AUTUNNO
(Francesco Guccini)Un'oca che guazza nel fango,
un cane che abbaia a comando,
la pioggia che cade e non cade
le nebbie striscianti che svelano e velano strade...
Profilo degli alberi secchi,
spezzarsi scrosciante di stecchi,
sul monte, ogni tanto, gli spari
e cadono urlando di morte gli animali ignari...
L'autunno ti fa sonnolento,
la luce del giorno è un momento
che irrompe e veloce è svanita:
metafora lucida di quello che è la nostra vita...
L'autunno che sfuma i contorni
consuma in un giorno più giorni,
ti sembra sia un gioco indolente,
ma rapido brucia giornate che appaiono lente...
Odori di fumo e foschia,
fanghiglia di periferia,
distese di foglia marcita
che cade in silenzio lasciando per sempre la vita...
Rinchiudersi in casa a aspettare
qualcuno o qualcosa da fare,
qualcosa che mai si farà,
qualcuno che sai non esiste e che non suonerà...
Rinchiudersi in casa a contare
le ore che fai scivolare
pensando confuso al mistero
dei tanti "io sarò" diventati per sempre "io ero"...
Rinchiudersi in casa a guardare
un libro, una foto, un giornale
e ignorando quel rodere sordo
che cambia "io faccio" e lo fa diventare "io ricordo"...
La notte è di colpo calata,
c'è un'oscurità perforata
da un'auto che passa veloce
lasciando soltanto al silenzio la buia sua voce...
Rumore che appare e scompare,
immagine crepuscolare
del correre tuo senza scopo,
del tempo che gioca con te come il gatto col topo...
Le storie credute importanti
si sbriciolano in pochi istanti:
figure e impressioni passate
si fanno lontane e lontana così è la tua estate...
E vesti la notte incombente
lasciando vagare la mente
al niente temuto e aspettato
sapendo che questo è il tuo autunno...che adesso è arrivato...
Questa canzone è contenuta nell’album “Stagioni” del 1999.
Composta interamente da Francesco Guccini, rappresenta la canzone che definirei “alla Guccini”, di quelle cioè che non sono composte, come le cosiddette canzoni “all’italiana”, con due strofe più un ritornello poi strofa-ritornello e ritornello finale modificato a volte. Il metro della composizione ci propone 11 strofe di quartine composte da tre novenari ed un verso finale formato da 15 sillabe, a volte da un novenario ed un senario, a volte in ordine invertito, in una sola circostanza formata da un ogdosillabo ed un eptasillabo (“del tempo che gioca con te come il gatto col topo”).
Dietro questa freschezza formale la canzone si completa con una perfetta interpretazione (importantissima) di Guccini che sembra rendere omaggio alle sensazioni da riscontrare in un ambiente autunnale, cupo, crepuscolare, umido ed empiricamente disagevole.
Subito c’è una descrizione atmosferica dell’autunno e si incontrano simboli come il fango, pioggia. e nebbia che rendono desolazione e sgomento, freddo di morte che avvolge fin dal principio l’atmosfera autunnale che poi si srotolerà nella solitudine del protagonista.
Dalla seconda strofa notiamo, nei primi due versi, onomatopee di una situazione desolata:
la secchezza della doppia c gutturale e della z (secchi, spezzarsi, stecchi), lo scrosciante spezzarsi è una sublime trovata che rende umidi i fuscelli che si piegano sotto la forza del vento e del tempo, vero protagonista della canzone. Poi il riferimento alla caccia come emblema di morte per poveri animali ignari, inconsapevoli come gli uomini sotto i colpi di tristezza dell’autunno, animali che cadono urlando di morte, indifesi e innocenti; i cacciatori sparano “ogni tanto”: questo a mio avviso è significativo perché rende l’idea di un carnefice che maltratta a suo piacimento la vittima e si ricollega al tempo della terzultima strofa che “gioca con te come il gatto col topo” – forse, ma è un azzardo, per questo Guccini rende diverso questo verso e non lo compone da un novenario ed un senario come gli altri, perché qui è il nocciolo della canzone).
Dalla terza strofa l’enfasi sale e si prende di petto il termine autunno. Ci rende sonnolenti proprio per quella sua penombra e crepuscolo che rende i contorni foschi e permette solo pochi sprazzi di vitalità, “metafora lucida di quella che è la nostra vita”: grande passo. Questa è una metafora perfetta perché anche la nostra vita, secondo Guccini, si compone di dolore intervallato a brevi (anche se significativi) momenti di felicità, collegamento possibile con l’ auto veloce della quartultima strofa che lascia al silenzio la “buia” sua voce (senza dubbio buia qui è da ricollegare con la luce del giorno, metafora della felicità).
La ripresa della quinta strofa è lenta come la prima e ripropone figure simboliche ed empiriche dell’autunno: importante è il simbolo della foglia che “cade in silenzio (cioè anche senza grossi patemi, con lascivia e quell’indolenza del “gioco” precedente) lasciando per sempre la vita”.
Da qui partono tre strofe che hanno uno slancio che quasi vorrebbe “colmare” il contenuto dei versi:
il tema principale è il rinchiudersi in casa, in una battistiana tristezza delle famose giornate uggiose che portano una vita mal spesa, il guio è che per Guccini non ci si accorge di buttare via la vita ed il tempo migliore, si ignora quel “rodere sordo” ed il tempo ci scherza, si prende gioco di noi che restiamo inconsapevoli del male che ci fa e di quanta vita stiamo buttando via facendo “scivolare” le ore. Dentro di noi però sappiamo questa tristezza, sappiamo che quel qualcuno “non esiste e che non suonerà”, ma il tempo passa ed i nostri tempi presenti diventano passato ed i nostri atti solo ricordi.
Vorrei spendere qualche parola per “le storie credute importanti” che “si sbriciolano in pochi istanti”:
il tempo genera il ricordo ma l’amore e la forte sensazione vince sul tempo e l’istante diventa eterno, questo è comprensibile. In un forte momento di tristezza, però, come questa canzone vuole esternare, si cerca di recuperare la bellezza di una storia per rinfrancarsi del nettare dolce che ci ha dato a suo tempo ma il ricordo lo rende istantaneo fino a sbriciolare anche la storia più bella, si arriva al capolinea (“come un viaggio in tram che ti siedi giù ed è il capolinea”, Baglioni, Cuore d’aliante), alla fine, la storia finisce perché il tempo ha vinto di nuovo, ha vinto sul ricordo, ci si rende conto che l’estate è solo passata e ci fa pura un prossimo autunno come questo, anche se noi “vestiamo” la notte incombente ci sappiamo che l’autunno è arrivato e fuggire nel ricordo vestendo la notte non ci serve assolutamente ad uscire dal magone, la storia si sbriciola in pochi istanti ed il tempo passa divertendosi.
E’ chiaro che questa canzone, con tutta la tristezza di cui è carica, rappresenta l’immagine di un momento, uno stato d’animo, nulla di filosofico. Sono sensazioni che Guccini riporta in un gioco di metafore e similitudini che conducono ad un comune denominatore, con tanta poesia e molta, molta coscienza della temporalità.
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta,
da un fondale,
da un fuori che non c'è se mai nessuno
l'ha veduto.