera famiglia che si trovava nel negozio oltre ad alcuni inquilini del palazzo a cui spiegava che ero lì per fotografare la Luna come se fosse una impresa epica. "Guardate, si vedono i crateri nel display", li ho coinvolti e uno per uno guardavano ed esprimevano parole di meraviglia.
Scattai con la Luna dietro i torrioni dei vecchi edifici e poi furono abbracci commossi quando dissi al mio pubblico che dovevo spostarmi altrove per proseguire verso l'appuntamento con la gru. E fu un gioco a nascondino con la Luna, mi richiamava da dietro gli alberi accompagnandomi fino al luogo dell'incontro fatale.
La adocchiai dietro un camino, ormai era buio e dovevo usare il trucco di sfruttare la luce di un lampione della strada affinché si potesse vedere anche il fumaiolo. Ancora due passi e arrivai alla gru e mi misi in attesa che la Luna si portasse proprio dove la volevo io. Una signora usci da un portone mano nella mano con un bambino che le chiese cosa stessi facendo e lei gli spiegò sorridendo che stavo fotografando la bella Luna che splendeva in cielo. Mi rimasero vicini per alcuni secondi e la donna mi disse :"Che pazienza hai!". E di nuovo la mia fragile psiche vacillò, come potevo raccontarle delle ore passate con gli amici nel gelo a riprendere le stelle. E ancora una volta il possibile antenato francese rispose al posto mio :"Ah madame, c'est l'amour qui nous fait attendre toujours!".
E all'improvviso la mia Lu si mise in posa proprio dove la volevo e scattai l'agognata "La Luna e la gru". Missione compiuta.
Dopo aver riposto cavalletto e macchina fotografica nello zaino, lanciai a Lu un bacio sulla punta delle dita e le sussurrai :"Au revoir, ci vediamo venerdì, la notte della grande eclissi".
Roberto Mahlab