IL DILEMMA
(Giorgio Gaber)In una spiaggia poco serena,
camminavano un uomo e una donna
e su di loro la vasta ombra di un dilemma.
L'uomo era forse più audace,
più stupido e conquistatore,
la donna aveva perdonato, non senza dolore.
Il dilemma era quello di sempre,
un dilemma elementare:
se aveva o non aveva senso il loro amore.
In una casa a picco sul mare,
vivevano un uomo e una donna
e su di loro la vasta ombra di un dilemma.
L'uomo è un animale quieto
se vive nella sua tana,
la donna non si sa se ingannevole o divina.
Il dilemma rappresenta
l'equilibrio delle forze in campo,
perché l'amore e il litigio sono le forme del nostro tempo.
Il loro amore moriva,
come quello di tutti,
come una cosa normale e ricorrente,
perché morire e far morire
è un'antica usanza
che suole aver la gente.
Lui parlava quasi sempre
di speranza e di paura,
come l'essenza della sua immagine futura,
e coltivava la sua smania,
cercava la verità,
lei lo ascoltava in silenzio, lei forse ce l'aveva già.
Anche lui curiosamente
come tutti era nato da un ventre,
ma purtroppo non se lo ricorda o non lo sa.
In un giorno di primavera,
quando lei non lo guardava,
lui rincorse lo sguardo di una fanciulla nuova.
E ancora oggi non si sa
se era innocente come un animale,
o se era come instupidito dalla vanità.
Ma stranamente lei si chiese
se non fosse un'altra volta il caso
di amare e di restar fedele al proprio sposo.
Il loro amore moriva,
come quello di tutti,
con le parole che ognuno sa a memoria,
sapevan piangere e soffrire,
ma senza dar la colpa
all'epoca o alla storia.
Questa voglia di non lasciarsi
è difficile da giudicare,
non si sa se è una cosa vecchia o se fa piacere,
ai momenti di abbandono
alternavano le fatiche
con la gran tenacia che è propria delle cose antiche.
E questo è il sunto di questa storia,
peraltro senza importanza,
che si potrebbe chiamare appunto "resistenza".
Forse il ricordo di quel maggio
gli insegnò anche nel fallire,
il senso del dolore, il culto del coraggio,
e rifiutarono decisamente
le nostre idee di libertà in amore,
a questa scelta non si seppero adattare,
non so se dire a questa nostra scelta
o a questa nostra nuova sorte,
so soltanto che loro si diedero la morte.
Il loro amore moriva,
come quello di tutti,
non per una cosa astratta come la famiglia,
loro scelsero la morte
per una cosa vera
come la famiglia.
Io ci vorrei veder più chiaro,
rivisitare il loro percorso,
le coraggiose battaglie che avevano vinto o perso.
Vorrei riuscire a penetrare
nel mistero di un uomo e una donna,
nell'immenso labirinto di quel dilemma.
Forse quel gesto disperato
potrebbe anche rivelare
come il segno di qualcosa che stiamo per capire.
Il loro amore moriva,
come quello di tutti,
come una cosa normale e ricorrente,
perché morire e far morire
è un'antica usanza
che suole aver la gente.
Non è da molto tempo che ascolto le canzoni di Giorgio Gaber.
Sono stato come folgorato da questo pezzo sin dal primo ascolto. La poesia di Gaber è composta da parole che esprimono “semplicemente” concetti che appartengono al vivere di tutti, ma che sono così in profondità da risultare quasi come “riesumati” dalle parole di questo grandissimo autore, come se i suoi versi chiedessero permesso per entrare dentro di noi, sicuri di trovare una casa ospitale e familiare.
Queste sensazioni, così risvegliate, si sentono appartenere a noi stessi… questi comportamenti si capiscono essere di tutti, si intende subito che dentro di noi abbiamo una forza che ce li fa comprendere e che ci permettono di colorare i versi di Gaber con una tinta familiare.
Importantissima, poi, è la sua interpretazione da grande teatrante. Il suo volto diventa veicolo di enorme espressione e le sue parole sembrano staccarsi da una consuetudine che potrebbe attanagliarle o incupirle, per vestirsi di una eternità a loro più confacente.
