Il libro "Il Novellino" è una raccolta di novelle antiche, questo titolo compare nel 1836, il titolo originale era "Le ciento novelle antike" (anno 1525) e poi "Libro di novelle et di bel parlar gentile" (anno 1572). Nell'introduzione, Giorgio Manganelli dice che il titolo originale è da attribuirsi al numero magico "cento" che il Boccaccio aveva fatto sacro ai novellieri come il "nove" di Beethoven ai sinfonici ottocenteschi.Si ignora chi siano gli autori e se questa raccolta sia stata messa insieme da uno o più scriventi.
Due notizie sono certe: che è fiorentino e che venne scritto tra il 1280 e il 1300, quindi alle spalle di Dante e simile è il linguaggio.
Era un mondo di re, giullari, uomini di corte, filosofi, dame e cavalieri. Sono interessanti e da capire per via del linguaggio...non proprio attuale.
Vi propongo alcuni testi, che mi hanno colpita in modo particolare:
"QUI CONTA D'UNA BUONA FEMINA, CH'AVEA FATTA UNA FINE CROSTATA"
Fue una buona femina, ch'avea fatta una fine crostata d'anguille, ed avevala messa nella madia.
Vide entrare un topo, per la fenestrella, che trasse all'odore.
Quella allettò la gatta e misela nella madia, perchè lo pigliasse.
Il topo si nascose tra la farina, e la gatta si mangiò la crostata.
E quando ella aperse, il topo ne saltò fuori e la gatta, perch'era satolla, non lo prese.
"COME NON E' BELLO LO SPENDERE SOPRA LE FORZE"
Messer Amari, signor di molte terre in Proenza, avea uno suo castellano, lo quale spendea ismisuratamente.
Passando messer Amari per la contrada, quello suo castellano se gli fece innanzi (il quale aveva nome Beltrame): invitollo che dovesse prendere albergo a sua magione.
Messer Amari lo dimandò:
- Come hai tu di rendita l'anno? -
Beltrame rispose:
- Messere, tanto e tanto. -
- Come dispendi? - disse messere Amari.
- Spendo più che io non ho d'entrata, ducento libre di tornesi lo mese.-
Allora messer Amari disse queste parole:
- Chi dispende più che non guadagna, non puote fare che non si affanni.- (Non può fare a meno di vivere in affanno).
Partìosi e non volle rimanere con lui, e andò ad albergare con un altro suo castellano.
"D'UNA QUISTIONE, CHE FECE UN GIOVANE AD ARISTOTILE"
Aristotile fue grande filosofo.
Un giorno venne a lui un giovane, con una nuova domanda, dicendo cosìe: - Maestro, io ho veduto cosa, che molto mi dispiace all'animo mio: ch'io vidi un vecchio di grandissimo tempo, fare laide mattezze.
Onde, se la vecchiezza n'ha colpa, io m'accordo di voler morire giovane, anzi che invecchiare e matteggiare.
Onde, per Dio, metteteci consiglio, se essere può! -
Aristotile rispose:
- Io non posso consigliare che, invecchiando, la natura non muti in debolezza il buon calore naturale: (se verràe) meno, la virtù ragionevole manca. Ma, per la tua bella provedenza, io t'apprenderò com'io potrò. Farai così: nella tua giovanezza, tu userai tutte le belle e piacevoli ed oneste cose, e dal lor contrario ti guarderai, al postutto. E quando sarai vecchio, non per natura,nè per ragione, viverai con nettezza; ma per la tua bella e piacevole e lunga usanza, ch'avrai fatta-.
Grazy