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 Tel Aviv
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elisabetta
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Inserito - 02/03/2003 :  17:14:46  Mostra Profilo  Visita la Homepage di elisabetta Invia un Messaggio Privato a elisabetta
Ora ero a Tel Aviv. La città era piena di vita di gioia ed un senso di libertà mi catturava. Quella mattina ero appena tornata dalla spiaggia e stavo ritornando in albergo.
E lui era proprio là. Prendemmo insieme l’ascensore. Ma c’erano anche altre persone. Poi ad un tratto tutte scesero. E rimanemmo solo io e lui. Iniziai ad osservarlo. Era così attraente. Io avrei voluto conoscerlo ma non lì. Non in un ascensore. Non in un luogo chiuso ed angusto che a me faceva paura. Che mi riportava alla mente ricordi che avrei voluto solo cancellare.
Un rumore sordo. Un sussulto improvviso. Oh Dio... pensai... un black out. Ed io ero lì rinchiusa in quell’ascensore con lui. Proprio con quell’uomo in divisa così seducente. Quell’uomo che avevo visto a Masada. Quell’uomo che avevo incontrato al museo vicino a Latrun. Quell’uomo con quei lineamenti così duri e con quello sguardo profondo e pieno di malinconia.
Forse saremmo rimasti chiusi lì dentro per ore... Iniziai a sudare. L’aria cominciava a mancarmi. Ero appoggiata alla parete vicino ai comandi. Un altro scossone ed io caddi in terra. Avevo paura. Ma non so se improvvisamente avessi paura più di lui o del black out. Mi sentii quasi svenire. Ma resistetti. Non potevo perdere conoscenza. Non potevo fidarmi di lui. Non lo conoscevo... anche se lo avevo visto quel mattino a Masada con quel bambino. Anche se avevo visto come era stato dolce. Comprensivo... Ma lo stesso in quel momento io avevo solo paura. Paura di lui. Lui si stava avvicinando a me. Voleva sorreggermi. Voleva calmarmi con quella sua voce suadente e tranquilla. Voleva avvicinarsi proprio a me.
Un urlo soffocato dalla paura uscì quasi involontariamente dalla mia bocca. Iniziai a tremare. Lui si fermò. E si sedette molto lentamente in terra dall’altra parte dell’ascensore. La mia mente sapeva che non era lui. Sapeva che quelle mani non erano le sue. Ma la mia anima in quell’attimo non coglieva nessuna differenza... Io vedevo solo quello stesso sguardo profondo. Quegli stessi occhi scuri...
Iniziò a parlare. A chiedermi cosa avessi. Se soffrissi di claustrofobia oppure... Se poteva fare qualcosa. Era addestrato per fare fronte a quelle evenienze. Mi disse che non dovevo avere paura. Che i soccorsi sarebbero arrivati in fretta.
Un altro scossone più violento del primo. Sembrava quasi che stessimo per precipitare. Cercò istintivamente di abbracciarmi. Ma io mi scostai. Lo supplicai piangendo di non avvicinarsi. Gli dissi che avevo paura di lui. Cioè... non proprio di lui... ma di ciò che lui rappresentava per me lì da soli in quel luogo da dove non sarei potuta scappare.
Mi guardò per un attimo quasi stupito da quelle mie parole. Poi mi chiese di parlare con lui. Tentò di tranquillizzarmi. Mi chiese di raccontargli quello che mi era accaduto. Che mi avrebbe fatto bene. Mi disse che lui in fondo era un estraneo che forse non avrei mai più incontrato. Mi disse che dovevo tirare fuori tutta la rabbia che evidentemente avevo dentro. Ci pensai solo per una frazione di secondo. E glielo raccontai. Gli raccontai ogni cosa. Mi liberai di quel peso che per anni avevo portato da sola. Di quella violenza subita non molti anni prima.
Dopo era come se mi fossi levata un grosso peso. Non lo avevo mai raccontato a nessuno. Mi guardò in silenzio. Notai che aveva gli occhi lucidi. Me ne stupii. Gli uomini che avevo incontrato prima di lui non avrebbero mai fatto vedere ad una donna i propri sentimenti. -E per questo che non vuoi che mi avvicini? Ti ricordo così tanto quell’uomo?...- mi chiese all’improvviso. Annuii. -Hai qualcosa che mi ricorda lui. Forse i tuoi occhi scuri...
Non mi era mai capitato di avere paura in questo modo. E’ da poco che ho riordinato la mia vita. Da neppure un paio d’anni...- Notai che era calmissimo. Al contrario di me che continuavo ad intrecciare le dita delle mani continuamente in un modo nervoso. E lui sorrise.
Il suo sorriso era così dolce che quasi mi fece svenire. Mi faceva pensare alle cose più diverse e fuori dall’ordinario. Come lui. Mi venne in mente il volo di un’aquila triste nel cielo blu. Sentivo che era un uomo libero. Più libero di quanto io avrei mai potuto essere. E in quel momento pensai che la sua calma era eccitante... In un attimo era svanita tutta la mia paura di lui. Era bastato quel sorriso. Quella voce calma e pacata. Avrei voluto che mi abbracciasse. Ma lui non lo fece. Credo avesse paura di farlo. L’ascensore si aprì ed ognuno andò per la sua strada con qualcosa di diverso dentro.


elisabetta

   
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