C’è una quasi “montaliana” sintesi poetica molto importante già nel titolo di questa canzone: “Il dilemma”. In fondo un dilemma è un dubbio tra due e solo due parti. Etimologicamente la parola dilemma ci riporta a “due parole” ed io credo che Gaber si chieda in questa canzone: siamo ancora capaci di amare? Il tutto in un periodo confuso per la vera identità della parola amore; in un periodo segnato dalla “nostra scelta o questa nostra nuova sorte”… il tutto è riportabile ad una serie di dilemmi, dove ci sono sempre e solo due strade da prendere. Una vera e propria opera sillogismo sulla scelta da attuare e mettere in pratica per non deludere la verità sotto nessun punto di vista. I dilemmi sono molti e le parti sono sempre in contrapposizione: uomo-donna, vita-morte, nostra scelta-nuova sorte, donna ingannevole-donna divina, uomo istupidito dalla vanità- innocente come un animale, senso dell’amore-non senso dell’amore, morire-far morire.
Si parte dal mare e non si potrebbe partire da un luogo più significativo… il mare è dubbio per l’uomo. La spiaggia è poco serena, l’uomo ha tradito ma forse l’amore è finito, si trascina claudicante ma vorrebbe spirare già prima di cominciare a muovere un dubbio. Importante la diatriba presente-passato: è il presente che porta l’uomo a tradire la sua donna, un presente che lo porta ad essere conquistatore, uno stupido conquistatore ingannato dalla voglia di ben apparire nel presente, a dispetto dell’amore del passato… a dispetto di tutta la verità della quale può caricarsi un amore, lui sceglie di tradire: forse però non sceglie, subisce il tempo, subisce l’influenza di un presente becero, di una realtà che chiede la vittima sacrificale della sua fedeltà sull’altare della vanità.
Ecco perché “la donna aveva perdonato non senza dolore”. Ecco che quel dolore riaffiorerà alla fine della canzone e farà morire l’amore con una scelta di una coerenza unica e non in sintonia col presente che passa sopra a ogni forma di uniformità di comportamento.
Il dilemma è elementare: ha ancora senso il loro amore adesso che lui ha tradito?
Nella seconda strofa la casa diventa a picco sul mare. Gaber usa una sottilissima anacronia, sposta indietro il tempo e spiega come sono andati i fatti. Torna a quando la casa era “a picco sul mare”, nel senso che la situazione stava per precipitare ed i fatti stavano per compiersi. Anche allora c’era un dilemma nella loro vita e qui Gaber è semplicemente un artista perché descrivere indefinitamente l’animo della donnae dell’uomo in questo punto della canzone equivale a dire che i problemi che avevano in quel tempo sono i problemi di tutti, di tutte le coppie che “combattono” nell’amore. Combattono perché la donna e l’uomo sono diversi: in poche parole si descrivono le cose basilari del carattere di un uomo e di una donna (certo non bastano queste parole): la difficoltà nel capire l’animo femminile ed il bisogno dell’uomo di avere certezze sono verità senza tempo e caratterizzano un po’ tutti i rapporti amorosi… rapporti che vacillano tra “l’amore ed il litigio”.
A questo punto subentra lo stacchetto-ritornello come un ritorno al presente e l’amore che muore. Come se quando un amore muore ci si dovesse sempre appigliare a un motivo di fondo del passato, la mente dei due amanti era tornato a quella casa a picco sul mare. Attenzione però: a mio avviso dire che quell’amore moriva “come quello di tutti” non significa non credere nell’amore eterno. Se così fosse tutta la canzone non avrebbe senso in quanto, ricordandosi la domanda iniziale (siamo ancora capaci di amare?) se quell’amare non fosse assoluto ed eterno non bisognerebbe essere capaci di usarlo, non servirebbe porsi il dubbio e la coppia non dovrebbe trovare difficoltà nel lasciarsi. Proprio nel più vivo rispetto dell’amore eterno Gaber dà il via a tutto il dilemma. Quell’essere come quello di tutti vuol dire accostare la fine ad un’altra fine di un altro amore cioè il verso “il loro amore moriva come quello di tutti” può significare “il loro amore moriva come il più banale degli amori, come in quelle coppie dove non c’è mai stato amore, per una ragione che è (quella sì) di tutti” e mi sembra un chiarissimo attacco ad una società dove è sempre più difficile amare con un sentimento sincero e dove la libertà in amore è un fenomeno usuale.
A me piace molto una frase che Secchioni ha detto in un’intervista: “Vorrei che non si parlasse di amore a vanvera. Amore è non capire perché, per cosa, per chi, ma sfinirsi per accettarne al presenza”. Ecco che quando i due amanti cominciano a porsi i dubbi sul loro amore vuol dire che quell’amore è già finito, come gli altri, come quello di tutti.
Si riprende, poi il ritorno a ritroso, a quando “lui parlava quasi sempre di speranze e di paura”. L’uomo sapeva già che l’amore sarebbe finito, sentiva arrivare le sue paure che sciabordavano da lontano e qui Gaber compie un piccolo capolavoro: c’è un momento nella vita delle coppie nel quale l’uomo è infinitamente più piccolo della donna. Questo avviene perché la donna è la creazione (Gaber citerà il ventre) e quando, per qualsiasi motivo, si creano determinate situazioni la donna è forte di una forza innata, pregna di verità ed assolutezza. Come una madre la donna “lo ascoltava in silenzio” (il silenzio secondo me è una spia di pudore, una delle caratteristiche divinizzatici di una donna) e già aveva quella verità (come detto in maniera innata) per la quale l’uomo si barcamena da sempre e che mai arriverà a capire: Gaber era un enorme esploratore dell’animo umano.
Succede il “fattaccio” e la donna cosa fa? Si chiede, in nome dell’amore, se non fosse il caso di passarci sopra: accidenti se Gaber non credeva nell’amore eterno!
Così la donna va avanti ad amare il proprio sposo, come un titano contro le divinità, impavida e forte di un’altra grande caratteristica delle donne (ben espressa anche da Ruggeri in “Quello che le donne non dicono”, da me commentata su questo forum): la forza nei momenti difficili che spesso supera quella degli uomini.
Torna il ritornello a ricordarci l’inevitabilità della verità e che quando un amore è tradito non può più andare avanti: i due non danno la colpa all’epoca o alla storia, dunque a loro non importa di mischiarsi tra la folla, non vogliono farlo. Loro non accettano di essere stati sconfitti dalla realtà che ha remato contro il loro amore così tentano di attuare la “resistenza”. Il problema è questo: non si può perdonare un tradimento, non è coerente, non si può più parlare di amore ma la voglia di non lasciarsi in questi casi è enorme. Non si sa se questa è una cosa vecchia o quasi masochistica, appartenente all’animo umano oppure che fa soffrire nel provare a ricucire il tutto.
Qui Gaber alza la voce e vederlo “recitare” questa canzone è davvero uno spettacolo artistico di altissimo livello. Lui vorrebbe vederci più chiaro, comprendere le più piccole tristezze dell’animo dei due amanti in quel momento cruciale, conscio che qui c’è la più grande verità che fa nascere il sentimento: vorrebbe indagare le battaglie vinte o perse, vorrebbe capire come vivono la “sconfitta”, a come ripensano al maggio che li ha uniti: maggio è spesso in poesia citato come il mese degli amori, nascita delle passioni. Quando termina questo amore il ricordo di “quel maggio”, il ricordo dell’amore dona la forza per continuare, per resistere ma dona anche la fierezza del fallire perché tutto si è fatto in nome dell’amore, per non tradirlo mai. Bellissimo “il culto del coraggio”.
Loro rifiutavano i compromessi e “le nostre idee di libertà in amore” in nome di una coerenza che li portava alla morte. Il ricordo del maggio impediva di lasciarsi, non era possibile tradire quell’amore… era possibile solo morire. Giù il cappello.
Scelsero la morte non per una cosa astratta come la famiglia moderna ma per la vera famiglia, non per l’amore solo paventato o troppe volte abusato ma per un amore vero e profondo. L’alto senso etico di questi versi si mischia alla considerazione sulla famiglia moderna, non più vista come nucleo inscindibile ma solo come entità astratta regolata dal contratto di matrimonio. Il rapporto che c’è tra la famiglia vera e la famiglia astratta è lo stesso che esiste tra l’amore vero e quello solamente chiamato tale.
Ultima considerazione:
Forse quel gesto disperato
potrebbe anche rivelare
come il segno di qualcosa che stiamo per capire.
Si parte dalla disperazione del gesto come un’arma per svelare la verità m non una verità afferrata. Solo “qualcosa che stiamo per capire”, è come se il gesto fosse indispensabile per far pace con l’eternità. Ma è qualcosa che sta prima della comprensione: quando si sta per capire l’eternità si deve per forza morire e noi che non siamo trapassati avremo solo la sensazione di comprendere “qualcosa che stiamo per capire” ma che non capiremo mai da vivi: il dilemma è eterno, è divino come l’amore, quello vero che non si abbassa ai compromessi di libertà in amore e non accetta nemmeno la fine. “Qualcosa che stiamo per capire” è il dilemma stesso, in tutta la sua forza. Il loro gesto ha permesso di rispettare quell’amore e di svelare il dilemma, a noi lascia la sensazione che loro abbiano compreso ciò che noi stiamo per capire ma che non comprenderemo mai.
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta,
da un fondale,
da un fuori che non c'è se mai nessuno
l'ha veduto.